Mentre le spese militari globali si confermano in aumento, la Russia registra una crescita percentuale maggiore rispetto ai Paesi europei, i quali sono chiamati a uno sforzo maggiore in sede Nato. Nel frattempo, i poderosi investimenti sulle capacità produttive creano interrogativi sulle intenzioni di Mosca nel medio periodo, mentre i servizi segreti danesi lanciano l’allarme sul rischio di un attacco russo all’Europa entro i prossimi anni
La spesa globale per la Difesa continua ad aumentare. Come riportato nel Military Balance 2025, il report annuale realizzato dall’International institute for security studies (Iiss), le spese combinate per la Difesa hanno raggiunto nel 2024 la cifra record di 2,46 trilioni di dollari, contro i 2,24 trilioni del 2023. In percentuale, questo equivale a un aumento del 7,4% rispetto all’anno precedente, confermando il trend in ascesa degli ultimi anni. A trainare questa crescita non sono solo le spese relative ai conflitti attualmente in corso, ma soprattutto la crescita degli investimenti globali nella Difesa per gli anni a venire. Su tutti i dati, colpisce quello relativo alla Russia, le cui spese militari continuano ad aumentare, forse non solo in funzione dello sforzo bellico in Ucraina.
Nel 2025 la Russia spenderà più dell’Europa?
Nel 2024 Mosca ha destinato il 6,7% del Pil, pari a circa 145,9 miliardi di dollari, alle spese militari. Di contro, le spese combinate dei Paesi europei (incluso il Regno Unito) hanno sfiorato quota 457 miliardi nel 2024. L’Iiss fa notare che, se calcolati a parità di potere d’acquisto, gli investimenti russi ammonterebbero a circa 461,6 miliardi di dollari. Se comparato alla spesa europea, questo dato vorrebbe la Russia spendere da sola più di tutti i Paesi del Vecchio Continente messi insieme. Questo a causa dei costi di produzione degli armamenti russi, i quali sono quasi integralmente realizzati all’interno del Paese. Tuttavia, tale comparazione rischia di trarre in inganno: dati alla mano, la Russia non spende più dell’Europa. Semplicemente, la Russia spende unitariamente meno degli europei per i propri armamenti, non dovendo rivolgersi all’importazione dall’estero e potendo godere di una solida base industriale domestica.
Non solo quanto, ma come si investe
Nel 2025, si prevede che la Russia aumenterà ulteriormente gli investimenti e che raggiungerà una quota pari al 7,5% del Pil. Benché i volumi di investimento siano importanti per realizzare delle previsioni preliminari, da soli non bastano per una stima puntuale delle capacità belliche di uno Stato. Il volume quantitativo degli investimenti rappresenta una base, ma è l’analisi qualitativa a fornire materiale per analisi più strutturate. Nel caso russo, una parte consistente del budget è dedicata alla fornitura in massa di equipaggiamenti basilari, come munizioni e mezzi di combattimento, necessari per alimentare una dottrina operativa che prevede perdite alte in termini di equipaggiamenti e di vite umane. Tale dottrina, storicamente prediletta dalla Russia e confermatasi in Ucraina (dove Mosca, pur in vantaggio tattico, perde molti più uomini di Kyiv), rappresenta un buco nero per il bilancio, il quale viene quasi monopolizzato dalla necessità di produrre più di quanto si perda in tempi brevi. Compito, questo, che con un conflitto in corso lascia sempre meno fondi per la ricerca. Contrariamente, le spese militari occidentali hanno sempre privilegiato lo sviluppo e la produzione di sistemi avanzati con l’obiettivo di mantenere la superiorità tecnologica sull’avversario. I due atteggiamenti riflettono due dottrine belliche opposte: da un lato quella russa, che punta sui numeri e sul logoramento del nemico sul lungo termine, dall’altro quella occidentale, che punta sulla superiorità qualitativa degli armamenti e su confronti rapidi e risolutivi.
Quali sono i piani di Mosca?
Ammesso e non concesso che il 2025 sia l’anno in cui la guerra d’Ucraina vedrà una sua risoluzione, sembra che al Cremlino i piani per il riarmo siano appena all’inizio. La crescita negli investimenti russi sembra indicare che Mosca non si stia limitando ad alimentare la propria macchina bellica, consumata dagli scontri in Ucraina, ma che stia puntando su un rafforzamento complessivo delle proprie capacità industriali sul lungo termine. Dunque, anche ammesso che la Russia desideri porre fine alla guerra, pare che Mosca preveda di dover continuare ad aumentare il proprio potenziale bellico nei prossimi anni. Perché?
Un attacco alla Nato entro 5 anni?
Le spiegazioni per gli investimenti di Mosca possono essere molteplici. Da un lato vi è l’ipotesi della deterrenza rafforzata: il mantenimento di una Forza armata consistente nonostante la conclusione del conflitto potrebbe dissuadere eventuali aggressori dal pensare la Russia come vulnerabile. Tale ipotesi, nel caso russo, rimane sempre valida. D’altronde, per un Paese sprovvisto di leve economiche di rilievo (l’ultima, l’energia, se l’è giocata nel 2022), il mantenimento di una Forza armata consistente rimane l’unica vera garanzia contro eventuali aggressori. Tuttavia, dall’Intelligence danese viene anche un’altra ipotesi: la Russia potrebbe valutare un attacco contro l’Europa entro i prossimi cinque anni. Secondo gli 007 di Copenhagen, se la Nato sarà percepita come debole o incapace di portare avanti un serio riarmo, la Russia potrebbe sentirsi incoraggiata ad attaccare. Su questa eventualità si è espresso il segretario generale della Nato, Mark Rutte, il quale, durante vertice del Gruppo di contatto per la Difesa dell’Ucraina, ha affermato che, se Vladimir Putin dovesse attaccare l’Alleanza, “la reazione sarebbe devastante, e lui lo sa”. Secondo Rutte, la via maestra per evitare che la Russia possa percepirsi come in grado di condurre un attacco nei confronti della Nato rimane l’aumento delle spese militari, che secondo il segretario generale dovrebbe essere “superiore al 3%” per garantire una deterrenza convenzionale minima nei prossimi anni. Nel frattempo, il segretario alla Difesa degli Stati Uniti, Pete Hegseth, ha ribadito l’impegno di Washington nella sicurezza europea, ma ha esortato gli Alleati europei a intensificare i propri sforzi nel rafforzare le capacità convenzionali della Nato, specificando che “non tollereremo più squilibri”.