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Terre rare, l’oro nascosto dell’Ucraina nel mirino di Trump

La guerra in Ucraina si intreccia con la corsa globale alle terre rare. Trump vuole assicurare agli Usa l’accesso a queste risorse critiche, “secondo una tattica già mostrata con la Groenlandia”, nota Alberto Prina Cerai (Ispi). E Kyiv valuta come sfruttare la situazione a proprio vantaggio

Il tanto vociferato “approccio transazionale” del presidente statunitense Donald Trump si è manifestato anche all’interno del dossier Ucraina. Nelle scorse ore Trump ha infatti manifestato la sua intenzione di condizionare il mantenimento del supporto militare al Paese in guerra con la Russia, supporto che lo stesso Trump ha sottolineato essere di gran lunga superiore a quello degli altri alleati, all’accesso statunitense alle riserve di terre rare in Ucraina. “Stiamo cercando di fare un accordo in cui loro si assicurino ciò che noi diamo loro con le terre rare e altre cose”, sono le parole pronunciate dal presidente statunitense, “Stiamo investendo centinaia di miliardi di dollari. Hanno grandi riserve terre rare. E io voglio la sicurezza delle terre rare, e loro sono disposti a raggiungere accordo”.

Effettivamente, da Kyiv le reazioni sembrano essere positive. Il Financial Times riporta la dichiarazione di una persona vicina al presidente ucraino Volodymyr Zelensky secondo cui le osservazioni di Trump “sembrano allinearsi al ‘piano di vittoria’ presentatogli in autunno”, specificando che l’Ucraina ha offerto a Trump “condizioni speciali” per la cooperazione sulle risorse chiave, sottolineando la necessità di proteggerle dalla Russia e dall’Iran. “Naturalmente, siamo pronti a lavorare con l’America”.

“La dichiarazione di Trump è sicuramente un’altra uscita che si allinea alla tattica negoziale e retorica già mostrata con la Groenlandia sul tema delle terre rare. In questo, si tratta di un’ulteriore prova che il tema delle materie prime critiche è diventato uno strumento di ‘diplomazia delle risorse’”, commenta per Formiche.net  Alberto Prina Cerai, Junior Research Fellow presso l’Osservatorio Geoeconomia dell’Ispi,

Alla fine dello scorso anno l’Ucraina aveva programmato di firmare un accordo con l’amministrazione Biden per cooperare nell’estrazione e nella lavorazione dei minerali. Ma le autorità ucraine hanno rinviato la firma di tale accordo, in quello che i funzionari di entrambe le parti hanno letto come un segnale del fatto che Kyiv stesse aspettando che l’arrivo di Trump alla Casa Bianca per firmare un accordo con lui, in una più generale ottica di avvicinamento ad un presidente che durante la campagna elettorale non era stato certamente morbido con il Paese dell’Europa orientale.

Sul territorio ucraino sono presenti vaste riserve di titanio, minerali ferrosi e carbone, oltre a circa cinquecentomila tonnellate di litio ancora non sfruttate, per un valore complessivo stimato intorno alle decine di trilioni di dollari. Ma molte di queste risorse, assieme ai territori in cui esse sono locate, potrebbero finire sotto il controllo delle truppe di Mosca, che potrebbe continuare a controllarle anche dopo la fine del conflitto. Una perdita non da poco per Kyiv, che non potrebbe contare su queste preziose risorse per sostenere il processo di ripresa economica post-bellica.

“È inoltre da capire se, erroneamente, il presidente neo-eletto intendesse in generale le risorse di minerali conosciuti in Ucraina (come uranio, litio e titanio) o proprio nello specifico il gruppo di diciassette elementi noti come terre rare (rare earth elements – Ree)”, ragione Prina Cerai, “In quest’ultimo caso, si tratta di materiali essenziali per la difesa e alcune tecnologie green, per i quali Trump durante la sua prima amministrazione attivò il Defense Production Act per stimolare il reshoring dell’estrazione e la processazione, due passaggi della filiera che attualmente impediscono agli Usa di sganciarsi dal dominio cinese”. L’esperto dell’Ispi sottolinea anche come sia poco probabile che nel breve-medio periodo l’Ucraina possa effettivamente posizionarsi come sicuro fornitore degli Usa, per via del rischio geopolitico e dei lunghi tempi di realizzazione dei siti estrattivi per i suddetti minerali.


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