La decisione di Trump di dialogare direttamente con Putin non segna solo una svolta nelle relazioni Usa-Russia, ma anche in quelle con l’Europa. Che adesso dovrà cambiare approccio. L’opinione di Antonio Missiroli, ex-direttore dell’Euiss e già assistente del segretario generale della Nato
Con l’incontro tra le due delegazioni avvenuto questa mattina a Riad, Washington e Mosca hanno aperto ufficialmente un dialogo sul conflitto in Ucraina. E il fatto che al tavolo non siano stati coinvolti né Kyiv né i partner europei degli Stati Uniti è di per sé un segnale rilevante, che avrà delle ricadute nel prossimo futuro. Formiche.net ha chiesto ad Antonio Missiroli, ex-direttore dell’European Union Institute of Security Studies e già assistente del segretario generale della Nato per le emerging security challenges, di fornire la sua interpretazione sulle ultime vicende.
Trump ha portato a un tavolo Mosca stravolgendo completamente i rapporti avuti dagli Stati Uniti nei confronti della Russia negli ultimi anni, e aprendo una nuova fase diplomatica. Washington parla con Mosca ma non coinvolge, almeno per ora, né l’Ucraina né l’Unione europea. Cosa vuol dire?
Credo che l’iniziativa presa dal presidente Trump di contattare direttamente Putin, così come le esternazioni sia di Trump che di alcuni dei suoi collaboratori, abbiano in qualche modo scioccato sia l’Europa che l’Ucraina. Anche perché contengono tre concessioni preliminari gratuite a Mosca, a cui si accompagnano una serie di segnali negativi nei confronti degli ucraini e degli europei.
Quali sono queste concessioni preliminari?
Prima di tutto lo stabilirsi di un contatto diretto tra Trump e Putin. Biden si era rifiutato di avere alcun contatto diretto con Putin per anni. Trump invece lo ha immediatamente concesso, riabilitandolo anche dal punto di vista della scena del contesto geopolitico, segnalando a Mosca e a tutti gli altri che è in questo contesto che verrà cercata una soluzione tra Washington e Mosca. La seconda concessione è legata alla dichiarazione di Trump che fa apparire improbabile che l’Ucraina possa entrare a far parte dell’Alleanza Atlantica, perlomeno nel futuro prevedibile. E la terza riguarda la dichiarazione, sempre di Trump, sull’infattibilità per l’Ucraina di ritornare ai confini del 2014, evocando quindi la necessità di concessioni territoriali da parte di Kyiv. E queste tre concessioni sono state date in cambio di una mera disponibilità di Mosca a sedersi al tavolo, cosa avvenuta oggi a Riad fra Rubio e Lavrov. Attirando, giustamente, alcune critiche da parte degli alleati europei.
Alleati europei che, appunto, non sono stati coinvolti nelle trattative. Come va letta questa decisione?
Lo schiaffo agli europei è evidente. Gli europei sono stati finora ai principali alleati di Washington nel sostegno all’Ucraina; inoltre sono, sia a livello dei singoli Paesi che a livello comunitario, i principali sostenitori della risposta ucraina all’invasione russa. E sono stati completamente ignorati in questo contesto. Il segnale è chiaro: in ballo c’è la sicurezza dell’Europa, e un giorno dovrete farvene carico voi, ma sono solo gli Stati Uniti che possono garantire in questo momento la cessazione delle ostilità. E si può anche leggere un segnale più indiretto agli europei riguardo altre questioni, come le sanzioni economiche e l’atteggiamento in altri teatri di crisi, a cominciare nel Medio Oriente. Trump sta affermando chiaramente che gli Stati Uniti ora non si comportano più come hanno fatto in passato, soprattutto durante la presenza Biden, ma perseguono loro interessi in modo autonomo.
Per quanto riguarda invece la posizione ucraina?
Per gli ucraini è stato molto pesante vedere alcuni aspetti fondamentali della loro posizione negoziale cancellati da un giorno all’altro da parte dell’amministrazione Trump, e non vedersi nemmeno coinvolti nelle manovre per la cessazione delle ostilità. Qualcuno ha detto, e trovo che la definizione sia molto calzante, che sia europei che ucraini vogliono essere al tavolo, ma non sul menù delle trattative. Beh, credo che sarà questo il motivo-chiave delle iniziative, delle risposte e delle dichiarazioni dei prossimi giorni e delle prossime settimane.
Quali sono le tappe che l’Europa dovrebbero intraprendere?
Se ci limitiamo al contesto dell’Ucraina credo che l’Europa dei Paesi più importanti e più disponibili a impegnarsi, inclusa la Gran Bretagna, dovrebbe cercare di articolare un’offerta da mettere sul tavolo, non solo nei confronti di Washington e nei confronti dell’Ucraina, ma anche per assumere una sua postura. Mostrando quello che si è disposti a mettere sul tavolo, non solo per essere presenti, ma anche per poter operare in modo positivo per il consolidamento di un eventuale accordo di cessate il fuoco. Offerta che è sì di natura economica, ma non solo: essa riguarda infatti la disponibilità a investire di più sulla difesa nazionale e continentale da parte dei singoli Stati. E anche la mobilitazione di maggiori risorse da parte dell’Ue per investire di più (e meglio) nell’ industria della difesa, dall’equipaggiamento agli armamenti e alle tecnologie di base. Impegni che non daranno tuttavia frutti immediati, ma a medio termine. Non sarebbero una risposta operativa immediata alle esigenze della situazione sul terreno, ma piuttosto una risposta politica, una manifestazione di responsabilità a farsi maggior carico della sicurezza del continente.
E dell’eventualità dei “boots on the ground” che ne pensa?
Questo è un terreno molto delicato, di cui gli esperti militari discutono già da un po’ di tempo, soprattutto dopo che il neosegretario americano alla Difesa Hegseth giorni fa ha dichiarato che questa “forza di rassicurazione” non dovrebbe essere una missione della Nato. Sollevando una serie di interrogativi, di dubbi e forse anche di timori fra gli europei riguardo all’eventuale impegno americano dentro e fuori dall’Alleanza Atlantica. Fino ad ora l’unico Paese che effettivamente si è dichiarato disponibile a certe condizioni è la Gran Bretagna, con Starmer che si è espresso in questo senso alla vigilia dell’incontro di Parigi. Altri, come la Polonia, avevano mostrato la loro disponibilità in precedenza, ritrattando poi dopo le dichiarazioni di Hegseth che avrebbero condizionato la loro disponibilità ad un impegno americano. Bisognerà capire fino a che punto Washington sarebbe disposto a fornire dietro le quinte supporto e assistenza a questa eventuale forza multinazionale europea. È una discussione ancora prematura, ma allo stesso tempo è una discussione che per poter dare frutto dovrà essere avviata il prima possibile.