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La sfida della Cavaliera. L’intervista-manifesto di Marina Berlusconi letta da D’Anna

Non un planetario di riflessioni, ma una sfida politica quella dell’intervista di Marina Berlusconi. Il messaggio a Giorgia Meloni e alla maggioranza di governo è subliminale, ma diretto: difendere l’Europa contro le dittature, essere al passo con l’evoluzione culturale della società, cavalcare l’emancipazione e la difesa dei diritti. L’analisi di Gianfranco D’Anna

Chi l’ha detto che per fare politica bisogna necessariamente scendere in campo? Silvio Berlusconi, certo, ma erano altri tempi, lascia intendere Marina Berlusconi, la prima figlia del tycoon made in Italy, che di fatto nonostante la dichiarata riluttanza sta interpretando e portando avanti caparbiamente la notevole eredità politica del fondatore di Forza Italia.

Web e social hanno plasmato e stanno continuando a sviluppare la dimensione pubblica virtuale, ma politicamente sempre più concreta dell’influencer leadership. L’ologramma di una virtuale leadership che la Cavaliera fa aleggiare con un intervento dall’alto, con una sorta di effetto “dea ex machina”, attraverso una particolareggiata intervista al Foglio. Solo che a differenza dell’analoga intervista rilasciata nel giugno del 2024 al Corriere della Sera, Marina Berlusconi questa volta è esplicita.

Fra tutti i modi per “oltrepassare il Rubicone” come storicamente viene definita l’inizio di una contrapposizione, di una sfida più o meno conflittuale, la primogenita del tre volte presidente del Consiglio ha scelto quella diretta di un’intervista-manifesto che contiene tutti i termini di una plateale sfiducia, anche se a carambola e dissimulata dietro l’enfasi della liberaldemocrazia, nei confronti di Giorgia Meloni e della maggioranza di governo, della quale fa parte Forza Italia il partito fondato dal padre Silvio Berlusconi e ora a carico della dinasty.

Se inizialmente Giulio Cesare per sfidare Roma attraversò il Rubicone con una sola Legione, la Cavaliera dispone di tre emittenti televisive nazionali, di un vasto network editoriale e industriale, ma soprattutto dell’ancora notevolissimo brand elettorale del nome Berlusconi.
“Faccio l’editore – esordisce Marina Berlusconi – e il problema della divisione del mondo e dell’emarginazione dell’Europa mi colpisce soprattutto dal punto di vista culturale”, dice, riecheggiando il mitico “l’Italia è il Paese che amo” della discesa in campo del genitore.
Una premessa per accusare senza mezzi termini Donald Trump di voler rottamare l’Occidente e quelli che chiama i signori delle Big Tech di manipolare e condizionare la vita quotidiana con la dittatura dell’algoritmo.

C’è pessimismo e sfiducia politica nelle parole della presidente di Fininvest e della Mondadori che da una parte si dice convinta che la premier Giorgia Meloni “meriti stima e rispetto per quello che sta facendo”, dall’altro si dichiara allarmata da Trump e Musk, “assolutamente antifascista”, favorevole all’integrazione dell’immigrazione, ai matrimoni gay e al suicidio assistito, preoccupata per il rischio della deriva elettorale neonazista della Germania.

Non è da poco che per la prima volta, citando un saggio sulla fine delle dittature, si schieri contro Putin, che pure è sempre stato alleato e sodale di lettone del padre, auspicando un avvicendamento al vertice a Mosca. Insomma “Io Marina, tu Giorgia”. Tu dalla parte di Trump, Musk, Salvini e il populismo, io schierata per i diritti umani e civili del liberalismo occidentale.

Sul planetario dei palazzi delle istituzioni è a questo punto, con l’insieme delle visioni degli scenari possibili, che si intuisce il vero senso dell’intervista-manifesto di Marina Berlusconi: trasformare Forza Italia nell’ago della bilancia della politica e perpetuare il ruolo apparentemente collaterale, ma in effetti sempre più centrale delle aziende di famiglia. Il che, nonostante la corsa dei pompieri all’interpretazione minimalista e benevola delle parole di Marina Berlusconi, lascia intravedere inevitabili riflessi sugli equilibri di governo.

Con Forza Italia che rischia la scissione, fra governisti (Tajani, Barelli, Gasparri & company) e filo Berlusconiani in modalità Marina e un riposizionamento fra i liberal progressisti. Una sorta di mix fra l’arte del possibile della politica e il postumo tratto miracolistico del padre fondatore.

Lo conferma un particolare dell’intervista che non è sfuggito: la mancanza di qualsivoglia riferimento alla giustizia e alla contrapposizione fra toghe e politica. Una ulteriore differenziazione col governo e, probabilmente, l’avvio di una normalizzazione dei rapporti familiari sempre tesi con le varie Procure che hanno indagato e spesso messo sotto accusa Silvio Berlusconi.

Come osserva Jean-Paul Malfatti, un giovanissimo poeta e scrittore italo-americano: “Il passato non si cambia, ma se si cambia il presente si finisce per cambiare anche il futuro”. E dunque il Cavaliere è morto, viva la Cavaliera!


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