Solo due giorni fa l’ammissione, da parte dello stesso governo, delle prime crepe nei conti pubblici di Mosca. Ora, dopo due anni di prestiti forsennati, gli istituti dell’ex Urss devono vendere i lingotti per non fallire
I caveau pieni zeppi di lingotti avevano sempre rappresentato per le banche russe una forma estrema di sicurezza. L’ultima ciambella di salvataggio, forse quella più robusta a cui aggrapparsi. Eppure, il prezzo della guerra mossa contro l’Ucraina, nelle settimane in cui si fanno largo i primi, timidissimi, tentativi di negoziati, è sempre più pesante per l’ex Urss. La quale, come raccontato da Formiche.net, sta già assistendo alle prime, vere, crepe nei suoi conti pubblici, con l’esplosione del deficit a causa della troppa spesa pubblica legata al finanziamento dell’invasione.
Adesso anche le banche perdono le loro certezze, anche se una spiegazione c’è. Da quando Mosca ha deciso di aggredire l’Ucraina, alle banche, statali o private fa poca differenza, è stato chiesto di aumentare il volume dei prestiti alle imprese legate all’industria bellica. Ricorrendo anche ad alcuni trucchetti per mascherare le uscite, creando un sistema di finanziamenti ombra e dunque fuori dai bilanci ufficiali. Peccato che al Cremlino non abbiano tenuto conto di due variabili. Primo, lo sforzo bellico ha prodotto un’inflazione che molto presto toccherà il 10%, costringendo la Bank of Russia a portare i tassi al 21% se non al 23%, lo si vedrà al prossimo board. Secondo, con l’inflazione alle stelle e il costo del denaro ai massimi storici, non solo i normali cittadini fanno fatica a fare la spesa, ma le stesse imprese indebitate con le banche fanno fatica a rimborsare i prestiti.
E per gli istituti sono dolori e non resta che dare fondo al bene rifugio per eccellenza, l’oro, ora diventato mezzo di sopravvivenza. Ecco come si spiega il fatto che le riserve auree fisiche nelle banche russe, alla fine del 2024, siano diminuite drasticamente, attestandosi a circa 38 tonnellate, ovvero la metà rispetto all’autunno del 2023. Al primo gennaio 2025, il volume di oro detenuto negli istituti commerciali ha raggiunto il livello più basso da luglio 2022. Secondo la Banca centrale russa, nel 2024 i saldi dei conti dei metalli preziosi sono diminuiti del 23,6% in termini monetari, mentre sono scesi del 46%, ovvero di oltre 33 tonnellate, in termini fisici. Basta un confronto: l’ultima volta che si è assistito a un calo così netto delle riserve auree è stato nel 2020, durante la pandemia, quando il volume di oro detenuto dalle banche russe è diminuito di 34,5 tonnellate.
Tutto questo mentre, nel solo mese di gennaio, secondo il ministero delle Finanze russo, il deficit dell’ex Urss è aumentato del 74% rispetto allo stesso mese del 2024, raggiungendo i 4,4 trilioni di rubli, poco meno di 50 miliardi di dollari. Si tratta, per stessa ammissione del governo, di una quota pari all’intero disavanzo previsto dal Cremlino per il 2025: in altre parole, nel primo mese dell’anno Mosca ha già esaurito il budget di deficit per il 2025.