Ancora due giorni all’appuntamento più importante dell’anno per il Dragone, durante il quale sarà essenziale centrare i target di crescita. Il leader cinese prova a rassicurare i manager delle grandi imprese private, dimenticando però che senza consumi e un modello economico credibile, sorrisi e strette di mano non bastano
Pochi giorni fa il leader cinese, Xi Jinping, è intervenuto a sorpresa al simposio degli imprenditori privati del Dragone. C’era un po’ tutta la prima linea dell’industria automobilistica e tecnologica, i due corpi scelti della Cina che stanno riscrivendo gli equilibri economici globali: Ren Zhengfei di Huawei, Wang Chuanfu di Byd, Yu Renrong di Will Semiconductor, Wang Xingxing di Unitree Robotics e Lei Jun di Xiaomi. Tutti ad ascoltare uno Xi piuttosto vibrante e profondamente convinto del fatto che senza imprese private, dunque fuori dal controllo ossessivo dello Stato, la Cina non ha futuro, specialmente in tempi di economia anemica e di scarsa fiducia da parte dei mercati.
Eppure, all’occhio di un analista come Michael Pettis, del Carnegie, non è sfuggita una differenza. Va bene il messaggio rassicurante ai capi-azienda, ma un conto è la circostanza, un conto la realtà. E Pechino, ha spiegato Pettis in un commento dedicato proprio al vertice con le imprese, ha bisogno di cambiare il proprio modello industriale se vuole tornare a ruggire. Dire agli industriali che va tutto bene, serve fino a un certo punto.
“Il discorso di Xi è stato ampiamente considerato come un’iniezione di fiducia necessaria per un settore privato assediato che soffre per la debolezza della domanda interna, il rapido calo dei profitti e le tensioni commerciali globali”, ha scritto Pettis. “Xi ha esortato a uno sviluppo sano e di alta qualità del settore privato. Un tipo di incoraggiamento che può effettivamente creare un aumento della fiducia a breve termine, che a sua volta può creare una crescita a breve termine dei consumi delle famiglie e spingere le imprese a rispondere con entusiasmo”.
“Tuttavia, la visione strutturale del declino dei consumi implica che senza una trasformazione del modello di crescita verso una maggiore quota di Pil per le famiglie, che inevitabilmente richiede trasferimenti di fondi espliciti o impliciti da parte delle imprese o dei governi, tutti i discorsi di incoraggiamento del mondo non creeranno aumenti sostenibili della domanda interna in Cina”, chiarisce l’economista.
“Prima di cambiare idea sulle prospettive di crescita della Cina nel 2025, aggiornandole al rialzo, bisogna capire se si verificherà o meno una trasformazione della politica fiscale cinese, con una maggiore espansione diretta al lato della domanda dell’economia piuttosto che a quello dell’offerta. Se ciò accadrà, incontri come quello presieduto da Xi potrebbero essere d’aiuto, ma se così non fosse, è probabile che questi incontri causino solo un’impennata di articoli speranzosi sulla stampa cinese. E null’altro”. Insomma, al netto dei proclami, o Pechino comincia a rimettere i cittadini nelle condizioni di spendere e dunque consumare, oppure le pacche sulle spalle dei manager non porteranno nessun beneficio.
Tutto questo quando mancano poche ore all’apertura del Congresso nazionale del popolo, l’appuntamento politico più importante dell’anno per la Cina. Il primo giorno, con 3 mila delegati del partito, è quello solitamente più atteso: il premier Li Qiang presenterà il rapporto sul lavoro del governo, in cui sono illustrate le priorità politiche per il 2025. Ed è in quell’occasione che vengono svelati i target di crescita del Pil, dell’inflazione, del deficit di bilancio.
I delegati discuteranno il rapporto sul lavoro, le proposte di legge e altri documenti, e voteranno per la loro approvazione. Si tratta di decisioni che vengono approvate solitamente in maniera unanime, perché frutto del lavoro nel Partito comunista cinese che controlla saldamente il Congresso. Solitamente, l’organo legislativo è chiamato ad avallare decisioni che sono prese nelle strutture di vertice del Pcc, dal Politburo, sancta sanctorum del potere cinese, alla Conferenza centrale del lavoro economico, oltre che dal Plenum del Comitato centrale.
La maggior parte degli analisti prevede che Pechino confermerà l’obiettivo di crescita del Pil che è stato già fissato (e raggiunto) nel 2024. Si tratta di una crescita intorno al 5%, utile per stabilizzare l’economia e dimostrare impegno nel sostegno all’economia. Tuttavia, questo target è visto da alcuni osservatori come ambizioso, alla luce dei venti geopolitici contrari, in particolare con l’arrivo di Donald Trump alla Casa Bianca, e delle fragilità strutturali dell’economia cinese, a partire dalla crisi del settore immobiliare e dall’indebitamento dei veicoli d’investimento degli enti locali cinesi. Una cosa è certa: per Pechino sarà però fondamentale rispettare l’obiettivo.