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Mosca gioca la carta degli asset per influenzare le trattative sull’Ucraina

La Russia potrebbe mettere sul piatto, nell’ottica di aprire un negoziato, la possibilità di utilizzare parte dei suoi stessi beni confiscati per aiutare i territori devastati dalla guerra. Una scelta che può impattare sulla posizione europea. Ma non solo

La mossa è di qualche giorno fa. Ma le onde rischiano di propagarsi per lungo tempo. La Russia potrebbe essere disposta a utilizzare una parte dei suoi 300 miliardi di dollari di beni congelati, poco meno di 200 solo in Europa, per aiutare a ricostruire l’Ucraina. Un passo indietro. Lo scorso giugno, in occasione del G7 di Borgo Egnazia, i Grandi della Terra trovarono un accordo politico di massima, sulla concessione a Kyiv di un prestito da 50 miliardi, da utilizzare per la ricostruzione del Paese, a cominciare dalle infrastrutture essenziali. Di questi fondi, ottenuti grazie al prelievo forzoso dei profitti generati dagli asset russi detenuti nel consorzio belga Euroclear, l’Europa ha staccato un assegno da 3 miliardi per l’Ucraina, ai primi di gennaio.

Adesso rimarrebbero, almeno sulla carta, le restanti risorse che vanno a formare il maxi-prestito. Ma ecco la possibile svolta, con alcune indiscrezioni che vorrebbero Mosca pronta a mettere parte dei suoi stessi asset sotto chiave, a disposizione dei territori ucraini devastati dalla guerra. Allargando lo spettro, la decisione del Cremlino fungerebbe da leva per un possibile accordo di pace, ora che gli Stati Uniti sono entrati in azione per aprire ufficialmente un negoziato. In sostanza, l’opzione russa, finirebbe sul tavolo delle trattative, con l’obiettivo di fluidificare il percorso verso un’eventuale intesa.

Lo dimostra il fatto che, secondo quanto riportato da Reuters, la Russia potrebbe accettare di destinare fino a due terzi dei beni congelati alla ricostruzione dell’Ucraina, a condizione che vengano fornite garanzie di rendicontazione sugli stessi asset. Attenzione, non si tratterebbe di una donazione o di un atto di carità. Semplicemente di spacchettare parte dei fondi e dirottarli sui territori distrutti dal conflitto. A questo punto la domanda è: come potrebbe reagire l’Europa, dinnanzi a questa apertura della Russia che potrebbe sparigliare le carte in seno al G7, più di quanto non lo siano già.

La posizione di Bruxelles in merito alla questione degli asset russi è infatti abbastanza chiara: bisogna fare di tutto affinché tutti i proventi generati dai beni di Mosca confiscati arrivino a Kyiv. Non è un caso che Kaja Kallas, alto rappresentate per gli Affari Esteri dell’Unione, abbia annunciato trionfalmente l’aumento dei Paesi europei che sostengono il congelamento a oltranza degli asset pur nella consapevolezza che all’interno del G7 manca ancora una condivisione totale di tale linea. Come non è casuale la dichiarazione del primo ministro polacco, Donald Tusk, per una rottura degli indugi e un più massiccio finanziamento dell’Ucraina, proprio grazie ai famosi beni congelati.

Il ragionamento non può dunque che allargarsi agli Stati Uniti, che di fatto tengono le fila di eventuali negoziati per la pace, senza ovviamente dimenticare il peso specifico nello stesso G7. Come a dire, se la Russia decidesse davvero di aumentare la pressione sull’Occidente per un accordo, ventilando l’idea di usare i suoi stessi asset per i territori ucraini, per gli Usa, che la pace la vogliono, sarebbe certamente un elemento da valutare molto seriamente, nonostante le posizioni ben più oltranziste dell’Europa.


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