Nonostante l’AI Act dell’Ue abbia delineato un sistema normativo volto a promuovere un’intelligenza artificiale etica e sicura, con misure su trasparenza e responsabilità, da un lato permangono interrogativi sul suo impatto in concreto sulla qualità e le condizioni del lavoro, dall’altro la governance dell’intelligenza artificiale (a livello europeo e nazionale) rappresenta tuttora una sfida ricca di incognite. L’analisi di Maurizio Mensi, professore di Diritto all’economia presso la Sna, direttore del laboratorio @LawLab Luiss e membro del Cese per Ciu-Unionquadri
L’AI Action Summit di Parigi è l’occasione per valutare l’impatto dell’intelligenza artificiale sul mondo del lavoro e confrontare le misure nazionali finora messe in atto delineando le future strategie globali in termini di regole e governance. Si troveranno insieme Unione europea, Stati Uniti e Cina e altre potenze emergenti, alla ricerca di soluzioni in grado di contemperare l’innovazione tecnologica e tutela dei lavoratori. Non dobbiamo tuttavia farci troppe illusioni. Perché ogni Paese segue la propria strada e la strenua competizione in corso per il predominio tecnologico si fa sempre più serrata, come dimostrano i primi atti della presidenza Trump, che ha iniziato a smantellare il quadro in tema di intelligenza artificiale disegnato dal suo predecessore.
Nonostante l’AI Act dell’Unione europea abbia delineato un sistema normativo volto a promuovere un’intelligenza artificiale etica e sicura, con misure su trasparenza e responsabilità, da un lato permangono interrogativi sul suo impatto in concreto sulla qualità e le condizioni del lavoro, dall’altro la governance dell’intelligenza artificiale (a livello europeo e nazionale) rappresenta tuttora una sfida ricca di incognite. A ciò si aggiunga che si stanno addensano nubi minacciose sul futuro dei rapporti Ue-Usa.
All’insegna di deregolamentazione e maggiori investimenti, parole chiave del suo programma elettorale, Trump ha fin da subito annunciato la realizzazione di infrastrutture energetiche data centered opera della nuova società Stargate (OpenAI, Softbank, Oracle) con un investimento di 500 miliardi di dollari nei prossimi quattro anni, e revocato l’ordine esecutivo Safe, Secure, and Trustworthy AI del 30 ottobre 2023. Tale ordine esecutivo affidava al governo e alle agenzie federali il compito di orientare lo sviluppo dell’intelligenza artificiale imponendo alle big tech di condividere con il governo i risultati dei test di sicurezza e di funzionamento dei sistemi più potenti in base al Us defence production act del 1950. Da un lato traeva spunto dal quadro normativo europeo, con l’invito al Congresso di adottare una legislazione in tema di privacy, dall’altro puntava sulla promozione di nuove competenze, l’assunzione di persone qualificate nei vari settori dell’IA (sull’esempio di Us Digital service, Us Digital corps e Presidential innovation fellowship) e la previsione di un AI chief (simile al Dpo, il Data protection officer previsto dal Gdpr dell’Unione europea) in ogni ente governativo con compiti di supervisione e controllo sul funzionamento dei sistemi di intelligenza artificiale.
L’Europa è in ritardo rispetto agli Stati Uniti in quasi tutti i settori tecnologici avanzati, compresa l’intelligenza artificiale. I suoi limiti sono noti: lacune nella supply chain dei semiconduttori, carenza di capitale umano qualificato e frammentazione del mercato interno digitale. Eppure, secondo il rapporto McKinsey Time to place our bets: Europe’s AI opportunity (2025), grazie all’IA generativa l’Europa potrebbe aumentare la produttività del 3% annuo entro il 2030. Lo studio The potentially large effects of artificial intelligence on economic growth di Goldman Sachs (marzo 2023) stima poi che l’intelligenza artificiale sia in grado di automatizzare fino al 25% delle attività lavorative, generando nuovi posti di lavoro, con un potenziale incremento del Pil globale del 7%. Quale dunque la sfida per il futuro? Investire in innovazione e risorse umane, puntando su competenze e formazione, secondo le indicazioni della Nuova agenda europea per l’innovazione presentata dalla Commissione nel luglio 2022. Lo indica chiaramente anche il recente rapporto del World economic forum AI in action: beyond experimentation to transform industry (gennaio 2025) che ha poco tenuto il consueto appuntamento annuale a Davos. La strada da seguire è un modello di innovazione aperta fondato su politiche chiave (in tema di ricerca, strategie industriali e formazione) rivolte ai vari attori dell’ecosistema e su strumenti che ne assicurino il successo (finanziamenti, tassazione agevolata, standard, diritti di proprietà intellettuale, ecc.).
Alla base, la considerazione che l’intelligenza artificiale sta già trasformando il mercato del lavoro, con importanti ricadute sulla riqualificazione e l’aggiornamento delle competenze. Il progetto AI-Wips dell’Ocse indica che occorrono con urgenza interventi per preparare i lavoratori alle nuove sfide e il rapporto Ocse Assessing potential future AI risks, benefits and policy imperatives del novembre 2024 sottolinea che le opportunità legate all’intelligenza artificiale possono essere sfruttate solo con interventi adeguati in tema di formazione e reskilling. Peraltro, in attesa della piena applicazione dell’AI Act, oltre ai problemi della fuga dei talenti e delle carenze tecnologiche che la mantengono in posizione defilata rispetto a Stati Uniti e Cina, l’Ue deve fronteggiare anche il crescente consumo energetico dei data center necessari per sostenere l’enorme carico di elaborazione e archiviazione dati generato dall’IA, stimato in oltre il 5% della domanda europea entro il 2030. A ciò si aggiunga, come emerso anche al summit di Bletchley (Uk) nel novembre 2023, l’importanza della cooperazione internazionale per fronteggiare rischi comuni, come la disinformazione e le manipolazioni algoritmiche.
Il vertice di Parigi consente di affrontare il nodo cruciale del rapporto tra intelligenza artificiale e lavoro nelle sue varie implicazioni, partendo da quanto emerso al G7 Lavoro di Cagliari dello scorso settembre: servono, in primis, politiche di riqualificazione professionale, programmi di sostegno alle competenze digitali e un dialogo rafforzato tra governi, imprese e società civile.
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