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La guerra dei dazi è colpa della Cina. Il Report Rhodium spiega perché

Lo scontro commerciale di nuovo in atto non è un capriccio dell’Occidente, bensì la reazione fisiologica a decenni di pratiche industriali scorrette dentro i confini del Dragone. Perché la vera distorsione di mercato è quella cinese

Mentre il mondo intero si interroga sull’opportunità e gli effetti sull’economia dei dazi imposti dall’America a Canada, Europa, Messico e Cina, torna abbastanza spontanea una domanda: ma la colpa, di chi è? Perché se gli Stati Uniti del secondo Donald Trump hanno deciso di alzare le barriere a protezione del proprio ecosistema commerciale, un motivo ci sarà. E se anche la meno muscolare Europa ha scelto la via della stretta tariffaria per salvaguardare, per quanto sia possibile, le proprie imprese dalla concorrenza cinese, anche qui un motivo ci sarà. Il motivo è presto spiegato: se l’Occidente fa le barricate è perché il primo mercato distorto è proprio quello cinese. Tutto, insomma, parte da lì.

Gli economisti del centro studi Rhodium, ne sono più che convinti. In questi ultimi due decenni Pechino ha letteralmente dopato la propria industria di sussidi statali, consentendo alle filiere di produrre il doppio, se non il triplo, dell’Europa. E a prezzi più bassi. Questo ha dato vita a una prima distorsione, ovvero un mercato ormai saturo e incapace di assorbire l’iper-produttività cinese. Di qui, lo tsunami che si è riversato all’esterno. “Le politiche e le pratiche industriali distorsive della Cina”, spiegano dal Rhodium, “stanno influenzando i mercati esteri. Nella Repubblica Popolare si sta creando una crescente disconnessione tra domanda e offerta a livello macro e un’intensa concorrenza e guerre di prezzi spietate in una serie di settori a livello micro. All’estero, hanno fatto aumentare vertiginosamente le quote di esportazione globali della Cina in molti settori nell’ultimo decennio, soprattutto dopo la pandemia”.

Lo dicono i numeri che il Dragone vende all’estero tutto quello che il mercato interno non assorbe. “Nel 2024, il surplus commerciale della Cina ha raggiunto un livello record, avvicinandosi a un trilione di dollari. L’eccesso di capacità produttiva ha determinato un’impennata nei volumi di esportazione, spingendo al contempo i prezzi verso il basso, con una crescita media annua mensile della quantità di esportazione del 14%, superando significativamente la crescita del 7% del valore delle esportazioni”, si legge nel report. “L’effetto di queste politiche è più pronunciato sulle economie avanzate. L’Ue, gli Stati Uniti, il Giappone, la Corea del Sud e Taiwan hanno perso collettivamente 2,7 punti percentuali di quota di mercato delle esportazioni globali tra il 2019 e il 2022, mentre la Cina ha guadagnato 2,8 punti percentuali”. Da qui, a dazi, il passo è breve.

Nonostante ciò, Pechino non sta cambiando rotta, ma sta esplicitamente raddoppiando gli sforzi. Il Terzo Plenum del Partito, che si tiene due volte ogni dieci anni, tenutosi a luglio 2024, ha promesso di mantenere l’espansione dell’offerta delle industrie high-tech, della produzione per l’esportazione e di altri settori favoriti. Mentre la Conferenza centrale sul lavoro  di dicembre 2024 ha segnalato un cambiamento nella retorica, ponendo i consumi delle famiglie in primo piano e promettendo programmi di stimolo fiscale e sussidi per il commercio. “Ma non c’è stato alcun cambiamento fondamentale nella politica industriale della Cina. Fondamentalmente, non c’è stata alcuna discussione su riforme più profonde del sistema finanziario cinese, il motore principale delle distorsioni e delle ricadute che colpiscono i mercati globali”.


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