Prima ancora che leggere il programma del nuovo esecutivo, bisognerà attendere tempi non brevi per la sua formazione. La Cdu non intende allearsi con AfD, un proclama che si riverbera anche nei desiderata del numero uno del Ppe, Manfred Weber a caccia di un nuovo mandato nel prossimo congresso di Valencia e che spera anche in un sostegno da parte del governo italiano
Friedrich Merz vive in queste ore un doppio stato d’animo. Da un lato è quasi certo di essere il prossimo cancelliere in pectore, dal momento che tutti i sondaggi lo danno come potenziale vincitore delle elezioni in Germania. Ma dall’altro è conscio che questa contentezza rischia di essere stemperata dal dilemma che serpeggia nella Cdu. Con chi allearsi? Quale peso dare all’ultradestra di AfD? Come evitare il rischio di ingovernabilità, dal momento che l’impasse francese è un incubo ben presente a Berlino (e non solo per vicinanza geografica)? Nel mezzo, il ruolo dei popolari e del tedesco Manfred Weber, atteso dal congresso Ppe di Valencia, mentre il Paese deve fare i conti con una situazione economica e industriale mai vissuta prima e nelle stesse ore in cui anche una delegazione tedesca è presente al Cpac, la convention dei repubblicani americani.
I temi elettorali
La Germania andrà al voto con due temi, su tutti, in grande evidenza: i migranti e le auto. Il primo. Gli elevati numeri relativi ai flussi migratori fatti registrare negli ultimi anni, ovvero dall’accordo Ue-Turchia sui siriani in poi, hanno spinto molti settori della società al limite delle loro possibilità. Ciò significa che era ampiamente prevedibile che questa campagna elettorale fosse dominata da immigrazione e criminalità. Un recente sondaggio a cura di Ard DeutschlandTrend sostiene che la maggior parte dei tedeschi vorrebbe che il proprio Paese accogliesse meno rifugiati. Terreno fertile per AfD che, già in occasione delle scorse regionali, ha ottenuto consensi in doppia cifra e che punta ad ottenere domani il 20%. Dinanzi ha la Cdu, tranquilla al 30%. Per questa ragione Merz (vicino al mondo produttivo) ha accelerato e pochi giorni fa ha presentato al Bundestag il progetto di legge sulla limitazione degli afflussi. Sempre quel sondaggio rivela che due terzi dei tedeschi sosterrebbero i controlli temporanei alle frontiere e la loro trasformazione in controlli permanenti per tutti i Paesi confinanti che già li richiedono.
La crisi economica
Il secondo. L’economia teutonica si trova in una crisi totale, forse la più grave in assoluto dalla nascita stessa della Repubblica Federale. Il comparto auto è zavorrato da una domanda troppo debole di veicoli elettrici che costringe i produttori ad abbandonare i precedenti piani di sviluppo. Audi e Porsche potrebbero decidere di migrare negli Stati Uniti per sfuggire ai dazi di Trump producendo negli Usa, mentre Volkswagen da tempo ha annunciato i piani di smantellamento di almeno tre stabilimenti: si tratta delle prime chiusure nazionali nei complessivi 87 anni di attività.
Inoltre la divisione acciaio di Thyssenkrupp, altro colosso tedesco che incide su Pil e livelli occupazionali, sta vivendo una nuova fase difficile, dal momento che il potenziale acquirente della quota dell’acciaieria Krupp Mannesmann ha rinunciato, mettendo a rischio i 3.000 dipendenti. Il senso di una grande spending review si ritrova anche in piccoli esempi solo apparentemente distanti, come ad esempio quello di Deutsche Bank che ha deciso di ritirare dal mercato il suo marchio DSL Bank, sia al fine di ridurre il numero dei suoi marchi sia di abbassare i costi nella divisione dedicata ai clienti privati.
Sarà stallo?
Dopo le elezioni del Parlamento europeo del giugno 2024, il partito di estrema destra Alternative für Deutschland è arrivato primo nell’ex Germania dell’Est con il 29,7 percento dei voti e quarto nell’ex Germania Ovest con il 13. Di fatto si è già aperta una pagina nuova nella storia politica tedesca in virtù della fine del vecchio modello economico tedesco, dove il crollo degli attuali membri del governo (Spd e Verdi a meno del 15%) fa da cornice.
In Germania circola con insistenza una parola chiave: ricostruzione, come se la fine del governo Scholz fosse coincisa con un clima fatto di macerie. I numeri dell’industria, il livello di inflazione, il rischio di licenziamenti annunciati dai colossi dell’automotive in sostanza vanno in questa direzione e si ergono a vessilli di uno status quo complesso a cui, evidentemente, la Germania degli anni merkeliani non era abituata.
Appare evidente che dinanzi ad un quadro fatto da crisi economica, guerra, preoccupazioni per le relazioni transatlantiche, il prossimo governo federale sarà chiamato ad un compito arduo e non esente da rischi. Ma prima ancora che leggere il programma del nuovo esecutivo, bisognerà attendere tempi non brevi per la sua formazione. La Cdu non intende allearsi con AfD, un proclama che si riverbera anche nei desiderata del numero uno del Ppe, quel Manfred Weber a caccia di un nuovo mandato nel prossimo congresso di Valencia e che spera anche in un sostegno da parte del governo italiano.