Il presidente degli Stati Uniti ha un suo piano per chiudere la guerra in Ucraina. Il Vecchio Continente non è stato consultato e reclama un ruolo da protagonista. L’azione di The Donald è mirata a scavalcare tutti gli ostacoli che potrebbero frenare un rapido negoziato di pace. Guerra per guerra, l’Europa doveva dimostrare coraggio, senza mezze misure. Sei in guerra? Devi entrare in guerra. Impegnare uomini ed eserciti, senza la tiritera invio armi, non le invio, ma le invio per la pace. L’opinione di Maurizio Guandalini
Non è realistico Kiev nella Nato e Ucraina con i confini precedenti al 2014. Quello che ci sta in mezzo è da riempire. Trattabile. Da tutte le condizioni possibili che stanno emergendo in queste ore da diversi interlocutori. Questo è a grandi linee il piano di Trump per la pace. Concordato con Putin. E di ritorno comunicato a Zelensky.
L’Europa grida sdegno per l’esclusione da questi pre-accordi. Bruxelles chiede di essere protagonista. Quello del Vecchio Continente è un risentimento mal riposto. Il piano di pace della Casa Bianca, meglio di Trump (e poi vedremo il perché), è un pacchetto su misura per quell’azione diplomatica e mediatrice che l’Europa non ha mai assunto. L’Unione poteva esercitare il suo ruolo dal primo accordo di pace possibile, sotto l’ombrello della Turchia, dopo appena un mese dall’inizio del conflitto.
Al contrario l’armata Brancaleone europea ha preferito muoversi in tutt’altra direzione. In modo scomposto, disordinato e approssimativo. Un percorso incerto, fragile e senza successo. Germogliato su moribonde analisi di geopolitica e di geo economia. Supposizioni. Di una vittoria imminente dell’Ucraina protrattasi in modo fallace fino ad oggi. Generando centinaia di migliaia di morti. L’Europa ha brancolato nel buio. Accodandosi, da un lato, all’andatura di Biden e dall’altro a uno sbrindellato sostegno all’azione di guerra ucraina. In mezzo c’era Zelensky che cambiava piano ogni giorno, che chiedeva armi, denaro, che partecipava a ogni sessione, vertice possibile annunciando che la guerra era ad un passo dall’essere vinta.
Che cosa ha da spartire l’azione di Trump con le recenti dichiarazioni della rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, l’estone Kaja Kallas, “L’Europa continuerà a sostenere la lotta ucraina”? O con le uscite del segretario generale Nato, Rutte, continuare la guerra fino alla vittoria finale dell’Ucraina? E’ evidente che l’azione di Trump non può poggiare su degli interlocutori europei schierati della prima ora. Realisticamente The Donald deve bypassare l’Europa vittima delle proprie insicurezze.
In questi anni di guerra ho sempre tenuto una posizione schierata: la soluzione del conflitto russo-ucraino doveva passare per la realpolitik. Ne ho scritto diverse volte su formiche.net. Ho invocato anche a un mediatore stile Berlusconi. L’appannamento delle idee prese a fomentare una guerra, non guerra ha trasformato ogni discussione, altra, indirizzata a un sostegno dell’esprit putiniano. Ed è un modo di ragionare che ci ha portato al caos corrente. Al ruolo ultroneo, superfluo dell’Europa. Ho ricevuto anche parecchie lettere, intavolato diversi dialoghi con chi era schierato a reggere l’escalation di una guerra- non guerra mal abborracciata. Ed è qui il vizio, il vulnus, il cortocircuito.
All’Europa è mancata chiarezza e questa confusione se l’è stancamente trascinata fino a smorzarne l’autorevolezza del ruolo odierno. Molti leader sostenevano l’Ucraina fino alla vittoria finale della guerra e parallelamente tendevano a dimostrare di non essere in conflitto con la Russia. Allora, guerra per guerra, l’Europa doveva dimostrare coraggio, senza mezze misure. Sei in guerra? Devi entrare in guerra. Impegnare uomini ed eserciti, senza la tiritera invio armi, non le invio, ma le invio per la pace. Alle grida di battaglia, perché non si dimostri pura ipocrisia, occorre dare seguito con decisioni chiare, limpide, univoche che vanno in direzione con le idee espresse. A obiettivo.
Certo, à la guerre come à la guerre avrebbe innescato una terza guerra mondiale e, allora, chi avrebbe trovato il coraggio di questo passo, falso? Appurata l’impossibilità di questa strada, non si poteva, come si è fatto fino ad oggi, proseguire con lanci di escalation vuoti, privi di corrispondenza con l’azione. Di conseguenza si è innescato un effetto a valanga inarrestabile a chi la sparava più forte. Senza nulla dietro. Priva di strategia. L’Europa si è ritirata sul monte dei buoni principi, anche condivisibili, senza mai uscire dal guscio e proporsi per un’azione diplomatica di pace. Chi l’ha timidamente proposto è stato etichettato o come un pacifista fuori dal mondo o peggio un oltranzista putiniano.
Ed è la stessa logica adottata nel vortice delle sanzioni. Muoia Sansone e tutti i filistei. Va male l’economia russa ma in Europa è in ginocchio quella tedesca. La locomotiva. Soprattutto per gli alti costi dell’energia. Riesplosi anche in Italia. In un forum confindustriale capitanato dalla famiglia Marcegaglia svoltosi a Mantova, terra ricca di filiere e piccole e medie imprese, è uscito un messaggio chiaro: va abbassato il costo dell’energia mettendo da parte ogni tecnicismo burocratico e ideologico. Un quadro decimato, conseguenza delle azioni dell’Europa tese a spaccare le relazioni internazionali, a vedere nemici ovunque soprattutto in chi girava attorno alla Russia. A imbastire una lotta di civiltà superiore, quella Occidentale, il modello solo, unico che deve egemonizzare le soluzioni delle crisi internazionali.
Ma arriva il ciclone Trump che ci insegna la vecchia e sana realpolitik. Il migliore interprete contemporaneo. Con il suo format affaristico identitario, America First. Pagare moneta, vedere cammello. Lo sta facendo con la politica dei dazi. Se tu dai una cosa a me io poi do una cosa a te. Zelensky per ingraziarsi il presidente Trump, e quindi avere aiuti finanziari e militari avviando poi gli accordi di pace con i russi, ha dato il via libera alla richiesta del capo della Casa Bianca di concedere le terre rare ucraine all’economia americana. A condizioni privilegiate. L’Ucraina è il primo fornitore in Europa di risorse minerarie strategiche (litio, grafite, titanio, ecc.) utili all’industria tecnologica (per i telefonini) e alla transizione ecologica (pannelli solari, batterie elettriche).
Certo, questa è una variante della realpolitik. Modello Yalta. Che poi vedremo applicata alle trattative vere e proprie. Con i russi. Anche loro cercatori d’oro nel posizionamento in terra Ucraina. Un treno al quale si accoda come protagonista la Cina. E nel bailamme di queste ore dove spuntano proposte diverse che escono dalla Casa Bianca, tentativi di sponda (Meloni che telefona a Zelensky cercando di inserire l’Europa nel business plan delle trattative di pace), varie ed eventuali, consiglio di andare cauti prima di prendere la versione definitiva. Ufficiale. Quella che conta. La parola finale spetta sempre a Trump. Solo a lui. Contano poco quelli che gli stanno intorno. Vale il dialogo diretto. Ad esempio quello che si sono detti Trump e Putin.
A quelli che criticano la pace di Trump, quando chiedo quale idea hanno loro per raggiungere la fine del conflitto, mi rispondono che non lo sanno ma rivendicano un imbarazzante slogan paternalistico legato ai momenti della Storia in cui bisogna avere coraggio e subordinare i propri interessi a obiettivi più alti. Ma che vuol dire, che l’Europa doveva fare la guerra? Quali sono gli obiettivi più alti? Imbastire una assurda lotta di civiltà? Dove sta il coraggio? La rinuncia degli interessi? Ci voleva Trump per dire di fermare questa stupida guerra da un milione e mezzo di giovani morti? L’Europa dov’era?