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Papa Francesco e la malattia. L’effetto Bergoglio spiegato da Cristiano

Non è stato Francesco, durante il Covid, ad avvertirci che non eravamo davanti a cambiamenti epocali ma davanti a un cambiamento d’epoca? A chi dice che il suo pontificato si sta esaurendo, chiederei con molta semplicità: chi ci ha parlato dell’oggi, meglio di lui, ieri? La comprensione del tempo è fondamentale in Francesco. E in questo nostro tempo i corpi contano, pesano, ma molto spesso non li vediamo, li rimuoviamo. Lui no

Francesco migliora. È una buona notizia che mi porta a ritenere possibile, non irriguardoso o strumentale, scrivere qualcosa sul racconto della sua malattia.

La prima considerazione riguarda l’impazzimento del cosiddetto “circo mediatico”, che circo non è: si tratta di lavoratori che cercano di fare il loro dovere. Epperò sento ancora chi diceva “sembra che sia già morto”, o chi si preparava alla diretta, “tra poche ore”. Questo ha due spiegazioni: la prima, la più semplice, discende da quanto ha affermato con lucidità e chiarezza monsignor Vincenzo Paglia: quanti corvi si vedono in questi giorni intorno a San Pietro… I corvi volano, arrivano nelle redazioni, istillano il dubbio, diffondono la falsità, a volta la scrivono e alcuni ci cascano, più o meno onestamente, dipende. Comunque la macchia d’olio della morte del papa argentino si intrufola, si diffonde, cresce, si allarga. Ma per ottenere cosa? Nel racconto oleoso il conclave è già in atto, ne andrebbero raccontate le trame, i nomi forti: Francesco? Non c’è più. Eppure tutti sanno che le manovre sul successore del papa cominciano dal giorno dopo la sua elezione, ovviamente, figurarsi col passare del tempo. Ma questo trasferimento dell’attenzione da lui, dal papa regnante, al suo successore, ai “papabili”, è il loro obiettivo: Bergoglio non c’è più?

Se questo può essere l’intento di certe voci, di alcune “chiacchiere”, c’è poi il dato di fatto per me più interessante: i bollettini vaticani, che riprendono e integrano quelli dei medici, mi sembrano dire abbastanza della verità. E a questo noi non siamo abituati. Il riflesso è semplice, onesto, direi comprensibile: se lo dice il Vaticano che sta male, che ha la polmonite bilaterale, vorrà dire che sta peggio, forse…

E qui siamo all’effetto Bergoglio, il papa della trasparenza. Custode del vero senso del sacro, ha sovente corretto, in passato, le verità ufficiali, per dire come stanno le cose con la sua precaria salute. È solo “glasnost”? Non credo. È l’addio a certo trionfalismo – lo scrive benissimo oggi Luigi Manconiche ieri negava tutto, occultava tutto, con il bel risultato di costruire nell’immaginario collettivo un Palazzo di soli intrighi, di leggende, di infiniti “furbetti del quartierino”, o del “loggino” in questo caso; un palazzo dove abita solo il male. Che ovviamente non è vero, per nessun Palazzo. Come non è vero che in qualcuno di essi abiti solo il bene. Ma questo ritratto di “tempio degli intrighi” (che ci sono, figurarsi) è così noto e diffuso perché nell’occultazione di tutto non poteva che diffondersi questa rappresentazione. La trasparenza di Francesco smonta questo racconto, almeno in parte ne riduce la portata.

Accanto a questa sua “glasnost” c’è la perestroika che per me è l’umanizzazione della figura del papa, tra le più importanti riforme a mio avviso tra quelle in cui è impegnato. Abituati ormai a una Chiesa solo “magistra”, riscoprirne una anche o soprattutto “mater” è parso bellissimo, prezioso ad alcuni, insopportabile per altri. Quando disse “chi sono io per giudicare” alcuni obiettarono: “Ma come, chi sei per giudicare? Tu sai tutto, tu conosci tutto, tu sei il successore di Cristo”. E invece lui è il successore di Pietro. Dunque la malattia si innerva nella sua vita, ne é parte concreta, vera, non nascosta. Non si è ammalato un semidio, ma un uomo di 88 anni, acciaccato ovviamente. Bergoglio viaggia da tempo con la carrozzella, simbolo di un maggiore servizio, qualcosa di “sacro” direi, e qualcosa di “umano”. Pensiamo se avessero riesumato la vecchia sedia gestatoria, che spettacolo! Il papa che esce dal policlinico sulla sedia gestatoria, benedicente, o che attraversa con l’aiuto dei sediari la Porta Santa: sarebbe stato il muro invalicabile tra il papa e noi. Quel mondo nessuno lo ha cancellato, Giovanni Paolo II che mai ha “abrogato” la sedia gestatoria non l’ha mai usata e così quello strumento di trasporto è sparito, perché certe riforme sono irreversibili, benché non tutti apprezzino. Il papa distante, lassù… non c’è più.

Ma il passaggio non poteva essere netto, totale. Si procede, a tappe, come è giusto che sia, anche se poi arriva sempre il momento di accelerare. E la verità sulla malattia, sulla sofferenza, ha cominciato ad emergere con difficoltà in questi ultimi anni. Ma perché? Con acume Luigi Manconi scrive che Francesco intende dare dignità alla sofferenza nella sua concreta materialità. Credo che Manconi colga un punto molto importante, l’umanesimo integrale di Francesco, uno sviluppo che archivia il “Pastor Angelicus”… Ma Pastor Angelicus è stato il titolo della prima autobiografia filmata di un papa vivente. Le telecamere vaticane ripresero per giorni Pio XII nel 1942, facendo del Vaticano un set cinematografico. Si voleva portare il papa “vicino alla gente”, e la pellicola in quegli anni fu promossa a strumento da usare. Tutto ovviamente si svolse dentro la città leonina, un altro contesto rispetto a quello di chi avrebbe visto la pellicola. Ma non si poteva chiedere al Vaticano di arrivare allora dove è oggi. Quel film fu una novità, che ha aperto un cammino lungo il quale Bergoglio percorre altre tappe. Altri invece vorrebbero restare dove si era nel 1942, massimo slancio “modernista” pensabile.

Francesco ha fatto emergere, con la sua forza un’altra esigenza: non si tratta di “creare” una vicinanza “mediata”, ma di essere vicini, di stare in mezzo; è il papa in carrozzella, come c’è stato uno di noi mesi fa o come un altro ci sta oggi, o da anni; è modo per portarlo tra noi, come noi, uomo qual è. È la stessa visione che lo ha portato a inviare il suo saluto, visto che gli era stato richiesto, attraverso il festival di Sanremo. Perché no? Doveva forse occuparsi soltanto del Festival della Canzone Cristiana, incurante dei milioni di italiani che guardano Sanremo?

Questa cura per le persone reali, normali, lui la sviluppa anche facendo sapere che anche il papa sta male, come noi, sta male e prega tutti i giorni, come probabilmente noi non facciamo. Non lo faceva neanche una sua amica, una ex prostituta, che nel quartiere dove viveva da bambino tutti chiamavano “la Porota”. Bergoglio ne traccia un ritratto bellissimo nella sua autobiografia, “Spera”, di recente pubblicazione. Lei lo rintraccia dopo anni, saputo che è diventato arcivescovo di Buenos Aires, e lui ne racconta in modo stupefacente la vita, ricostruendone il linguaggio duro, da strada, che lei usa sempre. Fino a dirgli che ora ha cambiato vita, ma in chiesa non ci va, non ha tempo da perdere. Preferisce lavorare, agire: ho fatto di tutto con il mio corpo, ora voglio essere utile a questi corpi di anziani che nessuno vuole lavare, accudire. Il racconto prosegue, affascinante, passa attraverso una messa che lei lo invita a celebrare senza dirgli per chi: erano tutte prostitute o ex prostitute molte delle quali si volevano confessare. Poi l’ultima chiamata, gli chiede, tra un insulto a un medico e uno strillo sulla testa di un’altra paziente nell’ospedale dove è ricoverata, di portarle l’estrema unzione e la comunione, che quella volta si sentiva che non se la sarebbe cavata. “Genio y postura hasta la sepoltura”.

La Porota è una delle tante figure, affascinanti, che popolano questa sorprendente e affascinante autobiografia di un papa, molto diversa da “Pastor Angelicus”, perché questa autobiografia è ambientata molto spesso nelle strade del mondo, quello che hanno fatto di Bergoglio l’interprete di un tempo che, ritengo, noi non capiamo chiusi in un telefonino, mentre lui, grande camminatore ne coglie gli umori, le debolezze, gli orientamenti. Ha ottantotto anni, certamente, ma questo nostro tempo così difficile, a me sembra anche pericoloso, lui lo vede meglio di noi. Non è stato Francesco, durante il Covid, ad avvertirci che non eravamo davanti a cambiamenti epocali ma davanti a un cambiamento d’epoca? A chi dice che il suo pontificato si sta esaurendo, chiederei con molta semplicità: chi ci ha parlato dell’oggi meglio di lui, ieri? La comprensione del tempo è fondamentale in Francesco: i tempi cambiano, ha detto in una Messa a Santa Marta anni fa, e i cristiani con essi, fedeli al Vangelo. E in questo nostro tempo i corpi contano, pesano, ma molto spesso non li vediamo, li rimuoviamo. Lui no.

Il suo problema sarà capire se le limitazioni a cui potrebbe andare incontro nell’incontro con le strade del mondo, dove si svolge la vita, saranno così pesanti da mettere in pericolo il funzionamento del suo vivere i mutamenti del mondo, viverli profondamente, intimamente, comunicando con noi e chiedendo che noi si comunichi con lui. Questo è tra quelli possibili oggi il problema che un domani, se irreversibile, potrebbe portarlo a considerare le dimissioni di cui tanto si parla. Ma mi sembra un argomento non di attualità.


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