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Quale nuovo ruolo per le biblioteche nell’era digitale. Scrive Monti

Negli ultimi anni, le biblioteche italiane hanno affrontato profonde trasformazioni per rispondere alle esigenze dei cittadini nell’era digitale. Oggi servono interventi per promuovere una maggiore bibliodiversità, stimolare nuove domande da parte dei cittadini e rafforzare la loro funzione di condivisione della conoscenza. Il commento di Stefano Monti

Negli ultimi anni si è discusso molto del ruolo delle biblioteche. Storicamente considerate come roccheforti della conoscenza, con l’avvento di Internet, e quindi con il venir meno di quel binomio che legava la conoscenza al suo supporto fisico, il settore bibliotecario ha conosciuto un periodo di profonda crisi identitaria.

Si è trattato di un periodo di profonda riflessione, che ha portato ad una serie di consapevolezze che hanno influenzato in modo significativo la percezione che il settore bibliotecario ha di sé stesso, dapprima sotto il profilo teorico, poi, seppur con qualche ritardo e qualche attrito, anche in termini di servizi e di generale esperienza offerta ai cittadini.

Sospinta dai casi studio internazionali, dunque, la riflessione bibliotecaria nel nostro Paese ha coinvolto in primo luogo il modo con cui le biblioteche interagiscono con i cittadini, rinnovando gli spazi, l’atteggiamento del personale, i canali di comunicazione; la riflessione si è poi concentrata sulla varietà di servizi da fornire, che dalla consultazione e prestito di libri si è via via estesa fino a coinvolgere la creazione di aule deputate alla “consultazione” di videogames, o allo sviluppo di servizi rivolti ai cittadini (club di lettura, ma anche azioni non direttamente legate alla produzione letteraria).

Il successo ottenuto da tali esperienze, e che ha poi trovato una propria apoteosi durante il periodo di lockdown, ha reso sempre più evidente la necessità di adeguare il concetto di accessibilità alle mutate condizioni di scenario. Se dunque storicamente il ruolo delle biblioteche era quello di rendere “accessibile” fisicamente un determinato tipo di conoscenza, oggi è necessario interpretare quella condizione di accessibilità in una logica più estesa e ampia.  Nell’epoca dell’informazione, la conoscenza, per essere accessibile, deve essere consultabile (fisicamente o online), deve essere anche nelle disponibilità dei cittadini (tendenzialmente in modo “gratuito” o comunque senza prevedere delle spese monetarie), deve essere resa comprensibile (accessibilità cognitiva) e deve soprattutto essere desiderabile (condizione sulla quale è ancora necessario fare molti passi avanti).

Al centro del dibattito, quindi, non è tanto la capacità della biblioteca di “donare” conoscenza, quanto piuttosto la sua capacità di “condividere” conoscenza, una differenza che dal punto di vista etimologico è fondamentale. Si dona agli altri ciò che si ha, a prescindere da ciò che gli altri realmente vogliano. Si condivide invece ciò che si possiede, ma che gli altri “chiedono”.

In altri termini, per far sì che le biblioteche condividano la conoscenza, è necessario che siano i cittadini a chiederla.

Ciò implica una serie di interventi che nei fatti superino quanto già stato avviato: la trasformazione degli spazi in ambienti attrattivi è essenziali; la creazione di collezioni diversificate che non si limitino ai soli libri ma che si estendano anche ai prodotti audiovisivi e multimediali lo è altrettanto, così come è importantissima la creazione di servizi volti a stimolare la socialità e il senso di comunità.

Questi servizi, infatti, hanno il grande pregio di favorire nei cittadini un’attitudine positiva nei riguardi della biblioteca, contribuendo a rimuovere una decennale percezione che oggi diremmo tutt’altro che user-friendly.

Malgrado tali passi avanti siano essenziali, è però necessario comprendere che, guardando i dati di “prestito”, al netto delle ricerche scolastiche e specifiche, i grandi volumi si concentrano su titoli, prevalentemente di narrativa, che hanno successo o riconoscimento all’interno del mercato editoriale mainstream.

Come emerge da una ricerca condotta sui prestiti delle biblioteche pubbliche e pubblicata dall’iniziativa “Ti leggo”, della Treccani, tra gli autori italiani, l’autrice più richiesta nel biennio 2018-2019 è stata Elena Ferrante, seguita da Maurizio de Giovanni, Sveva Casati Modigliani e Gianrico Carofiglio.

In particolare, Elena Ferrante ha rappresentato, da sola, circa il 6,3% dei prestiti, dato che, se si tiene conto della grande vastità di libri presenti nel catalogo di quasi tutte le biblioteche, è sicuramente meritevole di riflessione, e che deve riguardare non solo l’elemento culturale, ma anche strutturale del sistema delle nostre biblioteche.

In altri termini, se il più alto numero di richieste che vengono gestite dalle biblioteche è rappresentato da titoli o autori che sono tra i più venduti nell’editoria libraria, la funzione della biblioteca viene ad essere pesantemente condizionata dall’industria editoriale, pur essendo strutturalmente impreparata a tale tipo di richiesta.

Le biblioteche seguono infatti canali di distribuzione differenti, che richiedono non solo un maggior tempo per l’acquisto e per la disponibilità fisica presso la sede, ma si concentrano anche sulla disponibilità diffusa di titoli in catalogo, che implica un ragionevole numero massimo di copie da acquistare per ogni titolo, e questo a sua volta implica che il prestito dei libri più richiesti non possa sempre essere garantito come è garantito l’acquisto in libreria.

Soprattutto, è da tenere in considerazione che se i cittadini si rivolgono alle biblioteche per poter leggere gratuitamente i testi più richiesti nel settore bibliotecario, le biblioteche si trovano di fronte ad una condizione di scarsità di risorse da investire in altri testi, comportando una riduzione di quella che alcuni osservatori hanno definito come “bibliodiversità”.

Cosa accade dunque, sia in termini strutturali che in termini culturali? Accade che le biblioteche si trasformano in “clienti” privilegiati all’interno di specifici canali di distribuzione editoriale, che acquistano testi in linea con le tendenze del momento, per fornirli gratuitamente ai cittadini.

In pratica, le biblioteche diventano in questo modo delle gregarie dell’industria editoriale, sempre più concentrate sui più recenti “fenomeni editoriali”, e con sempre minori risorse per acquistare testi che invece sarebbe forse anche più giusto mettere a disposizione dei propri utenti, proprio in virtù del fatto che tali testi risultino di meno agevole “accessibilità”.

Ritornando alle considerazioni iniziali, quindi, l’insieme di azioni che sono state sinora intraprese ha sinora raggiunto l’importante risultato di riportare i cittadini in biblioteca, e l’acquisto, fondamentale, delle nuove uscite editoriali, è il terreno su cui evidentemente la biblioteca riesce con maggiore facilità a condividere conoscenza, piuttosto che essere semplicemente disposta a donarla.

Ritenendo tali evoluzioni come fondamentali tappe di un rinnovato rapporto tra gli italiani e le loro biblioteche, è però necessario riconoscere che oggi sia altrettanto importante identificare delle modalità di intervento che stimolino anche “altre” richieste da parte dei cittadini.

È come se al momento le biblioteche fossero un enorme pianoforte, in cui però si pigino sempre e solo gli stessi tasti: una melodia piuttosto monotona, e un enorme spreco di “note” che vengono in ogni caso rese disponibili, ma che suonano soltanto in pochissimi. Chiedere sempre e solo un cono cioccolato e nocciola ad un gelataio che è invece famoso per la sua vasta produzione di gusti ai frutti tropicali.

Per superare questa condizione, è probabilmente necessario avviare una riflessione che non si limiti al solo settore bibliotecario, ma anche ai rapporti che ad oggi tale settore intrattiene con l’industria editoriale.

Per le ragioni già esposte, è infatti del tutto evidente che le biblioteche siano strutturalmente inadeguate ad intrattenere rapporti differenti con quella dimensione dell’industria editoriale che si rivolge al bacino più ampio di lettori. I best-sellers sono strettamente legati ad un determinato “momento”, in cui la vendita di alcuni libri conosce numeri molto alti, per poi contrarsi progressivamente con il tempo. Nei confronti di tali produzioni editoriali, quindi, il settore bibliotecario è giusto che mantenga la propria figura di “cliente privilegiato”, fornendo ai cittadini, nel limite delle disponibilità, la possibilità di leggere gratuitamente quei libri che stanno riscontrando il maggior successo di pubblico.

Tali fenomeni, tuttavia, non sono pienamente rappresentativi della produzione editoriale, tanto globale quanto nazionale: in Italia esistono numerosissime case editrici indipendenti, o di piccole dimensioni, che faticano a trovare un proprio posto all’interno dei canali di distribuzione tradizionali, che sono principalmente dominati dalle grandi editrici. Produzioni che spesso possono essere trascurabili, ma che altrettanto frequentemente hanno una grande valenza letteraria o saggistica, e che faticano ad arrivare al grande pubblico, ma anche a raggiungere i cosiddetti lettori di nicchia.

In questo senso, la grande diffusione e capillarità del nostro sistema bibliotecario potrebbe rappresentare, per questi piccoli editori, un importante canale di distribuzione, in cui la concorrenza non si fondi sulla disponibilità economica in termini di marketing e di comunicazione, ma sulla qualità della produzione e della ricerca editoriale.

Case editrici che si occupano di poesia, ad esempio, potrebbero trovare, nelle biblioteche di pubblica lettura, un terreno in cui organizzare veri e propri “tour”, durante i quali proporre incontri con gli autori, approfondimenti tematici, speciali firma-copie e anche promuovere anche la vendita dei libri che vengono presentati al pubblico.

Le biblioteche, ad esempio, potrebbero impegnarsi ad acquistare un unico volume per ogni titolo presentato, mentre le case editrici potrebbero impegnarsi a donare alla biblioteca ulteriori volumi a fronte di un numero minimo di vendite (ogni tre libri venduti, uno viene donato alla biblioteca), sino ad arrivare a stipulare ulteriori strategie di co-marketing e di comunicazione integrata.

Si tratterebbe di un meccanismo che potrebbe agevolare tutte le parti coinvolte: le piccole case editrici avrebbero a disposizione un canale di distribuzione quantomai efficace, soprattutto nel caso di autori che propongono titoli ricercati, per stile e per forma letteraria. I cittadini avrebbero la possibilità di entrare in contatto con autori emergenti, o affermati soltanto in ambienti di nicchia, e verrebbero così ad essere informati su produzioni letterarie ulteriori rispetto a quelle delle classifiche dei libri più venduti. In alcuni casi, gli autori potrebbero avere l’opportunità di conoscere personalmente potenziali lettori, ed esprimere loro in modo diretto il senso del proprio lavoro.  Le biblioteche potrebbero estendere il proprio catalogo a condizioni di vantaggio, e potrebbero contare su un cospicuo numero di appuntamenti da fornire ai propri cittadini. Soprattutto, le biblioteche avvierebbero una serie di azioni che andrebbero a coinvolgere anche lettori che non trovano nelle biblioteche un luogo di riferimento per le proprie inclinazioni. Si pensi ai manga, o ad altri autori di “poesia urbana” che pur presentando uno stile lontano dall’ortodossia letteraria, riescono a declinare l’esigenza di esprimersi attraverso le parole in una modalità che risulta essere efficace per tantissime persone (Il poeta della serra, su Instagram, ha circa 580.000 follower).

La partecipazione a queste iniziative rappresenterebbe poi una grandissima opportunità di aggiornamento letterario per i bibliotecari, perché per quanto essi rappresentino una categoria di professionisti caratterizzata da una grande passione per il lavoro che svolgono, è impensabile che si possa restare autonomamente aggiornati su tutto. E questo incrementerebbe non solo la soddisfazione nel proprio lavoro, ma anche il riconoscimento da parte dei cittadini, che li identificherebbe sempre più come soggetti di riferimento, non solo nelle dimensioni più “tradizionali”, ma anche negli aspetti più “innovativi” della produzione letteraria e culturale.

Questo tipo di attività, pur indicendo pochissimo in termini di “grandi numeri”, potrebbe tuttavia avviare una tipologia di relazione, quella tra biblioteca e sistema editoriale, che garantirebbe proprio una maggiore condivisione della conoscenza, presentando ai lettori (e ai lettori potenziali) una varietà d’offerta in un modo che nessuna libreria, e nessuno store online potrebbe mai realizzare.

La sfida delle biblioteche non è più quella di distaccarsi da quell’immagine di scantinato buio e polveroso, custodito e difeso da cerberi pronti ad allontanare gli indegni. La sfida della biblioteca è fare in modo che le persone vadano in biblioteca per cercare “cose” che non troverebbero altrove. E non solo in termini di ricerche. Ma anche di vera e propria produzione letteraria. Estendere gli interessi è l’intervento più arricchente e lodevole che un Paese possa garantire ai propri cittadini.


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