Invece di rischiare un’invasione anfibia complessa e pericolosa, Pechino potrebbe scegliere un blocco aeronavale per strangolare economicamente Taiwan. Questa strategia limiterebbe la reazione internazionale, pur mettendo l’isola sotto forte pressione. Le possibili dinamiche analizzate dal Wall Street Journal
Una degli scenari più discussi riguardo all’isola di Taiwan è quello di un eventuale blocco aeronavale dell’isola da parte delle forze armate di Pechino, con l’obiettivo di “strangolare” l’avversario fino ad indurlo alla capitolazione; pur non essendo un’invasione vera e propria, l’imposizione di questo blocco potrebbe essere considerato (legalmente) come un atto di guerra da parte di Taiwan e dei suoi partner internazionali, che potrebbero decidere di reagire intervenendo militarmente a fianco dell’isola assediata o imponendo sanzioni contro Pechino, sulla falsa riga di quanto fatto con Mosca in seguito all’invasione dell’Ucraina nel febbraio del 2022.
Ma l’opzione del blocco comporta anche una serie di vantaggi. Anche se il suo impatto diplomatico sul piano internazionale sarebbe estremamente pesante, è presumibile che esso sarebbe inferiore a quello dell’invasione vera e propria, che spingerebbe la comunità internazionale a reagire in modo esplicitamente più forte all’azione cinese. Inoltre, la realizzazione dello sbarco in sé potrebbe risultare difficile per una People’s Liberation Army carente di esperienza diretta per quanto riguarda le operazioni militari su larga scala (l’ultimo conflitto di larga a cui ha preso parte risale infatti al 1979, in occasione dell’invasione del Vietnam, mentre nei decenni successivi gli unici eventi in cui è rimasta coinvolta sono delle scaramucce di confine). Non è anzi escludibile che la suddetta operazione militare potrebbe avere un esito fallimentare. Non a caso la maggior parte degli esperti militari mondiali concorda sul fatto che le forze armate cinesi non sono pronte per un’invasione anfibia attraverso lo Stretto di Taiwan. Il mare spesso agitato e le scogliere, le piane di fango e le coste edificate di Taiwan rendono difficile l’avvicinamento delle navi. E i sistemi missilistici antinave di Taiwan, alcuni dei quali acquistati dagli Stati Uniti, rappresentano un deterrente molto forte per Pechino.
Viceversa, imporre un blocco aeronavale sarebbe molto più semplice da realizzare per la Pla. Molte esercitazioni delle forze armate di Pechino sono state svolte simulando direttamente questo scenario, l’ultima delle quali risale allo scorso ottobre, mentre altre sono state finalizzate a migliorare il know-how delle truppe coinvolte riguardo ad aspetti specifici di una certa rilevanza nelle dinamiche relative allo scenario in questione.
In un articolo pubblicato sul Wall Street Journal, Joyu Wang e Austin Ramzy sottolineano alcune dinamiche che potrebbero avere un peso particolare nella questione. A partire dai maggiori ritmi di produzione nel settore della cantieristica navale mostrati dalla Cina rispetto ai potenziali avversari, e in primis agli Stati Uniti, capace di garantire alla Pla un importante vantaggio di carattere quantitativo sotto diversi aspetti. O ancora le sempre più raffinate capacità nell’ambito del cyberwarfare e delle operazioni legate al sabotaggio (si veda l’ultimo esempio di dispositivo tagliacavi rivelato da Pechino). Con un blocco, la Cina potrebbe sondare le difese di Taiwan cercando di soffocare la sua economia e di minare la sua determinazione a resistere. “Taiwan dipende dalle importazioni per il 96% della sua energia, attraverso petrolio, carbone e gas naturale stranieri. Un’isola bloccata dovrebbe fare affidamento sulle scorte di energia importata, sottomettersi a Pechino o rimanere al buio. L’isola importa circa il 70% del suo approvvigionamento alimentare, un’altra lacuna nella sicurezza” notano gli autori del pezzo del Wsj.
I due giornalisti suggeriscono anche un’altra opzione più “ibrida” che Pechino potrebbe decidere di perseguire, ovvero quella della quarantena: in questo scenario che inizierebbe probabilmente con l’annuncio da parte di Pechino di nuove regole che richiedono ispezioni per le navi che entrano a Taiwan (probabilmente mirate solo al porto più grande dell’isola, Kaohsiung). Questa opzione ridurrebbe il rischio di escalation (anche perché con molta probabilità vedrebbe coinvolte unità non formalmente parte della Pla, quanto delle forze dell’ordine della Repubblica Popolare). Inoltre, in questo caso le compagnie di navigazione che decidessero di non adeguarsi alle nuove regole potrebbero essere escluse dall’accesso alla Cina. Un leverage tutt’altro che secondario.
Più che ad un’invasione vera e propria, dunque, nel futuro a breve termine i policymaker di Taipei, di Washington e di tutte le capitali degli attori interessati alla “questione Taiwan” potrebbero dover concentrare i loro sforzi su una diversa tipologia di contesto. Che potrebbe verificarsi prima di quanto ci si aspetti.