Dopo un primo confronto con gli imprenditori privati cinesi, incluso un ritrovato Jack Ma, ora Pechino vuole saggiare l’umore delle aziende straniere e capire se e quanto si fidano ancora della Cina
Le prove generali erano andate in scena oltre un mese fa, a febbraio. Quando Xi Jinping aveva chiamato a raccolta un manipolo di imprenditori privati cinesi, per lanciare il seguente messaggio: la Cina è un buon posto dove investire, fare soldi e crescere. E lo Stato è pronto a fare la sua parte, magari anche un passo indietro. Ci sarebbe da crederci. Il Dragone è a corto di investimenti esteri e sconta, da anni, la fuga dei capitali, poco convinti delle politiche per la crescita messe a terra dal governo.
E così, lo scorso mese, l’industria tecnologica cinese, incluso un ritrovato Jack Ma dopo anni di esilio forzato, è stata chiamata a raccolta da Xi. Il quale ha rassicurato l’imprenditoria privata garantendo che le politiche di sviluppo varate dal governo saranno portate avanti anche se nel perimetro dei principi fondamentali del sistema socialista. Una riunione che è stata la prima del genere ospitata da Xi, avvenuta in un periodo di forte crisi del settore privato cinese provocato da un mix volatile di problemi economici, tra cui le crescenti tensioni geopolitiche con gli Stati Uniti.
Come a dire, il momento è propizio per le imprese private e gli imprenditori di mostrare i loro talenti e dare contributi significativi. Adesso però, c’è un salto di qualità. Nel giro di poche ore, infatti, secondo alcune indiscrezioni raccolte da Bloomberg, dovrebbe tenersi a Pechino un nuovo summit allargato alle aziende straniere, in particolare Occidentali e con baricentro automotive. E dunque, i manager delle case automobilistiche tedesche Bmw e Mercedes, piegate peraltro dalla stessa concorrenza cinese, specialmente nel campo dell’elettrico, ma anche le prime linee del gigante dei chip Qualcomm. E ancora, Amin Nasser, numero uno di Saudi Aramco, il più grande produttore di petrolio al mondo, insieme ai vertici di FedEx, Siemens e Blackstone. Tutto questo alla luce di un dato. Gli investimenti diretti esteri nel 2024 sono crollati del 27,1% rispetto all’anno precedente.
E chissà se oltre che di auto e tecnologia non si parlerà anche di acciaio. La Cina che più di tutti produce e vende, sta assistendo infatti a un lento declino di una delle sue industrie più competitive: quella siderurgica, con l’onda lunga della crisi immobiliare che si scarica sull’intera industria. Negli ultimi mesi Pechino ha fermato le autorizzazioni di nuovi impianti, alla luce del fatto che oggi il 95% delle imprese siderurgiche cinesi opera in perdita e il settore sta rallentando. Perché? Semplice, la crisi immobiliare ha abbattuto la domanda di acciaio, perché i cantieri sono fermi. Niente case, niente acciaio.