L’architrave dell’operazione rilancio uscita dal Congresso è un Pil al 5%, senza il quale sarà impossibile finanziare il deficit e garantirsi la fiducia dei mercati. I quali a loro volta hanno in mano la sostenibilità del debito sovrano. Tutto troppo friabile. E anche per Fitch i conti non tornano
Un gioco pericoloso. La nuova economia cinese ridisegnata dall’ultimo Congresso del popolo, conclusosi la settimana scorsa, porta in dote una scommessa con i mercati, dagli esiti potenzialmente micidiali. La rotta indicata nel corso dell’appuntamento politico ed economico più importante per il Dragone, porta dritta a una crescita del 5% da finanziare con un deficit al 4% (ai massimi da trent’anni), a sua volta garantito da emissioni obbligazionarie per quasi 12 mila miliardi di yuan. Tradotto, i soldi che i mercati presteranno a Pechino fungeranno da basamento per l’intero extra-deficit su cui poggia l’intero rilancio dell’economia, dal mattone, all’industria, passando per gli investimenti in tecnologia e Intelligenza Artificiale.
Tutto questo comporta dei rischi, perché qualora venisse meno il sostengo dei mercati, l’intero castello crollerebbe. Di più, fa notare un report della Zhejiang University pubblicato sul sito dell’Omfif, l’organismo internazionale delle banche centrali. Nel caso in cui il Dragone fallisse l’obiettivo di crescita del 5%, con ogni probabilità verrebbero meno le condizioni per rimborsare quegli stessi investitori che garantiranno la liquidità alla Cina. Inoltre, sarebbe un pessimo segnale di fiducia, che mal disporrebbe i fondi. Insomma, una doppia concatenazione, una imprescindibile dall’altra.
“Le recenti decisioni del Congresso ci dicono che tutta l’operazione di rilancio è subordinata all’obiettivo di crescita del Pil reale di circa il 5%. Il punto è che questo target deve essere sostenuto non solo da una politica monetaria accomodante, dunque con un minor peso dei tassi, ma anche e da un rapporto debito/Pil più elevato del 4%, come indicato dallo stesso Congresso del popolo”, si legge. Ed è proprio questo il punto: l’architrave rischia di essere già troppo fragile.
“La questione”, chiarisce infatti il report, “è se tutte queste misure messe in campo (dallo stesso Congresso, ndr) stimoleranno attività economiche reali come l’indebitamento da parte del settore privato per incrementare i consumi e gli investimenti privati. Alla luce delle incerte prospettive di esportazione e della mancanza di fiducia nel mercato interno, l’obiettivo di crescita indicato potrebbe essere ancora più sfuggente di prima”.
Attenzione, anche le agenzie di rating cominciano ad avere i primi seri dubbi sullo schema cinese. Secondo Fitch, che pochi giorni fa ha diramato una nota proprio sul Dragone, “l’incremento dello stimolo fiscale annunciato dal governo cinese per il 2025 sosterrà le prospettive economiche, ma l’ampio deficit di bilancio indica un continuo aumento del debito pubblico nei prossimi anni”. E anche i conti non tornano. Pechino parla di un disavanzo al 4% nel 2025, come detto, ma per Fitch le cose stanno diversamente.
“Il deficit fiscale della Cina è previsto in aumento all’8,8% del Pil nel 2025, dal 6,5% nel 2024: ciò è ben al di sopra del deficit previsto dal governo”. Stessa musica per la crescita. Pechino “ha fissato un ambizioso obiettivo di crescita di circa il 5% per il 2025. Noi attualmente prevediamo una crescita reale del 4,3% quest’anno, a causa di venti contrari derivanti dalla domanda interna debole, dallo stress persistente del settore immobiliare e dalle crescenti sfide esterne”.