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Dal Mar Rosso arriva un nuovo test strategico per l’Europa

La destabilizzazione dell’Indo-Mediterraneo prodotta dagli Houthi potrebbe ripartire già oggi. È un test soprattutto sulle capacità europee di navigare nelle complesse acque della propria sicurezza. A maggior ragione in un momento come questo, in cui si parla di autonomia strategica, anche di riflesso alle posture di Donald Trump

Il leader dei ribelli Houthi ha lanciato un ultimatum chiaro: se Israele non faciliterà l’ingresso degli aiuti umanitari a Gaza, entro il termine di quattro giorni — che scade oggi, 11 marzo — il gruppo yemenita riprenderà le operazioni navali contro lo Stato ebraico. È una minaccia credibile, considerando il bilancio degli attacchi condotti dalla fine del 2023 fino alla tregua di due mesi fa: dozzine di episodi che hanno non solo danneggiato, ma in alcuni casi affondato o reso inutilizzabili i grandi cargo colpiti.

È il caso della Sounion, transitata al traino da Suez ieri, dopo essere stata attaccata il 21 agosto scorso. Una fregata francese parte dell’operazione Aspides — dispositivo difensivo europeo che sta cercando, ancora con mezzi limitati, di garantire la sicurezza nel Mar Rosso — aveva tratto in salvo l’equipaggio poco dopo la prima salva yemenita. La nave era stata successivamente abbordata da un team di incursori degli Houthi, che vi avevano fatto detonare una decina di cariche esplosive. Con la petroliera in fiamme, il dipartimento di Stato statunitense aveva avvertito di una potenziale fuoriuscita di petrolio “quattro volte le dimensioni del disastro della Exxon Valdez”. Il monito aveva provocato una massiccia risposta internazionale. Dopo sette mesi di gestione dell’emergenza, la nave e gran parte del suo carico da 1 milione di barili di petrolio sono in salvo. Ma il costo dell’operazione è stato di svariati milioni di dollari.

Destabilizzazione geoeconomica globale

La vicenda fotografa la dimensione di un’offensiva che ha avuto un impatto diretto sulla stabilità della logistica globale. Secondo le analisi di una società di intelligence privata, gli attacchi Houthi hanno allungato del 25% i tempi di consegna delle merci lungo la rotta Asia-Europa-America, ossia quella indo-mediterranea che lega l’Indo-Pacifico al Med-Atlantico. Le grandi compagnie sono state costrette a evitare il Mar Rosso e deviare le rotte attorno al Capo di Buona Speranza, con costi crescenti e ricadute potenziali su inflazione e catene di approvvigionamento. Una dinamica che sottolinea l’importanza sistemica della crisi yemenita, direttamente impattante sulla sicurezza nazionale di paesi come l’Italia.

Da gennaio, l’amministrazione Trump hanno intensificato le operazioni contro i depositi missilistici e le postazioni di lancio degli Houthi, senza però riuscire a dissuaderli. Al contrario, il movimento — considerato il più attivo del cosiddetto “Asse della Resistenza” sostenuto dall’Iran — ha rilanciato le sue minacce e preparato il ritorno alle armi. La sua distanza geografica da Israele ha limitato l’efficacia delle rappresaglie israeliane, rendendolo meno vulnerabile rispetto a Hezbollah. E a oggi, a differenza del gruppo libanese gli Houthi rifiutano una tregua duratura: continueranno a colpire finché non ci sarà una cessazione definitiva del conflitto a Gaza — una soluzione a due Stati, dicono in alcune delle loro minacce, consapevoli che questo comporta la perpetrazione dell’instabilità, data la complessità della risoluzione della questione israelo-palestinese.

Il contesto si è ulteriormente complicato con il ritorno degli Houthi nella lista delle Foreign Terrorist Organizations (Fto) da parte di Washington, l’imposizione di nuove sanzioni e i tentativi di dissuadere il gruppo dal rafforzare i legami con Mosca, da cui avrebbe cercato forniture militari e informazioni di intelligence per il targeting — che non ha interessato solo navigli israeliani, come da promessa di rappresaglia, ma anche altre navi collegate a proprietà occidentali, accusate di supportare lo Stato ebraico. Gli Houthi — ideologicamente anti-sionisti e anti-americani, estendo l’ostilità a tutto l’Occidente aderendo alla narrazione russo-cinese-iraniana — dichiarano piena disponibilità a una “guerra totale contro gli interessi americani” nella regione.

La risposta europea e il “modello” italiano

Questo scenario tocca direttamente l’Unione europea. Il collegamento del Mar Rosso è ancora impaludato, come spiegava Martin Kelly (Eos Risk) a Decode39, e la destabilizzazione pone un problema geoeconomico. Qui l’Italia cerca di dare un segnale, si muove su un doppio binario, che può essere letto come un modello di coinvolgimento europeo più consapevole e multilivello.

Il primo asse è operativo e si sviluppa attraverso l’impegno diretto nella missione EuNavFor Aspides, dove un ammiraglio italiano è Force Commander. Alla fine del mese scorso, nella base di Centocelle (Roma) è stata organizzata una riunione tecnica in cui si è presentata l’evoluzione della missione nel quadro del progetto europeo di sorveglianza marittima MarSur, a cui sono seguiti incontri tra la leadership operativa di Aspides e il Comando Operativo di Vertice Interforze (COI), guidato dal generale Giovanni Maria Iannucci. È una conferma dell’interesse strategico dell’Italia nel garantire la sicurezza marittima, anche a tutela delle proprie filiere commerciali.

Il secondo asse è politico-diplomatico. Il giorno successivo, alla Farnesina, il governo italiano ha organizzato un confronto tra i funzionari di Aspides e l’ambasciatrice yemenita in Italia, Asmahan Al-Toqi, a cui hanno partecipato anche vertici del ministero – il vicedirettore per gli affari politici Maurizio Greganti e l’inviato speciale per Yemen e Afghanistan Gianfranco Petruzzella. Si è discusso della situazione interna al Paese e dei possibili sviluppi politici.

In questo modo, Roma collega la crisi nel corridoio marittimo al più ampio quadro della guerra civile yemenita, evitando una lettura esclusivamente securitaria. È una consapevolezza necessaria e pragmatica, perché le azioni degli Houthi si legano molto a al contesto interno. L’organizzazione che controlla la porzione settentrionale dello Yemen usa gli attacchi nell’Indo-Mediterraneo come dimostrazione di forza, con riflesso al tavolo negoziale sulla guerra — dove si confronta con la Comunità internazionale e in particolare con la regione del Golfo, in un complesso test di stability building capacity.

La vicenda Houthi è dunque più di una minaccia regionale: è un caso-esempio di come i teatri periferici si saldino alle vulnerabilità globali. Per questo, l’Europa non può permettersi un basso coinvolgimento. Il Mar Rosso è un’arteria critica del commercio mondiale, e la sua sicurezza riguarda direttamente gli interessi strategici dell’Ue. La missione Aspides e il doppio approccio operativo e diplomatico, dimostrano che è possibile essere in qualche modo protagonisti. Ma la destabilizzazione dell’Indo-Mediterraneo prodotta dagli Houthi è un test soprattutto sulle capacità europee di navigare le complesse acque della propria sicurezza — a maggior ragione in un momento come questo, in cui si parla di autonomia strategica, anche di riflesso alle posture di Donald Trump.


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