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La minaccia alla libertà si chiama disinformazione. Scrive Bonanni

fakenews

Attraverso la propaganda e la manipolazione mediatica gli autocrati seminano dubbi, divisioni e sfiducia. Sfruttando le vulnerabilità della libertà di espressione per minare la stabilità delle democrazie

Nel mondo occidentale è in corso una guerra ibrida che si combatte non solo con le armi, ma anche con la manipolazione dell’informazione e la distorsione del concetto stesso di libertà. Gli autocrati sfruttano le aperture delle democrazie, quegli stessi diritti che negano ai loro cittadini, per infiltrarsi nei sistemi di comunicazione e alterare la percezione della realtà. L’obiettivo è seminare disorientamento, divisione e sfiducia nelle istituzioni, agendo sulle vulnerabilità umane: l’ignoranza, la paura, la disillusione. 

Uno degli strumenti più efficaci di questa strategia è il controllo della narrazione mediatica, non solo nei regimi autoritari ma anche nei paesi democratici, attraverso il sostegno a giornalismo sensazionalista, interessato o deresponsabilizzato. La disinformazione non agisce solo con la menzogna diretta, ma anche con la tecnica più sottile della distorsione: amplificare certe voci e silenziarne altre, alterare il contesto, confondere i piani della realtà. È in questo modo che si mina progressivamente la capacità critica del pubblico e si rendono le opinioni più manipolabili. 

Un caso emblematico di questa dinamica è la recente dichiarazione di Vladimir Putin sulla possibilità di un cessate il fuoco in Ucraina, condizionata alla realizzazione di elezioni presidenziali nel paese. Un’apparente apertura diplomatica che, però, cela una macroscopica mistificazione. Il Cremlino sa perfettamente che milioni di ucraini sono sfollati, che una parte significativa del territorio è sotto occupazione russa e che il paese è in uno stato di guerra totale causato proprio dall’aggressione di Mosca. Pretendere che in queste condizioni si tengano elezioni regolari non è una proposta di pace, ma una manovra per delegittimare la leadership ucraina, insinuando il dubbio sulla sua legittimità democratica. 

Colpisce il fatto che molti organi di stampa occidentali abbiano trattato questa dichiarazione senza la necessaria forza critica, a volte rilanciandola con eccessiva neutralità, come se si trattasse di una proposta legittima da prendere in considerazione. Questo atteggiamento è pericoloso perché permette alla propaganda autoritaria di insinuarsi nel discorso pubblico, alterandone i riferimenti e svuotando di significato i principi stessi della democrazia. Eppure, la Russia è un paese in cui le elezioni sono controllate, l’opposizione è perseguitata e la libertà di espressione è inesistente. Ed è lo stesso regime russo a sostenere governi autoritari che inscenano consultazioni elettorali farsa, come quello di Nicolás Maduro in Venezuela, dove gli oppositori vengono arrestati o esclusi dal voto. 

La vera emergenza, oggi, non è solo la guerra sul campo, ma anche quella della consapevolezza democratica. L’Europa e l’Occidente devono ripensare radicalmente il modo in cui affrontano la crisi dell’informazione e l’educazione ai valori della libertà. Non si tratta di censurare opinioni o limitare il dibattito, ma di garantire che i principi fondamentali della democrazia non vengano erosi dall’interno attraverso il relativismo e l’indifferenza. È necessario investire in un giornalismo più responsabile, in programmi di alfabetizzazione mediatica e in una cultura politica che renda i cittadini meno vulnerabili alla manipolazione. 

Se questa emergenza non viene affrontata con decisione, il rischio è che la più grande forza delle democrazie – la loro apertura e il loro pluralismo – diventi la loro principale debolezza. Il futuro della libertà dipende dalla capacità di riconoscere e contrastare queste minacce prima che sia troppo tardi. 

 


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