Le polemiche attorno al caso Almasri, lo scontro con servizi e magistratura potrebbero logorare la tenuta del Paese. Le soluzioni potrebbero essere due: una verifica elettorale poco prima o dopo l’estate, oppure Meloni prende il toro per le corna e dà una scossa vera al suo governo e alla sua maggioranza. L’opinione di Francesco Sisci
Il Lodo Moro fu un accordo molto controverso per l’Italia. Roma, nel 1973, un momento di altissima tensione sociale, nel mezzo della Guerra Fredda, scelse di venire a patti con i terroristi dell’Olp (Organizzazione per la Liberazione della Palestina). Garantiva all’organizzazione uno spazio neutrale in cambio dell’impegno di non effettuare attentati in Italia.
L’accordo era delicatissimo. Poteva essere interpretato come un appoggio italiano all’Olp nel momento in cui l’Italia comunque aveva una forte collaborazione con Israele e con gli Usa, nemici dell’organizzazione. L’accordo poi escludeva il gruppo più radicale di Abu Nidal, e l’esclusione poteva essere a sua volta controversa. Se l’accordo fosse emerso sia palestinesi che israeliani si sarebbero infuriati. Il segreto era la condizione per raggiungere un qualche obiettivo.
Gli storici decideranno se fu giusto meno, ma funzionò con l’Olp, e il governo italiano decise per una ragione di Stato che ne aveva bisogno. Per funzionare aveva bisogno di un elemento – il segreto. La ragione di Stato infatti spesso è come quelle pitture che conservano i colori al chiuso, una volta portate alla luce si disintegrano. Cioè, la ragione di Stato funziona quando viene mantenuto il segreto. Se il segreto viene divulgato, tutto salta.
La vicenda di Almasri avrebbe essere dovuta nascosta dal segreto di Stato per una ragione di Stato. Per motivi poco chiari non è avvenuto. Poi c’è stata la vicenda delle intercettazioni sul capo di gabinetto del governo Gaetano Caputi, chieste ai servizi e, secondo quanto scrivono i giornali, lasciate in pubblico. La responsabilità è, secondo il governo, del procuratore capo di Roma Francesco Lo Voi.
Domenica i giornali avevano in prima pagina articoli sulla irritazione dei servizi di intelligence per essere stati trascinati in pubblico e coinvolti in polemiche che non li dovrebbero riguardare. I servizi, la magistratura sono le basi per garantire l’ordine pubblico; consentono poi ogni attività sociale ed economica. Se questi due pilastri sono scossi, lo Stato è in pericolo. In Italia negli anni ’60 e ’70 i servizi entrarono nel mirino dei sospetti, ma la magistratura era molto rispettata e la questione si chiuse. Dopo la fine degli anni ’90 è stata la magistratura a essere sotto attacco ma servizi e forze dell’ordine hanno retto il colpo.
Oggi, forse per la prima volta nella storia d’Italia, contemporaneamente magistratura e servizi sono attaccati. Gli attacchi possono essere giusti o giustificati, ma esporre queste due istituzioni basilari di ogni Stato a polemiche pubbliche scuote le fondamenta del Paese.
Sistemi fortemente autoritari, forti a partire dalla cima, possono permettersi purghe massicce dei sistemi di sicurezza, perché la stabilità dello Stato è garantito dai vertici. Il problema è che poi una crisi al vertice travolge lo Stato, che ha sistemi di sicurezza politicamente deboli.
I sistemi democratici hanno strutture diverse. Sono fatti in modo che gli apparati, neutri e con un particolare senso dello Stato, reggano il Paese in caso di oscillazioni o crisi al vertice. Il presidente americano Donald Trump, che ufficialmente promette scombussolamenti negli apparati legali e di sicurezza, in realtà ha il sostegno di una parte di tali apparati. Tale parte chiede riforme massicce per affrontare le nuove minacce interne ed esterne. Un passo fondamentale di questa riforma è stato avere l’appoggio della maggioranza della Corte suprema. Un altro è avere messo al lavoro da anni think tank pesanti come la Heritage Foundation o l’Hudson Institute.
Ciò detto, Trump potrebbe fallire per la resistenza degli apparati, ma se avrà successo sarà perché sarà riuscito a far passare una “rivoluzione culturale” nel Paese.
Il governo di Giorgia Meloni cosa vuole fare? Scuotere contemporaneamente magistratura e servizi? Ha l’appoggio della Corte costituzionale, della Corte di Cassazione, dei magistrati e, nel caso italiano, del vertice dello Stato, il Presidente Sergio Mattarella? Dato poi il modo in cui i servizi operano in Italia, in rapporto stretto con la magistratura, oltre all’obbedienza dovuta e gerarchica per il capo del governo, qual è il sentimento nei servizi? Se Meloni vuole una “rivoluzione cultutrale” dove sono i suoi convincenti maître à penser o think tank?
Nei sistemi democratici, in caso di conflitto con apparati d’ordine dello Stato, la soluzione più pratica e stabilizzante è quella di fare cadere il governo.
Il questo caso se il governo cadesse su tali vicende si getterebbe poi un’ombra su tutto il Paese. Non è bello, a dire poco, andare al voto per uno scontro tra governo e magistratura e servizi, lascia un odore di autoritarismo che potrebbe inquinare molti pozzi. La soluzione va recuperata con un accordo istituzionale il prima possibile.
In ogni caso forse siamo davvero giunti al punto della necessità di una verifica elettorale magari poco prima o dopo l’estate. Il Paese potrebbe consumarsi nel logorio continuo di queste polemiche che affiorano ormai con frequenza quotidiana. Oppure Meloni prende il toro per le corna e dà una scossa vera al suo governo e alla sua maggioranza.