Skip to main content

Un’agenda Meloni (in tre punti) per dialogare con Washington. Il commento di Arditti

Se la discussione con Trump parte dal presupposto (e moltissimi da questa parte dell’oceano ragionano così) che quello è un delinquente da sconfiggere e criticare per la capigliatura, vuol dire che si vuole litigare, non cercare un accordo (è quello che ha fatto Zelensky). Ma un’altra strada è possibile, Giorgia Meloni può imboccarla. Il commento di Roberto Arditti

In questa fase di acque agitate (mi si perdoni l’eufemismo) nei rapporti transatlantici come si può giocare un ruolo costruttivo da parte dell’Italia, del suo governo e della sua premier Giorgia Meloni?

L’esercizio non è puramente retorico, poiché proprio nelle fasi di crisi occorre trovare chi sa inventare soluzioni, visto che già molti operano per creare problemi. Ecco allora tre possibilità concrete, ad alto valore politico, che dovrebbero costituire l’”Agenda Meloni” per una auspicabile “riconciliazione”, a tutto vantaggio di quell’Occidente che ha già abbastanza nemici in giro per impiegare energie a dividersi.

Punto primo, agire in Europa dicendo a destra e a manca che la nuova amministrazione americana non è il male assoluto, non è l’emissario segreto di Putin (ridicolo solo pensarlo), non è un soggetto politico da battere cercando la rivincita rispetto al novembre 2024: la campagna elettorale è finita, le elezioni le ha stravinte Trump ed è con la sua squadra che occorre lavorare.

Punto secondo, operare sul versante della crisi ucraina cercando la pace “possibile”, lasciando ai chiacchieroni da bar dello sport quella creatura infida che si chiama pace “giusta”, contenitore perfetto per proseguire all’infinito una guerra che certamente non serve agli ucraini e, ad essere onesti, nemmeno a noi.

Punto terzo cogliere al balzo alcune evidenze di carattere mondiale (aumento dei costi dell’energia, crisi dell’industria automobilistica nostrana, turbolenze varie in luoghi “sensibili” del pianeta, come Medio Oriente e Congo) per spingere verso una robusta revisione dell’impostazione “green” tanto cara a Bruxelles, impostazione che non regge più da nessun punto di vista.

Certo, poi c’è da definire una strategia di approccio con Washington.

Qui c’è molto da fare, a patto di sgomberare il campo da molte battaglie di principio (destinate a lasciare il tempo che trovano) per spostare decisamente il peso sul fronte degli interessi. Vedo di spiegarmi meglio: se Trump ha in mente dazi a più non posso, l’Europa, anziché rispondere con ridicole contestazioni a mezzo stampa, si metta al tavolo della trattativa (anzi molto andrebbe fatto dai capi di governo, che sono gli unici ad essere votati) con tutte le sue “armi” schierate.

Si discuta quindi con gli americani del trattamento fiscale e in tema Gdpr con i colossi del web, si ragioni di forniture militari Usa (si vedano i numeri proposti da Ursula von der Leyen), si mettano a terra programmi spaziali di piena sinergia con Nasa, Starlink e tutti gli altri, si proceda ad un piano di acquisizione di gas di lungo periodo, si giunga a nuovi equilibri di sicurezza tali da sgravare Washington da molti degli impegni esistenti in Europa e nel Mediterraneo.

Insomma se la discussione con Trump parte del presupposto (e moltissimi da questa parte dell’oceano ragionano così) che quello è un delinquente da sconfiggere e criticare per la capigliatura, vuol dire che si vuole litigare, non cercare un accordo (è quello che ha fatto Zelensky).

Ma un’altra strada è possibile, Giorgia Meloni può imboccarla.


×

Iscriviti alla newsletter