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Deterrente comunitario, sì o no? Il percorso verso il nucleare europeo spiegato da van Hooft (Rand)

Secondo Paul van Hooft, research leader in Defence and Security presso Rand Europe, è difficile pensare ad un nucleare europeo nel breve termine. Il percorso è lungo, e serve un impegno costante. Ma ci sono opzioni intermedie. Nel frattempo, l’Ue può agire efficacemente in altri settori. E non deve alienarsi gli Usa

“Il nostro deterrente nucleare ci protegge. Ho deciso di aprire il dibattito strategico sulla protezione dei nostri alleati nel continente europeo attraverso il nostro deterrente”. Con queste parole, pronunciate poche settimane fa, il presidente francese Emmanuel Macron ha risposto all’appello del cancelliere-in-pectore di Berlino Friedrich Merz di sviluppare un ombrello nucleare europeo. Le dichiarazioni dei due leader, rilasciate in un momento di raffreddamento nelle relazioni transatlantiche, hanno di fatto riportato in cima all’agenda politica dell’Unione la questione dell’autonomia strategica europea anche all’interno della dimensione nucleare. Ma, al netto della retorica, in che situazione versa l’Europa da questo punto di vista? Formiche.net ne ha parlato con Paul van Hooft, research leader in Defence and Security presso Rand Europe.

Cosa pensa delle parole di Macron sull’estensione dello scudo nucleare francese agli alleati europei?

Non è una novità. È vero, è stato molto esplicito al riguardo, ma ha già fatto dichiarazioni del genere in passato. Così come i suoi predecessori, da Hollande a Sarkozy a Chirac. Pensiamo ad esempio al 2007, quando Sarkozy avrebbe proposto a Merkel di proteggere la Germania con le armi nucleari francesi.  Storicamente, quindi, esiste una posizione francese sulla questione. Fa riflettere il fatto che la logica alla base dello sviluppo della Force de Frappe negli anni ’60 fosse che il deterrente nucleare potesse funzionare solo su base nazionale. In linea di principio, quindi, c’è una contraddizione nell’approccio nucleare francese. Una contraddizione che si risolve dicendo che non c’è minaccia per l’Europa che non sia anche una minaccia per la Francia. Parigi non estende la deterrenza nucleare, come fanno gli Stati Uniti, all’intero Atlantico e al Pacifico, ma si limita a dire: “Se succede qualcosa di terribile in Europa, questo ci riguarda”. È impossibile che un evento catastrofico in Europa orientale, ma anche altrove, non tocchi la Francia. Un altro esempio di questo approccio è l’accordo di Lancaster House con il Regno Unito, in cui si afferma esplicitamente che un attacco nucleare contro uno dei due Paesi firmatari sarà inteso come un attacco nucleare contro l’altro. Londra e Parigi sono geograficamente molto più vicine degli Stati Uniti.

La Francia potrebbe quindi sostituire gli Stati Uniti come garante della sicurezza europea?

No. O meglio, non nella stessa misura, almeno non nell’immediato futuro. Fino all’arrivo di Trump, gli Stati Uniti hanno sempre e costantemente sottolineato il loro impegno nei confronti dell’Europa. Tanti presidenti, tanti segretari alla Difesa, tanti politici hanno ribadito che l’Europa rappresentava un interesse fondamentale per Washington. Hanno schierato qui molte truppe e condiviso armi nucleari tattiche con una serie di alleati, segnalando proprio la loro disponibilità a difendere i partner europei. I francesi non hanno fatto questo, almeno non ancora, perché non era il loro ruolo. Quindi per impegnarsi in questo senso, per assumere quel ruolo, non è sufficiente fare una dichiarazione, ma è necessario un lavoro da portare avanti nel tempo. E il rilasciare dichiarazioni simili è senza dubbio un passo all’interno di questo processo.

Nemmeno se sommato a quello britannico, l’arsenale francese sarebbe in grado di scongiurare un’eventuale operazione militare del Cremlino contro l’Europa?

Sommando Francia e Regno Unito, siamo a poco più di 500 armi nucleari. In confronto, la Russia ha 1.500 testate strategiche, tra le 1.000 e le 2.000 testate non strategiche, e un numero ordigni stipati nei depositi che varia dalle 2.500 alle 3.500 unità. Gli ordini di grandezza sono chiaramente molto diversi. Detto questo, ci vorrebbero molte meno di 500 testate nucleari per distruggere Mosca e San Pietroburgo. E anche se i russi ne intercettassero qualcuna, il danno sarebbe comunque inaccettabile. Siamo abbastanza sicuri che Francia e Regno Unito separatamente, e assolutamente sicuri se considerati assieme, potrebbero provocare danni inaccettabili alla Russia, esercitando così l’effetto deterrente. La questione però è un’altra, ovvero cosa fare in tutti gli scenari di estrema gravità in cui, tuttavia, non è ancora direttamente in gioco la sopravvivenza dell’Europa. Nel caso di una guerra su larga scala in Europa orientale, Francia e Regno Unito non subirebbero una minaccia nucleare diretta. Gli Stati Uniti dispongono di armi nucleari tattiche, Francia e Regno Unito no. E anche se le avessero, avrebbero i margini per usarle? Sia l’uso di queste armi sul territorio alleato che l’uso sul territorio russo non sembrano essere la scelta ottimale, anche se per ragioni diverse. Con le armi nucleari non c’è quella gradualità nella potenza distruttiva che si può ottenere con l’uso di sistemi convenzionali. O tutto o niente. E l’Europa ha bisogno di altre capacità.

A quali capacità allude?

I Paesi europei dovrebbero investire nello sviluppo e nella produzione di alcuni tipi di armi convenzionali che consentirebbero una risposta molto chiara e molto forte a qualsiasi aggressione russa, di natura convenzionale ma chiaramente non inferiore al livello nucleare. Armi di precisione a lungo raggio, aerei tecnologicamente avanzati e sistemi simili permetterebbero di colpire obiettivi chiave per la Russia, non necessariamente San Pietroburgo o Mosca. Si potrebbe ad esempio distruggere l’industria, come stanno facendo gli ucraini in questo momento. Si potrebbe distruggere la logistica militare. Si potrebbero distruggere le postazioni di comando e controllo. Si potrebbero distruggere molte cose di cui i russi avrebbero bisogno per portare avanti qualsiasi tipo di conflitto. Non è sicuramente una soluzione perfetta, ma credo che sia una strada ragionevole da percorrere per colmare tutte le lacune esistenti, e per assicurarsi che qualsiasi eventuale scontro tra la Nato e la Russia non raggiunga immediatamente il livello nucleare

Pensa che il “nucleare europeo” sia realizzabile a breve termine?

Penso che sia molto difficile, dalla situazione attuale, saltare a una soluzione comunitaria. L’Ue non è un’istituzione concepita per questo tipo di situazione. Penso che potrebbe diventarlo, in futuro, ma non guardando immediatamente alla dimensione europea, quanto a quella dei diversi Stati-membri, a un livello più piccolo e mini-laterale, per costruire queste capacità. Il ruolo dell’Unione è piuttosto quello di “razionalizzare” la parte industriale della difesa per rendere più facile e soprattutto più economica l’acquisizione di sistemi d’arma su larga scala. Naturalmente, potrebbe essere una buona idea per Francia e Regno Unito costruire più armi nucleari solo per loro, non perché ne abbiano bisogno, ma per mandare un segnale che stanno assumendo un nuovo ruolo. Mosca deve credere che Francia e Regno Unito facciano sul serio. E, tendenzialmente, preferirei non vedere altri Stati europei dotarsi di capacità nucleari.

Qual è dunque il ruolo dell’Ue sul piano nucleare?

Penso che sia quello di un facilitatore, ma c’è ancora molta strada da fare, stiamo parlando di armi nucleari sotto il controllo del presidente francese e del primo ministro britannico. Nessuno di questi due Stati sarebbe disposto a devolvere o a cedere la responsabilità di ciò a un’altra entità. E anche se venisse ceduta all’Ue, chi dovrebbe avere il controllo operativo? Durante una crisi tra Europa e Russia si avrebbero meno di venti minuti. Probabilmente meno, forse dieci, quindici minuti al massimo. In queste circostanze è necessaria una sola persona per prendere una decisione.

Per questo si potrebbe pensare che la creazione di una nuova organizzazione internazionale possa essere d’aiuto? Una sorta di Nato europea?

Sì, penso che si debba quantomeno parlare di difesa collettiva europea. Ma allo stesso tempo non credo sia necessario alienarsi gli Stati Uniti. Chissà, forse tra quattro anni ci sarà un altro presidente e le cose cambieranno di nuovo, o forse no. Ma il punto è che non abbiamo bisogno dell’antagonismo. Invece, quello che dovremmo fare come europei è assicurarci di avere una Nato che possa funzionare anche se gli Stati Uniti non sono disponibili. Il pivot to Asia era una realtà anche prima di Trump, e la tendenza sarebbe la stessa anche in caso di vittoria di Kamala Harris. E in futuro, gli Stati Uniti potrebbero essere meno presenti nel teatro europeo a causa della compresenza di crisi nell’Indo-Pacifico, intorno a Taiwan ma non solo. Dobbiamo quindi assicurarci di avere in Europa capacità da cui per il momento dipendiamo dagli Stati Uniti, come molte delle capacità spaziali. In alcuni casi ci stiamo già muovendo in questa direzione: Penso all’European Long Strike Approach, che ora conta sei o sette Paesi europei. In questo momento, sarebbe meglio creare una Nato più europea che possa funzionare senza gli Stati Uniti. Con l’eE che facilita l’aspetto industriale e produttivo. E se questo funziona, si può pensare di fare qualcosa di più ambizioso. Ma, come per qualsiasi altra cosa, deve essere costruita nel tempo.

Come si potrebbe formalizzare una “componente nucleare europea” all’interno della Nato?

Si possono fare due cose per conferire un ruolo maggiore a Francia e Regno Unito. La prima è chiedere alla Francia di entrare a far parte del gruppo di pianificazione nucleare della Nato. Questo sarebbe il segnale migliore per gli alleati della Nato, anche se probabilmente la Francia non potrà farlo per una serie di ragioni. In alternativa, si potrebbe puntare alla creazione di un organismo multilaterale, separato dall’Ue, dedicato esclusivamente alla deterrenza. Questo organismo dovrebbe includere, oltre a Francia e Regno Unito, anche altri Stati di un certo livello. Come la Germania, ad esempio, per le sue dimensioni, la sua storia e la sua crescente potenza militare. Anche la Polonia, perché è chiaramente lo Stato chiave per mantenere sicuro il fianco orientale. E poi l’Italia, probabilmente i Paesi Bassi, Stati che hanno un peso economico, diplomatico, finanziario, eccetera. Funzionerebbe come una sorta di gruppo parallelo di pianificazione nucleare. E anche se non sarebbe perfetto all’inizio, verrebbe perfezionato nel tempo.

Un po’ come la Nato?

Esatto, un po’ come la Nato. In quel caso, ci sono voluti decenni per sviluppare qualcosa che funzionasse, che poi ha funzionato così bene che ci ha spinto a dire: “Ok, questa è la soluzione assoluta, non ce ne possono essere altre”. Si deve creare qualcosa che funzioni in un contesto politico futuro, ma che sia allo stesso tempo implementabile nel contesto politico attuale. E cercare di ricreare o trasformare molto rapidamente l’Ue in una sorta di Nato parallela non è probabilmente la strada giusta. Non funzionerà con gli Stati Uniti, non funzionerà con gli alleati che si stanno ancora lentamente adattando alla nuova situazione, non funzionerà con gli Stati neutrali che cercano di essere neutrali. Quindi, probabilmente, si dovrebbe prendere il “caucus europeo” all’interno della Nato e farlo lavorare in modo più indipendente. E allo stesso tempo, fare altre cose con l’Ue. E, in un secondo momento, creare altre istituzioni specificamente focalizzate sulla questione specifica della deterrenza, nucleare e non solo.


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