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Chiesa in uscita, ma come? L’incontro in Laterano

“La responsabilità della Speranza e il lavoro dello spirito” è il titolo di un convegno previsto per domani che prende spunto da una ricerca del Censis. “Lo ‘spirito’ a cui facciamo riferimento è quello dell’uomo. È anche una riflessione su dove sta andando la ‘Chiesa in uscita’, per usare un’espressione cara a Papa Francesco, e su quale tipo di pastorale possa portare avanti la Chiesa in uscita”, chiarisce il ricercatore Giulio De Rita

Sabato da non perdere a San Giovanni in Laterano. Si parla di “La responsabilità della Speranza e il lavoro dello spirito”. A partire da una ricerca del Censis ne discuteranno il cardinale vicario di Roma, Baldassare Reina, don Fabio Rosini, Massimo Cacciari, Giuseppe De Rita, padre Antonio Spadaro e il professor Andrea Riccardi negli inusuali panni di moderatore dell’incontro.

Ha opportunamente chiarito il ricercatore del Censis, Giulio De Rita: “Lo ‘spirito’ a cui facciamo riferimento è quello dell’uomo. È anche una riflessione su dove sta andando la ‘Chiesa in uscita’, per usare un’espressione cara a Papa Francesco, e su quale tipo di pastorale possa portare avanti la Chiesa in uscita. Come dice il Santo Padre, se abbiamo una pecorella rimasta nell’ovile e 99 che si sono smarrite, è quelle che bisogna andare a cercare. Bisogna riprendere con maggiore vigore il nostro impegno per la crescita della società”.

Nel documento di accompagnamento il Censis fa presente che il 71% degli italiani si dichiarano cattolici, ma solo il 15% praticanti, forse meno. Gli altri propendono per un rapporto “individuale” con la fede, la spiritualità. In un certo senso la risposta che si vede dunque è quella di non stare aggrappati al 15%, respingendo la “zona grigia”. Questa zona grigia infatti c’è, e per il Censis “sono volti, storie, ragazzi, padri e madri di famiglia, persone malate. Ci sta a cuore prenderci cura dei cristiani che non frequentano le nostre parrocchie, come papa Francesco ci ha chiesto sin dalla sua prima esortazione apostolica Evangelii Gaudium”.

L’approccio dunque è di apertura, ma si può ritenere che dovrebbe riguardare anche il restante 30%, del quale ad Ajaccio papa Francesco ha detto: “È importante riconoscere una reciproca apertura tra questi due orizzonti: i credenti si aprono con sempre maggiore serenità alla possibilità di vivere la propria fede senza imporla, viverla come lievito nella pasta del mondo e degli ambienti in cui si trovano; e i non credenti o quanti si sono allontanati dalla pratica religiosa non sono estranei alla ricerca della verità, della giustizia e della solidarietà, e spesso, pur non appartenendo ad alcuna religione, portano nel cuore una sete più grande, una domanda di senso che li conduce a interrogare il mistero della vita e a cercare valori fondamentali per il bene comune”.

Non è il caso di estendere anche a loro il ragionamento su questa società senza porti sicuri? Forse anche in questo 30% c’è smarrimento davanti all’individualismo competitivo e frustrante. Non si dovrebbe cercare un coinvolgimento dei “secolarizzati battezzati”? O questo segmento, che potrebbe avere un ulteriore “zona grigia” di accavallamento con la “zona grigia” di cui parla il Censis, lo si ritiene d’ufficio felice, in una condizione in cui la spiritualità non ha ruolo? Qualcuno glielo ha chiesto? È un problema aggiuntivo o un corollario italiano, europeo. Ma nel tempo corrente questo discorso ha, o dovrebbe avere, anche un risvolto globale.

Guardando tra i brevi testi che presentano l’iniziativa ho trovato il vocabolo “rapido”, molto spesso equivocato; ci appare un sinonimo di “veloce”, mentre viene dal vocabolo latino che sta per “rapire”, “trascinare via”, cioè proprio quello di cui ci parla Boccaccio con le sue “rapide e fameliche lupe”. Queste lupe sono rapaci, cioè compiono rapine. È un’immagine che facilmente può essere associata al torrente in piena, dove si formano le famose “rapide”, che non sono ancora una cascata ma non sono più un normale flusso d’acqua che segue la sua ordinaria corrente. È la diversa erosione di rocce dalle difformi erodibilità a determinarla. È probabilmente questo il senso da attribuire alla parola “rapida” usata nella locandina predisposta dal Censis: “Essere pellegrini di speranza vuol dire assumersi la responsabilità di sperare insieme, nel cammino sinodale della chiesa come nella società. Lo spirito oggi è chiamato a trasformare una società individualista, competitiva, frustrata e deve farlo elaborando un pensiero concreto e rapido”.

Qui il discorso introduce elementi che possono afferire anche alle questioni globali e che sembrano dirci che il bivio odierno è se vogliamo correggere la via democratica o abbandonarla. È proprio quello che, lanciando l’opzione di Chiesa tutta sinodale, intuì Francesco, riuscendo già allora, si era nel 2015, a vedere la condizione odierna del mondo e del cosiddetto Occidente in particolare: “Una Chiesa sinodale è come vessillo innalzato tra le nazioni in un mondo che – pur invocando partecipazione, solidarietà e trasparenza nell’amministrazione della cosa pubblica – consegna spesso il destino di intere popolazioni nelle mani avide di ristretti gruppi di potere. Come Chiesa che ‘cammina insieme’ agli uomini, partecipe dei travagli della storia, coltiviamo il sogno che la riscoperta della dignità inviolabile dei popoli e della funzione di servizio dell’autorità potranno aiutare anche la società civile a edificarsi nella giustizia e nella fraternità, generando un mondo più bello e più degno dell’uomo per le generazioni che verranno dopo di noi”.

Forse non abbiamo capito che Francesco già allora chiedeva, a tutti, non solo alla sua Chiesa, di entrare nelle rapide dell’oggi, con decisione, non con fretta, ma con la capacità di rapportarsi a questo orizzonte profondamente mutato, adesso. Ecco il pensiero rapido e globale; in cosa consiste? Chi lo ha invocato per primo è stato padre Antonio Spadaro, in un articolo apparso su Avvenire e che ha aperto un ricchissimo dibattito, che proprio oggi arriva su L’Osservatore Romano, dove lo intervista il direttore Andrea Monda. Spadaro vi dice che “la teologia deve essere capace di pensare le onde e di gettarsi nelle rapide, affrontando le sfide attuali con prontezza e discernimento”. Quindi il famoso patrimonio della fede va unito al meno visibile ma urgente “istinto pastorale”, generando intuito. Dunque capisco che la Chiesa deve “uscire oggi”, non chissà quando, e vedere le diverse zone grigie dell’Italia, dell’Europa, dell’Occidente e del mondo, perché forse di tempo non ce n’è tanto. Il mondo accelera terribilmente i suoi tempi, la Groenlandia deve diventare americana perché l’America “ne ha bisogno”. Un po’ come l’Ucraina a Mosca, almeno nella dottrina del Mondo Russo di Putin e Sua Beatitudine Kirill I. Il mondo è un supermercato dove compra di più chi ha più da spendere.

Non è stato abbastanza notato che, nell’illusione di poter raggiungere porti sicuri che sono invece nella burrasca, l’arcivescovo greco ortodosso del patriarcato greco ortodosso di Costantinopoli, Elpidophoros, che guida l’arcidiocesi americana, si è presentato alla Casa Bianca, da Trump, con una croce incastonata di pietre preziose in mano e ha detto al Presidente di notare un’evidente somiglianza tra lui e l’imperatore Costantino, aggiungendo: “Questa croce la guidi come un tempo guidò Costantino”. Probabilmente l’impaurito (a mio avviso) Elpidophoros, preso nelle rapide dell’oggi, ha cercato di tenersi a galla nei marosi di questo tempo implorando Donald Trump di fermare lo zar, cioè Putin, almeno lì dove sarà possibile. Che pensiero c’è in questo? La paura, a mio avviso.

La paura è comprensibile, a volte necessaria, ma a volte ci condanna. Ci sono maestri di nuoto che dicono che proprio la paura ci può far affogare quando ci buttano in acqua e noi non sapendo nuotare non consideriamo il naturale galleggiamento, ma ci irrigidiamo nella paura, e affoghiamo. Non bisogna aver paura nelle rapide del nostro tempo presente, ma neanche illudersi che basti stendersi in una non più esistente rada per galleggiare sereni. Occorre entrare nelle onde del tempo presente, non sognare rade che non sono più date. Ecco il pensiero rapido, che sa stare nel mondo del disfacimento della società “individualista, competitiva, frustrata” e che sembra orientarsi verso un rifiuto rabbioso delle conquiste della seconda metà del Novecento. Non penso che l’illusione di Elpidophoros di tornare nel porto sicuro dell’imperatore Costantino supplicando Trump di fermare dove possibile lo zar possa realizzare ciò che spera (sebbene un limite ci sarà) e non penso che il suo elogio dell’ufficio governativo per gli affari religiosi riduca la quantità di acqua salata che entrerà nei polmoni del cristianesimo. Quel cristianesimo parla il linguaggio individualista, competitivo, il linguaggio di chi vuole prendersi tutto ciò che gli serve, tutto qui. Questo linguaggio è il rumore della rapida, non ciò che la sfida, salvandoci.

Questo discorso si colloca nelle rapide planetarie ma la ricerca del Censis lo lega soprattutto all’Italia. Anche qui da noi siamo in queste rapide: il rapporto tra Chiesa sinodale e fraternità sarà nell’orizzonte dell’incontro di domani? Sarà interessante scoprirlo. Tra fratelli però non ci sono i grigi, ma colori da far incontrare.


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