Usciva l’8 marzo 1935 (pura coincidenza?) il primo film “proto-femminista” contro il matrimonio combinato, e la famiglia maschilista: “Wedding Night”, di King Vidor. Protagonista la “quasi Garbo”, ossia la nascente stella di origine ucraina Anna Sten, al fianco del già noto Gary Cooper
Parlato in inglese, con qualche battuta in polacco, Wedding Night (1935), di un maestro della regia, King Vidor, è un film da recuperare. Forse il primo soggetto hollywoodiano netto nel condannare i matrimoni combinati, che può dirci qualcosa ancora oggi su alcune etnie di immigrati che, pur vivendo in un contesto diverso, non accettano, per principio, matrimoni con i cittadini del Paese ospitante.
Il soggetto originale di Edwin Knopf, sceneggiato da Edith Fitzgerald, ci parla dell’incontro di una coppia americana benestante, in crisi coniugale, con una comunità di immigrati polacchi nel Connecticut. Per lo scrittore newyorkese Tony Barret (Gary Cooper), dopo il rifiuto del suo ultimo romanzo da parte dell’editore, è un momento difficile. I tempi del felice esordio letterario sono remoti. Per tale ragione Tony, quasi al verde, “costringe” la recalcitrante, affasciante e viziatella moglie Dora, (Helen Vinson), amante delle feste di città, innamorata della fama del marito più che dell’uomo, a ritirarsi per un tempo in campagna: egli cerca la nuova ispirazione, tra incipit cassati alla prima riga, e bottiglie di whisky scolate.
Un vicino, il signor Novak, con la bella e delicata figlia Manya (Anna Sten), come interprete, si presenta in casa di Tony chiedendogli se intende vendere il terreno circostante, incolto da anni. Visto lo stato di indigenza, Tony accetta, felice dell’offerta: 5000 dollari (circa 120.000 $ di oggi).
Dora, strafelice, non sopportando la campagna, torna in città. Tony, nella sua magnanimità le lascia tutti i 5000 dollari! Egli cambia idea, non torna a New York. Infatti, dopo uno sguardo intensamente romantico e reciproco con Manya, della mattina, e la cena in casa sua con tutti i parenti, seguita alla firma del contratto, della sera, decide di restare: qualcosa lo trattiene. Ha trovato l’ispirazione: la natura; la sana vita di questi immigrati felici di coltivare il tabacco; la vicenda di una ragazza Sonia (è Manya) che si innamora segretamente di un uomo sposato, ma è costretta dai suoi a maritarsi con un conterraneo. Insomma, c’è da scrivere.
Il romanzo e la realtà camminano insieme, parallelamente. Dora in città si è presa qualche libertà (per problemi di censura, vi si allude soltanto); nel frattempo Tony è sicuro di essersi innamorato di Manya, man mano che procede con i capitoli. Quando si incontrano per faccende domestiche (la ragazza porta i prodotti della fattoria necessari per i pasti), Tony la saluta e osserva con gentilezza quasi dicendo ‘se ti avessi conosciuto prima’; Manya lo ricambia con i suoi dolci e timidi sguardi alla Greta Garbo, che assai dicono della sua voglia repressa di innamorarsi liberamente.
Purtroppo Manya dovrà sposare il bravo ma goffo Fryderyk, che non ama; matrimonio combinato e obbligato dai due padri–padroni di famiglia: un contratto in cui i due giovani sono parte delle rispettive doti, composte principalmente di campi.
Lo scrittore sposato, ma abbandonato sentimentalmente dalla moglie e la semplice ragazza di campagna, fine ed educata, futura infelice sposa, diventano amici. Un giorno, dopo la consegna del latte, capita che Manya si fermi ad ascoltare le pagine manoscritte di Tony. Una sera, fuori vi è una tempesta di neve, il latte caldo, il romanzo un po’ galeotto, i due si parlano, si guardano da vicino, occhi negli occhi, respiro su respiro: a cinque centimetri. Lo spettatore si aspetta il bacio che non verrà: il codice etico hollywoodiano del 1935 non lo avrebbe permesso. Ma l’amore, quando nasce, è forte anche se privo di contatto fisico.
La notte delle nozze, in camera, Manya, non riesce a baciare il suo sposo ubriaco. Le labbra sono sigillate. Fryderyk capisce che Manya pensa ancora a Tony, e le rinfaccia, umiliandola, che nonostante tutto il villaggio sparli di lei egli l’ha sposata, “rimettendoci” anche in campi e proprietà, perché con un’altra ragazza “che mi voleva, ci avrei guadagnato”.
In preda all’alcol si lancia fuori di casa per andare a uccidere Tony. Anche Manya corre da Tony, tramite una scorciatoia, per avvisarlo. Nel taglio successivo Manya è sulla scala interna della casa di Tony: lo sta avvertendo del pericolo. Entra infuriato Fryderyk, sale le scale. Colluttazione tra i due, pugni, spinte. Manya tenta di calmare suo marito, che la strattona e lei precipita, involontariamente, lungo la scala sino al pavimento. Manya perde i sensi, non risponde. Viene portata in camera.
Passano ore. Dora sul pianerottolo è sconvolta. Dalla stanza esce il prete. Poi i genitori sconsolati. Infine Fryderyk, muto. Lo spettatore capisce. Dora va nella camera di Tony, “Se vuoi, puoi andare a salutarla”. “No. Preferisco stare qui alla finestra e rivederla quando con il sorriso, mi salutava da lontano, portandomi il latte ogni mattina”.
Notte di nozze non aggiunge molto alle qualità interpretative del giovane Gary Cooper, all’apice della fama (Marocco, 1930, accanto a Marlene Dietrich; Addio alle armi, 1932 al fianco di Helen Hayes; Partita a quattro, 1933, con Miriam Hopkins), ma è, sul versante femminile, la grande scoperta di una potenziale star, Anna Sten, lanciata, come una bionda rivale europea di Greta Garbo, dal produttore Samuel Goldwyn.
Ogni inquadratura di Vidor (grazie anche al bianco/nero contrastato di Gregg Toland: sarà sua la poi famosa fotografia di Citizen Kane, 1941), per Sten, è attentamente studiata. Anna risponde con diverse sfumature di recitazione, da attrice consumata: dal sorriso adolescenziale (la mattina quando Tony la incrocia casualmente in cucina per via del latte); al volto innamorato, sognante e vicino alla lacrima (siamo accanto al caminetto: Tony le sta leggendo i capitoli del suo romanzo), o avvolta in una espressione mista di paura e amore (nel momento in cui Tony si presenta alla festa di nozze per “ballare con la sposa”).
Il volto pulito, romantico e ingenuo, dai grandi occhi chiari, di Anna Sten, del resto, lo si era apprezzato sin dal suo esordio a Mosca, nel sovietico La ragazza con la cappelliera (1927, Boris Vasil’evič Barnet), commedia d’un certo successo, distribuita in Europa e in USA: al tempo la promettente attrice di Kiev si chiamava Anna Petrovna Fesak (Kiev, 1908- New York, 1993). Pensate alle sue espressioni, siamo nel muto, tra meraviglia e sguardo furbo, con la cappelliera in mano (deve consegnare il cappello alla scontrosa responsabile dell’appartamento popolare), nel difendere la camera per il suo ragazzo che rischia di dormire in strada.
Notte di nozze, seppur troppo caricaturale nel ritrarre gli immigrati polacchi un po’ goffi e tradizionalisti (ma la mamma di Manya, pur non potendo opporsi esplicitamente al matrimonio combinato dal burbero marito-padrone, dimostra la sua contrarietà sbattendo il piatto sulla tavola mentre apparecchia per il futuro genero), mantiene a tutt’oggi la sua vivida forza di denunzia contro la società patriarcale e maschilista. Il film di Vidor (non dimentichiamo il capolavoro La folla, 1928) è un limpido grido (soffocato) di libertà della donna, attraverso un originale personaggio femminile che protesta con la sofferenza strozzata negli occhi, evitando lo scontato melodramma teatrale.
Il caso volle che Wedding Night vedesse la sua prima la sera dell’8 marzo 1935, a New York: questa, la vittoria di Manya riservatale dal destino. Purtroppo il film non ottenne il successo che ci si attendeva e che si sarebbe meritato: forse era troppo avanti sui tempi.