In Italia, secondo l’Osservatorio Waste Watcher Internazional, si sono sprecati nel 2024 32 chilogrammi e mezzo a testa. E questo nonostante la povertà alimentare aumenti
Secondo la Fao, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, più di un terzo di tutti gli alimenti prodotti nel mondo va perso o sprecato, oltre due miliardi di tonnellate. Nella sola Unione europea ogni anno vengono buttate 59 milioni di tonnellate di cibo, 131 chili a testa. In Italia, secondo l’Osservatorio Waste Watcher Internazional, si sono sprecati, nel 2024, 32 chilogrammi e mezzo a testa; più al Sud, nelle grandi città e tra il ceto medio basso. Si spreca meno al Nord e nei Comuni di medie dimensioni. Tra i prodotti che finiscono nella spazzatura troviamo soprattutto frutta fresca, insalate, pane e verdure.
In occasione della Giornata nazionale contro lo spreco alimentare, che si celebra oggi 5 febbraio, il rapporto dell’Osservatorio fotografa un’Italia più sprecona nonostante l’aumento della povertà alimentare. Lo spreco alimentare domestico vale oltre 139 euro a testa l’anno, per un costo totale lungo tutta la filiera di oltre 14 miliardi (quello domestico supera gli 8 miliardi) e più di 4 milioni e mezzo di tonnellate gettate.
“Mancano soltanto cinque anni al 2030 e ne sono già trascorsi dieci dall’adozione dell’Agenda 2030 da parte delle Nazioni Unite che chiedeva di dimezzare lo spreco di cibo”, ha ricordato Andrea Segrè, fondatore della giornata nazionale e direttore scientifico dell’Osservatorio. “Per questo nel 2025 la Giornata lancia la sua sfida a tutti gli italiani: per arrivare nel 2030 a uno spreco di 369 grammi settimanali, dobbiamo ridurre di 13 chili il cibo sprecato nelle nostre case. Una sfida ambiziosa, nella quale possiamo cimentarci con lo Sprecometro, che ogni giorno misura non solo lo spreco del cibo ma anche la nostra impronta ambientale, lo preco dell’acqua e le emissioni correlate al cibo gettato”.
Secondo un sondaggio Ipsos, il 63% degli italiani assume un atteggiamento pragmatico nei confronti del cibo: compro al prezzo che ritengo più giusto. Il 26% mette la qualità al primo posto: il cibo di alta qualità è molto importante e sono disposto a spendere per avere la certezza della qualità. Solo l’8% punta al risparmio: ho altre priorità rispetto al cibo, cerco di spendere il meno possibile. La contrazione del potere d’acquisto dei salari ha portato le famiglie italiane a tagli e rinunce: negli ultimi dodici mesi il 38% ha rinunciato all’acquisto dei prodotti di marca, il 31% ai prodotti biologici, mentre il 24% ha acquistato solo prodotti di base e il 19% ha tagliato la spesa più della metà.
I nostri connazionali pensano che lo spreco alimentare sia importante anche nella ristorazione e nel commercio: ristoranti e pizzerie (80%); negozi alimentari (78%); bar e birrerie (68%). Le soluzioni ci sarebbero, come donare le eccedenze della giornata o venderle a prezzi scontati; praticare sconti e offerte per i prodotti prossimi alla scadenza; offrire la doggy bag con gli avanzi del pasto.
Secondo il Piano d’azione dell’Unione Europea per l’economia circolare “la produzione, la distribuzione e la conservazione degli alimenti, sfruttando le risorse naturali, hanno effetti sull’ambiente; lo scarto di cibo ancora commestibile aggrava questi effetti e causa perdite per i consumatori e per l’economia. I rifiuti alimentari hanno un importante aspetto sociale, per cui il dono di prodotti alimentari ancora commestibili ma che, per ragioni logistiche o di mercato non possono essere commercializzati, dovrebbe essere facilitato”.
Secondo la Commissione Europea, un giorno su due quasi 33 milioni di persone non possono permettersi un pasto completo; ogni anno si perdono fino a 132 miliardi di euro per gli sprechi alimentari che causano il 16% delle emissioni di gas serra. Gli Stati membri dell’Unione si sono impegnati a rispettare l’obiettivo di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030 di dimezzare gli sprechi alimentari pro capite a livello di commercio al dettaglio e di consumatori, riducendo le perdite alimentari lungo le catene di produzione e di approvvigionamento.
La direttiva quadro sui rifiuti stabilisce un ordine di priorità per le azioni volte a ridurre le perdite e gli sprechi. La prima di queste azioni riguarda la prevenzione, evitando perdite e sprechi. Poi il riutilizzo, attraverso ridistribuzione e banche alimentari, o conversioni in mangime; e ancora il riciclo, recuperando i sottoprodotti e riutilizzando i nutrienti per usi come il compostaggio; infine l’incenerimento con recupero di energia. Tutto in un’ottica di economia circolare.
Ed è quello che fanno da un po’ di anni le aziende dell’Unione Italiana Food, come ci ha spiegato Antonio Feola, responsabile sostenibilità dell’associazione e vicepresidente del Conai: “il problema dello spreco alimentare è particolarmente sentito dalle nostre aziende. Lo dimostrano i vari rapporti di sostenibilità dai quali si evince come abbiano ridotto considerevolmente lo spreco negli stabilimenti, mettendo in atto una serie di politiche industriali che lo riducono durante la fase di produzione. Per fare un esempio, fette biscottate o biscotti rotti vengono utilizzati come materia prima per mangimi. Quindi, anziché creare rifiuti alimentari diventano materia prima per altri tipo di prodotti, come i mangimi, appunto: un esempio virtuoso di economia circolare”.
In Italia, dal 2019 è in vigore la legge n. 166, la cosiddetta legge Gadda sugli sprechi alimentari. Oltre alla definizione chiara degli attori che operano in questo settore, anche quelle relative alle eccedenze alimentari, spreco, donazione, conservazione e data di scadenza. Viene anche normata la possibilità per le autorità di donare gli alimenti oggetto di confisca alle organizzazioni non profit, alle agevolazioni amministrative, all’incentivazione del recupero per il consumo umano e per quello zootecnico o energetico.
Ed è attualmente in discussione in Parlamento un disegno di legge, Misure per sensibilizzare i consumatori all’adozione di condotte virtuose orientate alla riduzione dello spreco alimentare, che esorta a “un consumo completo del cibo preparato in casa o ordinato al ristorante”. In questo caso è prevista anche “l’introduzione sistematica della possibilità di ordinare porzioni ridotte, allo scopo di ridurre al massimo la quantità di cibo prodotta ma non consumata, a beneficio del consumatore stesso e della sostenibilità ambientale”.
Come ammoniva già qualche anno addietro il presidente Sergio Mattarella “lo spreco è un insulto alla società, al bene comune, all’economia del nostro come di ogni Paese. Alcuni progetti di solidarietà stanno dando risultati positivi, occorre estenderli, valutando come intervenire con strumenti legislativi di sostegno. Ridurre gli sprechi è un grande impegno pubblico, a cui possono partecipare da protagonisti la società civile organizzata, il volontariato, la cooperazione, l’impresa privata”.