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Cosa non torna nella strategia trumpiana per separare Russia e Cina. Scrive Jean

L’idea trumpiana di separare Russia e Cina per indebolire Pechino ricorda la manovra di Nixon del 1972. Ma la dipendenza economica e strategica di Mosca da Pechino rende questo piano di fatto irrealizzabile

Il principale obiettivo della politica di Trump di avvicinamento alla Russia di Putin sarebbe, secondo il segretario di Stato Marco Rubio e il Consigliere alla Sicurezza Nazionale Mike Waltz, l’indebolimento della “partnership strategica” fra Mosca e Pechino, avversario principale degli Usa. Recentemente, Waltz ha aggiunto che il miglioramento dei rapporti con Mosca avrebbe aperto alle industrie americane il “ricco” mercato russo, disponibile dopo il ritiro di quelle europee e anche di quelle cinesi. Oggi, l’export annuo cinese in Russia è cresciuto a circa 250 miliardi di dollari e riguarda beni di consumo a basso costo e componenti per mezzi militari, pagati dalla Russia con petrolio e gas, cioè con gli unici prodotti che la disastrata economia russa dispone in grandi quantità. 

Sui vantaggi economici che potrebbero trarre gli Usa da un’intesa con Mosca sono stati sollevati numerosi dubbi, dato che il mercato russo è molto povero per gli standard occidentali, perché le industrie americane non producono i prodotti a basso costo che possano sostituire quelli cinesi e perché gli Usa hanno già petrolio e gas a sufficienza. Non si vede, quindi, come Mosca potrebbe pagare le importazioni dagli Usa, che tra l’altro avrebbero difficoltà a produrli, abituati come sono oggi ad importarli specie dalla Cina.   

I presunti vantaggi immaginati nel distacco della Russia dalla Cina sarebbero quindi per gli Usa solo di natura geopolitica. Trump fantastica di effettuare con esso un’operazione simile a quella fatta da Nixon nel 1972, cioè un “triangolo di Kissinger” alla rovescia che indebolirebbe la Cina, sottraendole il principale alleato, come gli Usa fecero allora con l’Urss. A parer mio, l’operazione non può avere successo, poiché ormai la Russia dipende economicamente e strategicamente troppo dalla Cina. Le cose sono ben diverse da quelle esistenti nella guerra fredda. Kissinger aveva approfittato dal fatto che le relazioni fra Pechino e Mosca erano pessime sin dalla visita di Kruscev in Cina nel 1956 (diniego russo di trasferire a Pechino le tecnologie nucleari). Erano peggiorate con le dispute sui “trattati ineguali” fino a dar luogo a scontri di artiglieria sul fiume Ussuri alla fine degli anni ‘60. Oggi i rapporti sono formalmente ottimi, anche se non si sono trasformati in una vera e propria alleanza militare e persistono sospetti di fondo. Da parte russa sono quelli circa il “pericolo giallo”, accentuato dall’aumento dell’influenza cinese in Asia centrale e della comunanza delle richieste cinesi con quelle Usa nel pretendere la natura multipolare delle risorse sottomarine e delle vie marittime dell’Artico, su cui Mosca rivendica l’esclusiva sovranità.   

Beninteso, la fraternità di rapporti attuali è quindi solo uno “specchio per allodole”. Mosca ha necessità vitale del supporto economico e tecnologico, oltre che politico, cinese. Le è essenziale anche per mantenere buoni rapporti con il “Sud Globale”, anche se i più stretti legami con Pechino le creano ricorrenti problemi con l’India. Per la Cina, la Russia è il principale alleato. L’arsenale nucleare russo diminuisce indirettamente il rischio rappresentato dalla grande superiorità nucleare Usa. Malgrado il rapido potenziamento nucleare cinese, gli Usa sono in grado, ancora per un paio di anni, di distruggere con un “primo colpo” di sorpresa, le quattrocento armi nucleari cinesi (80% su Icbm in silos). 

Stranamente molto scarsi sono stati i commenti cinesi sulle ripetute affermazioni Usa che i negoziati con Mosca sull’Ucraina hanno lo scopo di allentare i legami strategici fra Russia e Cina. Pechino si è limitata a porre in rilievo che i suoi obiettivi di creare un mondo multipolare – al posto di quello che ritiene ancora dominato dagli Usa – coincidono con quelli di Mosca. Di fatto, sembra accarezzare la speranza di un mondo prima bipolare (fra Cina e Usa) e, poi, di un di uno dominato dalla Cina, anche se qualche dubbio al riguardo sembra crescere sia per la crisi demografica cinese, sia per l’accelerata crescita economica e tecnologica dell’India.  

Pechino ha comunque interesse che gli Usa continuino ad essere impegnati in Europa, in modo da non poter concentrare la loro potenza militare nell’Indo-Pacifico. Cina ha comunque reagito al miglioramento dei rapporti russo-americani con Trump con l’aumento del 7,2% del bilancio militare. In particolare, sta dotandosi dalla capacità di invadere Taiwan e di sbloccare le sue vitali rotte marittime dai vincoli rappresentati, verso l’Oceano Indiano, dagli Stretti della Malacca, e, verso l’Oceano Pacifico, della catena di Isole Ryukyu, che collegano Okinawa con Taiwan e le Filippine. 

Gli interessi cinesi sono vari, talvolta contrastanti fra loro. Il disimpegno americano dell’Europa comporterebbe anche una migliore possibilità cinese di accesso ai mercati europei e anche all’Artico, per il quale – come già accennato – gli interessi cinesi coincidono più con quelli americani che con quelli russi.  

Per giungere alla questione ucraina, la Cina avrebbe interesse alla continuazione del conflitto per tre motivi: Primo, come già delineato, per impedire agli Usa di concentrare le loro forze nell’Indo-Pacifico. Secondo, per aumentare la dipendenza di Mosca dalla Cina. Terzo: per aumentare le crescenti tensioni nel blocco occidentale. Esse consentirebbero a Pechino un migliore accesso ai mercati e alle tecnologie europee.   

La molteplicità e la varietà, spesso contraddittoria, degli interessi, nonché l’imprevedibilità dell’evoluzione della situazione, spiegano il silenzio ufficiale di Pechino sulle “baruffe” insorte fra l’Europa e gli Usa, nonché i commenti talvolta lievemente beffardi con cui i media cinesi ne danno notizia. Pechino osserva. Non svela i suoi piani. Certamente, si tiene pronta a sfruttare le opportunità che gli offrono i dissidi fra Usa, Europa e Russia. Nella sua reticenza nel commentare i fatti, Putin sembra aver preso lezioni di cinese. Si è accorto che quando parla, si fa danni da solo, compattando l’Europa, dove molti pensano di essere ancora al Carnevale. Parlano di difesa comune senza riarmo, o entità di bilanci militari con capacità strategiche. Peccato che Hitler, con un bilancio pari a un quarto di quello anglo-francese, non sia andato a scuola da loro. La tesi fa il paio a quella che la Russia fosse tanto potente da non poter essere vinta in Ucraina. Eppure era stata sconfitta in Afghanistan, come lo furono trent’anni dopo gli Usa, malgrado la loro enorme forza, ripetendo il disastro del Vietnam, del potente impero americano. Forse, come suggerisce Delbrűck, il più grande storico militare di tutti i tempi, le valutazioni strategiche richiedono esami più approfonditi soprattutto di quelli oggi di moda. 


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