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Risorse, cultura e formazione. Ecco come intervenire sulla salute (globale) delle donne

In occasione della Giornata internazionale contro le mutilazioni genitali femminili, il ministero della Salute ha ospitato un convegno sul tema. Univoche le conclusioni dei relatori: si tratta di una questione di salute globale

Oltre 250 milioni di ragazze e donne, ancora in vita, sono state sottoposte a mutilazioni genitali femminili (Mgf). E i tassi, contro ogni previsione, sono in aumento. Un dato allarmante, se si tiene conto dei gravi effetti che questa pratica implica sul piano della salute delle donne, ma anche dei costi che impone sulla salute globale. Le mutilazioni genitali femminili, infatti, comportano un onere economico di 1,4 miliardi l’anno, che salirà a oltre 2 milioni entro il 2047, rappresentando fino al 30% dell’attuale spesa sanitaria pro capite in 27 Paesi con la più alta incidenza di Mgf. Inoltre, la pratica della Mgf aumenta notevolmente il rischio di contrarre infezioni batteriche e virali, fra le quali, ma non esclusivamente, Hiv e Hpv. In un mondo sempre più interconnesso, dove la salute non conosce confini, anche i Paesi occidentali, pur estranei a queste pratiche, non possono ignorare l’urgenza di affrontare questa problematica.

SALUTE GLOBALE

“Le mutilazioni genitali femminili non colpiscono solo il corpo, ma anche la mente. E, contrariamente a quanto si tende a credere, sono una questione di salute globale”. Lo ha dichiarato Emanuele Caredda, dirigente sanitario del dipartimento della Prevenzione del ministero della Salute, sottolineando l’importanza di affrontare il fenomeno con un approccio ampio e inclusivo. Un concetto condiviso anche da Sergio Iavicoli, direttore generale della Comunicazione del ministero della Salute, che ha aggiunto: “Non si tratta di un problema così lontano dal nostro Paese come spesso immaginiamo. La sua natura sommersa, però, lo rende difficile da riconoscere e affrontare”. Sulla stessa linea si è espresso Federico Rocca, consigliere di Roma Capitale e presidente della commissione Trasparenza di Roma capitale: “Pensiamo che sia un problema lontano, ma non è così. È qualcosa con cui dobbiamo confrontarci, e non è facile. L’errore più grande è credere che questa realtà non ci riguardi. Ma i numeri parlano chiaro, e ignorarli significa voltare le spalle alla verità”. “In Italia, si stima che 8 mila donne abbiano subito infibulazione, un dato che rivela quanto il fenomeno sia molto più diffuso di quanto si tenda a immaginare”, ha dichiarato Marietta Tidei, consigliera regionale, che ha posto l’accento sull’importanza di non sottovalutare la portata del problema, richiamando l’urgenza di stanziare risorse adeguate per combatterlo in modo efficace. “Non possiamo permettere che la questione resti ai margini del dibattito pubblico. È fondamentale un impegno concreto che non si limiti a parole, ma che si traduca in azioni tangibili e in politiche di prevenzione e supporto alle vittime”.

LEGGE 9 GENNAIO 2006, N.7

In Italia, la legge 7 del 2006 ha introdotto il reato di infibulazione, prevedendo pene severe fino a dodici anni di carcere, con aggravanti in caso di minori coinvolti. Tuttavia, nonostante un impianto normativo rigoroso, il fenomeno rimane largamente sommerso, impedendo di sfruttare appieno la portata di questa legge. “Il vero nemico è il sommerso”, sottolinea Pamela Franconieri, vicequestore aggiunto della Polizia di Stato. “Spesso le vittime non denunciano ciò che hanno subito, per vergogna, paura o timore. A volte, anche per ragioni culturali o religiose, che fanno percepire la giustizia come irraggiungibile”. Per Franconieri, la chiave per affrontare il problema non risiede solo nel contrasto diretto, ma soprattutto nella prevenzione. “È necessario un lavoro costante e capillare per rompere il muro di silenzio e offrire un vero supporto a chi ne ha bisogno”, ha aggiunto.

IL RUOLO DEL MINISTERO

Dal punto di vista sanitario, le mutilazioni genitali femminili rappresentano una sfida complessa, che richiede interventi mirati e un cambio di prospettiva culturale. Angelo Aliquò, direttore generale dell’Ospedale San Camillo Forlanini, ha sottolineato quanto sia cruciale intervenire sulle radici culturali del fenomeno per contrastarlo efficacemente. Emanuele Caredda ha invece evidenziato i risultati ottenuti dal ministero attraverso i monitoraggi regionali: “Abbiamo raccolto dati significativi sulle normative regionali, sulle reti di riferimento e sulle buone pratiche. Oggi, due terzi delle regioni italiane dichiarano di avere centri o reti di riferimento specificamente dedicati a questo tema”. “Ma – ha aggiunto – è fondamentale che aumentino le risorse per il contrasto alle Mgf”.

PIÙ RISORSE, PIÙ FORMAZIONE

“Le guerre e la pandemia di Covid-19 hanno peggiorato notevolmente la situazione”, ha spiegato Aldo Morrone, direttore scientifico di IISMAS, che ha moderato e organizzato l’incontro. Forte della sua esperienza decennale sul campo, Morrone ha inoltre sottolineato l’importanza di conoscere e comprendere i contesti in cui queste pratiche si verificano per poterle contrastare in modo efficace. “Spesso le donne sono costrette a subire questa pratica perché rappresenta l’unica condizione per poter contrarre matrimonio. È fondamentale, quindi, fare informazione e formazione, non solo per le donne, ma anche per gli uomini”, ha aggiunto Morrone, che ha inoltre ricordato il ruolo cruciale che la scuola potrebbe avere nell’emersione del fenomeno, evidenziando tuttavia la mancanza di adeguati investimenti in questo ambito.


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