Tre panel con ospiti dal mondo istituzionale, delle imprese e delle associazioni di categoria si sono confrontate a Roma alla seconda edizione dell’evento “Comunicare responsabilmente. Rivolgersi a molti, rispettare tutti” organizzato da Formiche. Chi c’era e cosa si è detto
Cosa vuol dire comunicare responsabilmente? La risposta può cambiare se a rispondere sono associazioni di categoria, istituzioni o aziende, sebbene ci sia un tratto comune tra tutti gli interlocutori che oggi, a Roma, hanno provato a interrogarsi su questa domanda alla seconda edizione dell’evento “Comunicare responsabilmente. Rivolgersi a molti, rispettare tutti”, organizzato da Formiche e moderato dalla direttrice delle riviste Formiche e Airpress Flavia Giacobbe.
Ad aprire i lavori, la direttrice generale dell’Ufficio per l’informazione e la comunicazione istituzionale, dipartimento per l’informazione e l’editoria, presidenza del Consiglio dei ministri Alessandra De Marco. Il suo ufficio, ha spiegato De Marco, si occupa di dare indicazioni sulle campagne di comunicazione a tutte le amministrazioni, che si tratti di campagne informative o di sensibilizzazione. “In quest’ottica – ha spiegato De Marco – le innovazioni più significative sono l’adozione diffusa, ma ancora solo a macchia di leopardo, di tecniche e strumenti della comunicazione privata. In particolare, l’uso del targeting e lo studio dei pubblici, lo sviluppo di campagna multicanale a cui segue il monitoraggio sull’impatto delle campagne”. Questo significa anche considerare il terreno dei social network che ormai non può non essere considerato. Ma è possibile comunicare responsabilmente?
Secondo De Marco, le sfide per la Pubblica amministrazione per una comunicazione responsabile sono tre: la prima è “consapevolezza che ci sono pubblici più difficili da raggiungere, in particolare i giovani. Loro sono i più esposti ai contenuti e allo stesso tempo hanno meno strutturato il senso di una comunicazione istituzionale. Riuscire a parlare con loro è una grandissima sfida di cui si parla anche con colleghi di altri Paesi”. La seconda sfida? “Il ruolo della comunicazione istituzionale nel contrasto alla disinformazione. Questa non si risolve solo con le comunicazioni ufficiali, lo abbiamo visto in tempo di Covid nelle informazioni sui vaccini”. La terza sfida è quella dell’Intelligenza artificiale, uno strumento che offre grandi opportunità a patto, spiega De Marco, che non perda di vista la dimensione umana e dei diritti da tutelare. E quindi “rispetto stringente di privacy, diritto d’autore e diritti delle persone. Le istituzioni possono porsi come apripista in questo, invece di importare tecniche e strumenti presi dal settore privato”.
Il ruolo delle associazioni, della società civile e delle autorità
Ed è in una continuità di intenti che si muove anche il pensiero di associazioni, della società civile e delle autorità, discusso nel primo panel. Il punto centrale dell’incontro a cui hanno partecipato relatori e relatrici ha messo al centro la parola “etica”. Lo ha spiegato Raffaele Pastore, direttore generale Upa (Utenti pubblicità associati) secondo il quale il valore etico della comunicazione è stato sempre punto centrale nelle pratiche di Upa, tanto da avere un codice di autodisciplina che ha chiarito come dovesse essere la pubblicità: “Onesta, veritiera e corretta”. E poi due iniziative: la prima, la proposta di una Digital Chart per il mondo degli influencer, quindi la trasposizione di quel codice valido per le aziende anche a chi opera nel mondo dei social. In secondo luogo, la realizzazione del documento “Prassi di Riferimento UNI/PdR 164:2024 Pubblicità accessibile e inclusiva – Principi, requisiti e linee guida per il servizio universale di comunicazione commerciale multicanale” per rendere la pubblicità accessibile a chiunque, un documento premiato anche in ambito europeo e che fa da apripista in questo ambito.
Sulla autoregolamentazione proprio il segretario dell’Istituto dell’autodisciplina pubblicitaria (Iap) Vincenzo Guggino ha spiegato che il 92% delle sanzioni vanno a tutela del consumatore, quando viene sottoposto a pubblicità ingannevole o non dichiarata. “Quando è esplosa la comunicazione online è stato necessario concepire nuove regole, ed è stato possibile mappando l’esistente, osservando le prassi migliori come ad esempio rendere riconoscibili le pubblicità online”. E sebbene le regole come la Digital Chart, formulata assieme a Upa, siano fondamentali, è stata necessaria una certa moral suasion, spiega Guggino, per far comprendere come anche in rete le regole siano essenziali per rispettare i consumatori.
Lo sanno bene gli influencer, che nati con l’esplosione dei social senza nessuna regolamentazione hanno visto il loro profilo spostarsi sempre più verso la professionalizzazione, fino all’introduzione di un codice Ateco per la categoria (valido dal primo aprile di quest’anno), che ne modifica gli aspetti non solo comunicativi, ma anche fiscali. E che quello di influencer fosse un vero e proprio lavoro, non solo un passatempo, lo ha capito Jacopo Ierussi, avvocato, professore e presidente nonché fondatore di Assoinfluencer, l’associazione di categoria di settore. Si torna all’etica anche in questo caso: “La divulgazione della Digital Chart è fondamentale perché crediamo che abbia dato una linea guida fondamentale. Si tratta di un percorso istituzionale che ha la volontà di portare non alla rigidità, ma alla consapevolezza che se tutti operano bene dentro il settore, ne giovano tutti”.
“Sappiamo molto bene la responsabilità che abbiamo”, ha esordito Caterina Tonini, consigliera Una (Aziende della comunicazione unite) e ceo Havas Creative Network, ponendo al centro di questa responsabilità due pilastri della comunicazione: l’etica – ancora una volta – e la creatività. “È fondamentale essere consapevoli di quello che si fa, per questo chi aderisce a Una sa di dover aderire anche al codice deontologico che è parte dell’istituto associativo”. Un doppio binario che Tonini pratica anche nella sua azienda: “Il lavoro creativo si muove contemporaneamente con il dipartimento legale, che oltre alla redazione dei contratti ma che permette di seguire e applicare la regolamentazione durante tutto il processo di creazione”.
“Parto dall’attualità per spiegare quanto abbinare la comunicazione alla responsabilità sia urgente”, sottolinea Massimiliano Dona, divulgatore e presidente Consumatori.it. “Due esempi: il primo è la deflagrazione delle truffe; sono 360milioni di euro, nell’ultimo anno 200milioni di euro. La disinformazione è l’antefatto della fragilità delle persone. Il permanente stato di preoccupazione porta all’affaticamento cognitivo, ci sentiamo tutti assediati, ma questo ha l’effetto paradossale di renderci più fragili, per cui una soluzione facile ci sembra quello di cui abbiamo bisogno, un appiglio”. Il secondo tema di attualità è la notizia che a Zurigo hanno recentemente votato il ban della pubblicità commerciale sul suolo pubblico. “Una città senza pubblicità sembra uno scenario distopico. Ho chiesto ai miei follower, è bellissimo o tristissimo? Il 70% preferirebbe le città senza pubblicità. Il passo è breve per vietarla anche sui social media. Questo ci dice che la comunicazione pubblicitaria può salvare sé stessa restando responsabile”. E poi una parola: ascolto. “Oggi la comunicazione deve diventare relazionale. Un’opera di ascolto a cui nessuno può permettersi di rinunciare. Una chiave di volta per cambiare non solo la comunicazione ma anche la società”.
“Non siamo diventati cattivi per colpa dei social”, premette Antonio Palmieri, fondatore e presidente della Fondazione Pensiero Solido con un passato nel mondo della comunicazione politica, nonché apripista nell’uso di internet e poi dei social proprio quando ancora il mondo della politica non ci si affacciava neanche. Ed è con un aneddoto che spiega come ciascuno può e deve essere responsabile del suo modo di comunicare, e come questo possa avere un impatto più ampio dello scambio singolo. “Quando ero parlamentare per mia salute non guardavo mai i miei social personali la domenica. Il mio social preferito era Twitter, e una domenica trovo un post in cui c’è scritto: ‘Palmieri sei un +++++one’, e non era campione. Di fronte questo tipo di atteggiamento in genere ignoro, ma in questo caso sono andato a vedere ed era una persona che, come me, tifava inter. Gli risposi con una formula vagamente ironica: ‘Mi stupisco che un interista usi un linguaggio simile’. Arrivò una sua ulteriore replica: ‘Mi scusi ero arrabbiato, le chiedo scusa’. So che non finisce sempre così, ma il frutto di un ascolto ha fatto sì che vincessimo tutti e due, e anche chi ha letto ha portato a casa un esempio positivo”.
Il punto di vista delle istituzioni
La domanda per le tre parlamentari presenti al panel è stata la stessa: come possono le istituzioni politiche lavorare per integrare digitalizzazione crescente, educazione e regolamentazione dei canali per promuovere una comunicazione inclusiva e responsabile? Ha aperto il dibattito Sara Kelany, membro della Commissione Affari costituzionali della Camera, partendo proprio dall’oggi e dal caso di cronaca che ha visto una giovane ragazza transgender togliersi la vita forse anche per gli attacchi subiti online. “Non dite mai, dico ai miei figli, a una persona online qualcosa che non direste anche faccia a faccia. Anche questo è responsabilità”. Dal punto di vista più politico, invece. “I tre criteri per la comunicazione pubblicitaria, onestà, verità e correttezza possono essere applicati a qualsiasi tipo di comunicazione, compresa quella politica. Se non lo faccio, interrompo il patto sociale, politico e democratico con i cittadini”. “Sull’Intelligenza artificiale – ha proseguito Kelany – abbiamo un dovere di regolamentazione. È un fenomeno che va governato e di cui non avere paura, ma l’uso in modo coerente è fondamentale”.
È Simona Malpezzi, vicepresidente della Commissione parlamentare per l’infanzia e l’adolescenza del Senato, a toccare inevitabilmente il ruolo dell’educazione all’uso dei social, in cui la comunicazione non è così responsabile. E prende spunto dalla sua esperienza di insegnante, Malpezzi, sottolineando come gli studenti fossero molto più al passo coi tempi nell’uso degli strumenti tecnologici, ma erano carenti da un altro punto di vista: il senso critico. Per questo, ha aggiunto, è in corso una proposta di legge che vieti l’uso dei social al di sotto dei 15 anni, per poter agire proprio su questo senso critico prima dell’esposizione al bombardamento comunicativo. “Lo ha fatto l’Australia, lo sta facendo l’Inghilterra e spero ci arrivi anche l’Europa”.
Comunicazione aggressiva, comunicazione ansiogena. Dal punto di vista del legislatore ci si deve anche interrogare su progetti inizialmente virtuosi che però non hanno sortito gli effetti sperati. Lo dice Gabriella Di Girolamo, membro della Commissione permanente Ambiente, transizione ecologica, energia, lavori pubblici, comunicazioni, innovazione tecnologica del Senato, portando l’esempio del registro delle opposizioni: “Se uno strumento come il registro delle opposizioni poi non va a buon fine, è chiaro che poi il consumatore arriverà a dire ì io la pubblicità in città non la voglio’”. Un esempio virtuoso, invece, è il divieto di pubblicità nei canali dedicati ai bambini, deciso in commissione Vigilanza nel 2016 che ha reso possibile un ambiente sano per i bambini che guardassero la TV. “Per la Rai è stata una perdita economica, ma è stata una scelta etica poi ampliata anche ad altri canali”.
La voce delle aziende
Anche le aziende sanno cosa sia la comunicazione responsabile, e soprattutto sanno come la scelta etica possa avvantaggiare l’azienda stessa e i consumatori. Per questo, ha spiegato Cristina Camilli, direttrice relazioni istituzionali, comunicazione e Sostenibilità di Coca-Cola Italia e Albania, già da tantissimi anni Coca-Cola ha una policy di marketing responsabile, dal 1956. Un esempio? “Abbiamo scelto di non essere presenti con i nostri prodotti nelle scuole primarie, nelle secondarie solo quelli con un apporto calorica limitato. Assobibe, di cui sono Vice Presidente, ha un codice di auto-regolamentazione che estende questo impegno a tutti gli associati. Valutare il target con cui si sta comunicando è importante, ed è giusto che per una determinata fascia di età siano i genitori a fare da filtro”. Vale lo stesso per i creator digitali: “È importante essere trasparenti, perché chi c’è dall’altra parte sappia che c’è un messaggio commerciale. I creator hanno una loro base di follower quindi anche qui lavoriamo per permettere a loro di usare la loro voce per far arrivare il messaggio nel modo più coerente possibile sia per loro che per noi”.
Da ultimo le piattaforme come Meta, le quali stanno cercando di mettere al centro proprio la responsabilità degli utenti. Se è vero che negli Stati Uniti è stata fatta la scelta di eliminare il fact checking, una maggiore responsabilità nella pubblicazione di contenuti da parte di ogni singolo utente porterebbe a un ambiente sicuramente meno negativo, ha spiegato Claudia Trivilino, Policy Manager Italia, Grecia, Malta e Cipro di Meta. “L’altra faccia della medaglia – ha aggiunto – è l’aiuto che l’Intelligenza artificiale offre in questo ambito: rende possibile analizzare e fare una prima scrematura di contenuti negativi con molta più facilità”.