Skip to main content

Perché per il centrosinistra (che non c’è) è tutta questione di tattica vincente. L’opinione di Guandalini

Il dibattito nel campo largo, soprattutto nell’area centrista, è come vincere le prossime elezioni politiche. Per Prodi vale la riproposizione dell’Ulivo, uniti si vince. Per Franceschini, ogni partito corre da solo, per mettersi insieme dopo, speranzosi di aver vinto. Si sa, il problema gira tutto intorno a chi farà il premier della coalizione. L’opinione di Maurizio Guandalini

Chi ci legge sa come la penso. Il centrosinistra va costruito dal basso, giorno dopo giorno. Così i partiti presenti e futuri che ne faranno parte. Tra la gente per cogliere il sentiment più genuino. Poi la realizzazione può avvenire solo in un modo. Il premier – che è la sostanza – sarà il segretario del partito che avrà preso più voti tra i partiti dell’alleanza. Ed è il solo principio da sottoscrivere solennemente.

In questi giorni, però, il dibattito escatologico nel campo largo si sta infuocando e affollando. Quasi tutti esponenti della vecchia Dc, popolari e infine Margherita stanno scalciando per proporre il modo migliore per costruire il rassemblement e vincere le politiche del 2027. In particolare stanno emergendo due filoni di pensiero. Quello di Franceschini, ogni partito va da solo, e quello di Prodi, solo uniti modello Ulivo si farà strike. Sul Corriere a rinforzo delle tesi del Professore è uscita un’intervista a quello che fu l’ideologo dell’Ulivo, il professor Arturo Parisi.

Rispetto alle due posizioni abbiamo già risposto nelle prime righe. Aumentata la dose, il dibattito strategico ai quattro venti, fatto di esposizioni con interviste sui giornali e in tv, non ha portato mai a niente e spesso è prodromico al suo fallimento realizzativo. Vittima della sindrome morettiana, “che dici mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte o se non vengo per niente?”.

A noi qui ci interessa più dei limiti dei risvolti sociali, del vero interesse che suscita tra la gente, l’aspetto prettamente tattico. La strada che varrebbe la pena intraprendere per l’opposizione, senza cadere in quei giri larghi e incomprensibili che nascondono l’esprit pasticcione della coalizione di centrosinistra, simil macchina da guerra di occhettiana memoria che doveva prevalere sul primo Berlusconi e invece abbiamo visto com’è andata. Vittoria del cavaliere per ko tecnico ai danni gioioso caravan dei progressisti.

Il professor Parisi insiste nel dire che il modello migliore per la futura alleanza del centrosinistra è quello dell’Ulivo. Uniti si vince. Per far questo va bene il passaggio delle primarie di coalizione che dovrebbero determinare il premier che guida la coalizione. Inutile qui ricordare com’è andata nelle due volte che ha vinto Prodi. Un gruppo di partiti tenuti insieme con il vinavil e con la voglia matta sempre di rompere. E la debolezza reale del premier perché non era espressione di un partito, men che meno del partito di maggioranza. L’anello debole è questo. Infatti, se vediamo all’esperienza di Renzi, premier e segretario del Pd, dobbiamo costatare il miglior funzionamento della coalizione e il maggior tasso di riformismo al Governo.

Oggi riproporre l’Ulivo è impossibile, uniti prima della corsa verso la vittoria finale, perché c’è la variabile 5 Stelle, secondo partito della coalizione, un movimento che al fondo vuole tenersi libero, alimentando questa libertà con la ricerca massima del consenso. Con il leader, Conte, che tiene nel suo intimo l’aspirazione, mai smorzata, di fare ancora una volta il premier. La sostanza è che i partiti, tutti, del centrosinistra vogliono competere alla grande, anche il Pd, e quale miglior occasione di una corsa in solitaria di ogni partito per portare a casa il massimo consenso totale?

E qui entra in gioco la proposta Franceschini. Ognuno corra per proprio conto perché competition is competition. Poi ci si ritrova alla fine per mettersi insieme e fare il premier. E’ molto proporzionalista la corsa. E non c’è, oggi, alla perfezione, una legge elettorale che favorisca questa gara. Modello tedesco. Il Presidente della Repubblica incarica il premier, segretario del partito, espressione di un partito che riesce meglio costruire una coalizione vincente. In verità si mormora che la proposta Franceschini guarda soprattutto alla composizione del prossimo Parlamento che dovrà eleggere il successore di Mattarella. E la golden share fa di tutto perché stia nelle mani del centrosinistra.

Il limite della proposta Franceschini sta qui. Troppo libera. E poggia su ipotesi. Speranze. Aspirazioni. Che difficilmente riusciranno incastrarsi alla perfezione. Senza intralci o smacchi. Rewind. Può valere ed essere efficace con alcuni accorgimenti. Uno solo per la verità. Ogni partito della coalizione competa come un ossesso nella prossima campagna elettorale, presentando il proprio leader, ma prima deve sottoscrivere un accordo che il prossimo premier sarà espresso dal maggior partito della coalizione (quello a cui il Presidente della Repubblica dovrà guardare per conferirgli l’incarico). Quello che ha sempre fatto il centrodestra.

Rimane fuori da questo ragionamento il programma. In verità il programma sia per una parte sia per altra è un di più, sempre inattuale rispetto al momento. Le coalizioni al governo vivono alla giornata e spesso si devono adeguare ai format di Bruxelles o ai venti internazionali che spirano (si veda oggi la questione dei dazi di Trump). Basti confrontare quello che scriveva la Meloni in campagna elettorale e la conduzione di governo di tutti i giorni. Certo i partiti nelle diverse coalizioni esprimeranno molti punti in comuni che serviranno poi a compilare la sintesi di un programma e di una strategia comune.


×

Iscriviti alla newsletter