Skip to main content

Genomica, AI e salute pubblica. L’Italia alla prova dell’innovazione secondo Moriconi (MinSal)

Dalla diagnosi precoce alle terapie personalizzate, la genomica sta trasformando la sanità pubblica. Ma restano aperti nodi cruciali: equità nell’accesso, protezione dei dati sensibili, governance dell’innovazione e alleanze pubblico-privato. Il punto di Stefano Moriconi, capo segreteria tecnica presso il ministero della Salute

Dalla mappatura completa del genoma umano alle tecnologie di sequenziamento di nuova generazione, passando per le applicazioni dell’intelligenza artificiale, la genomica sta rivoluzionando il modo in cui intendiamo la prevenzione, la diagnosi e la cura. Ma a fronte delle sue straordinarie potenzialità, emergono nuove questioni urgenti, come la necessità di garantire un accesso equo su tutto il territorio nazionale, tutelare la privacy dei dati genetici e sviluppare una governance in grado di tenere il passo con l’innovazione scientifica. In questo scenario in rapida evoluzione, anche l’Italia è chiamata a rafforzare il proprio ruolo attraverso politiche lungimiranti, investimenti nella ricerca e modelli efficaci di collaborazione tra pubblico e privato. Ne abbiamo parlato con Stefano Moriconi, capo segreteria tecnica del ministero della Salute.

Negli ultimi anni, la ricerca genomica ha compiuto progressi straordinari. Quali ritiene siano i risultati più significativi raggiunti finora? E quali le prospettive più promettenti per il futuro?

Il progetto di sequenziamento del primo genoma umano, Human genome project, (Hgp) si è concluso nel 2003, dopo 23 anni di ricerca, ma si trattava di una rappresentazione incompleta del Dna e solo nel 2022 è stata identificata la mappa completa dei circa 20mila geni che in biologia molecolare e in genetica rappresentano l’unità ereditaria fondamentale degli organismi viventi. È apparso subito chiaro come lo straordinario risultato raggiunto con la mappatura del genoma umano rappresentasse una rivoluzione tecnologica, scientifica e culturale in cui la ricerca genomica ha assunto un ruolo cruciale per la salute pubblica, offrendo l’opportunità di differenziare individui e gruppi, con maggiori probabilità di sviluppare determinate condizioni patologiche, attraverso un approccio scientifico differente rispetto a quelli tradizionalmente usati dagli operatori della salute.

Con quali risultati tangibili in termini di salute dei cittadini?

Oggi, sulla base delle informazioni ricavabili dalla costituzione genetica di un individuo, è possibile effettuare una stima del rischio di sviluppare una determinata patologia durante il corso della vita. Inoltre, grazie all’epidemiologia genetica e agli studi Genome wide association study (Gwas) è possibile effettuare un’indagine di tutti, o quasi tutti, i geni di diversi individui di una particolare specie per determinare le variazioni geniche tra gli individui in esame, permettendo la cosiddetta medicina predittiva-preventiva, ovvero la possibilità di intervenire precocemente, ottimizzando i trattamenti e rendendoli sempre più personalizzati.

Con l’IA si sono fatti ulteriori passi avanti?

Decisamente sì. Si sono ampliate ancor più le prospettive della ricerca genomica prefigurandosi una più selezionata capacità diagnostica e trattamenti più mirati e personalizzati grazie alla capacità dell’IA di gestire e analizzare enormi set di dati genetici e di accelerare il processo di sequenziamento del Dna, identificando varianti genetiche associate a specifiche malattie.

Ci fa un esempio?

Il recente modello Evo2, tecnologia open source che permette di prevedere l’impatto delle mutazioni con un’accuratezza elevatissima, apre nuove prospettive nella diagnosi e nella terapia delle malattie genetiche, poiché non è limitata alle sole sequenze codificanti che forniscono istruzioni per la sintesi delle proteine ma include anche il Dna non codificante che regola l’attività genica.

Senza rischi?

L’unico rischio è la possibilità di un suo uso improprio, con tutti i risvolti etici e morali, come potrebbe verificarsi, ad esempio, modificando il Dna di embrioni umani.

Passiamo più in verticale all’impegno del ministero. Quali sono le priorità del MinSal per integrare la genomica nelle politiche sanitarie nazionali?

Le nuove tecnologie di sequenziamento si sono evolute e, nell’arco di vent’anni, hanno abbattuto di circa 200mila volte i tempi e i costi delle analisi genomiche, rendendole fruibili su larga scala, permettendo di acquisire nuove conoscenze sulle basi biologiche di centinaia di malattie mendeliane rare e di caratterizzare lo spettro delle mutazioni somatiche dei tumori (inclusi i tumori rari), così come di predire attraverso specifici risk score la suscettibilità alle malattie complesse, la cui ereditarietà è multifattoriale in concorso con fattori ambientali (alimentazione, condizioni igieniche, clima, tabagismo, attività fisica ecc.) che possono sommarsi o sottrarsi al risultato finale.

Possiamo dire quindi che la sanità va sempre più verso la medicina di precisione?

Sì e il ministero della Salute è stato pronto ad affrontare queste mutazioni culturali e scientifiche sia attraverso il Piano per l’innovazione del sistema sanitario basata sulle scienze omiche che con l’attività del Tavolo di coordinamento interistituzionale per la genomica in sanità pubblica. Anche il Consiglio Superiore di sanità ha espresso una proposta relativa alle priorità del Piano nazionale della genomica, che ha focalizzato tre gruppi di patologie che possono beneficiare della genomica, ovvero le malattie rare, l’oncologia e le malattie complesse. Grazie a questo costante lavoro è stato possibile introdurre nei nuovi Lea il test di screening Non invasive prenatal test (Nipt) utile ad evidenziare le anomalie cromosomiche fetali più frequenti mediante l’analisi del Dna fetale.

Altrettanto importanti, poi, sono stati l’istituzione del Fondo per i test genomici per il carcinoma mammario ormone-responsivo in stadio precoce, come ulteriore strumento decisionale (in aggiunta ai parametri clinici, istopatologici e strumentali a disposizione dei clinici), quando non è chiara l’utilità di una chemioterapia in aggiunta alla endocrinoterapia e, altrettanto dicasi del Fondo per i test di Next generation sequencing, per la diagnosi molecolare del carcinoma non a piccole cellule non squamoso (adenocarcinoma) metastatico del polmone e del colangiocarcinoma. Infine, con l’entrata in vigore del decreto tariffe che assicura su tutto il territorio nazionale la piena erogazione dei nuovi Lea, uniformando le prestazioni sanitarie su scala nazionale, è stata introdotta la consulenza genetica per coloro che si sottopongono a un’indagine utile a confermare o a escludere un sospetto diagnostico.

Le innovazioni genomiche pongono nuove sfide in termini di accesso e sostenibilità. Come si possono evitare nuove disuguaglianze nell’accesso alle cure, garantendo che i progressi scientifici siano equamente distribuiti sul territorio e tra diverse fasce di popolazione?

Il tema è ancora prioritario, in quanto discrimina i cittadini in funzione della loro residenza geografica ed è ovviamente inaccettabile. Le istituzioni e il ministero hanno investito molto sia sull’integrazione dei progressi tecnologici nella pratica clinica del sistema sanitario, sia sulla sostenibilità dei costi a carico del Ssn. Come già detto, l’introduzione di test genetici nei nuovi Lea e la messa a disposizione di fondi specifici le cui prestazioni non rientrano nei Lea offrono il vantaggio a tutte le Regioni, anche quelle con piano di rientro, di poter offrire questi test ai cittadini. Tuttavia, nonostante il progresso ottenuto con i test Ngs di profilazione genomica e l’istituzione di team di esperti dedicati all’interpretazione clinica di questi nuovi dati (Molecular tumor board), esiste ancora una disparità di accesso in quanto questi test non sono offerti ai pazienti in tutte le regioni ponendo in risalto la questione della necessità di rimodulazione dei servizi, secondo princìpi di equità ed inclusività, per tutti i cittadini.

Come agire, dunque?

È importante evitare la frammentazione del percorso e della continuità della cura, specialmente in ambito oncologico, sia per evitare danni alla persona e sia perché indirettamente si ingenera una sfiducia nel rapporto medico-paziente e verso l’assistenza sanitaria, vanificando tutti gli sforzi istituzionali di poter offrire un sistema sanitario che risulta essere tra i migliori al mondo e costituisce uno dei punti fermi e virtuosi del nostro Paese. Come più volte ribadito dal ministro Orazio Schillaci, è necessario fare un salto di qualità e passare a un nuovo modello organizzativo che promuova un’assistenza centrata sulla persona e che sia mirato a garantire percorsi di cura per tutti, secondo criteri di equità e sostenibilità del sistema sanitario.

L’evoluzione della genomica procede a una velocità esponenziale, mentre i tempi della regolamentazione e della politica sono inevitabilmente più lenti. Quali sono, a suo avviso, gli strumenti normativi e amministrativi più efficaci per evitare che l’innovazione tecnologica superi la capacità di governo del sistema sanitario?

L’evoluzione tecnologica e della genomica in particolare, con l’avvento anche dell’AI, non sono facilmente regolamentabili in quanto i progressi scientifici, costantemente in atto, tendono a superare temporalmente gli stessi strumenti normativi o amministrativi che hanno, invece, bisogno di tempo per la loro definizione e messa in opera. Questo appare evidente soprattutto con l’AI ma, ancor più, con l’editing genetico, tecnologia che sta cambiando le regole della genetica in quanto riesce a permettere di classificare i tumori di organo in base a delle anomalie molecolari specifiche presenti, che risultano diverse tra i tumori. Appaiono evidenti i potenziali benefici di tale tecnica ingegneristica per la cura delle malattie genetiche, ma altrettanto evidenti sono i rischi di un utilizzo, eticamente improprio. È necessaria, comunque, una governance istituzionale, a livello nazionale e internazionale, per l’attuazione di un efficace monitoraggio e di misure relative all’editing del genoma umano.

Come rientra la genomica nel Pnrr?

La costruzione di una strategia nazionale sulla “medicina genomica” si allinea con gli obiettivi dei Pnrr in tema di politiche digitali e della salute, attraverso il potenziamento e il collegamento dei dati genomici, lo sviluppo della medicina personalizzata, il miglioramento della sanità pubblica e il rafforzamento dei sistemi sanitari nazionali.

Quale ruolo si configura, dunque, per il nostro Paese in ambito genomico?

Il nostro Paese è sempre stato in prima linea in tutte le iniziative ed ha contribuito fattivamente, anche con Esperti nazionali, allo sviluppo di Programmi europei e progetti di ricerca nazionali attuati da Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (Irccs), centri di eccellenza di ricerca finanziati dal ministero della Salute, come, ad esempio, il progetto Gen&Rare, che studia la parte codificante del genoma con la finalità di identificare nuovi geni di malattia per arrivare a offrire una cura a chi ancora non ne riceve ovvero il LifeMap, progetto per identificare nei bambini i fattori di suscettibilità che potrebbero essere responsabili di malattie croniche durante la loro vita, per attuare politiche di prevenzione e di cura personalizzate all’individuo. Questi esempi dimostrano l’impegno e l’investimento nella ricerca e nella genomica in particolare, la cui criticità rimane ancora l’importanza di avere maggiori risorse da investire che possono poi tradursi con un impatto positivo e sostenibile sulla salute dei cittadini.

La raccolta e l’uso dei dati genomici pongono questioni cruciali di privacy e sicurezza. Qual è il giusto equilibrio tra la necessità di favorire la ricerca e l’innovazione e quella di tutelare i diritti dei cittadini in materia di dati sensibili?

Decine di milioni di persone hanno depositato il Dna, quindi, i dati genetici crescono esponenzialmente ponendo seri problemi di regolamentazione anche a causa del fatto che i dati sono distribuiti tra molte nazioni e, spesso, trasmessi fuori dall’Ue così da non esser soggetti al Regolamento Ue 2016/679 (Gdpr) che recita: i “dati genetici sono i dati personali relativi alle caratteristiche genetiche ereditarie o acquisite di una persona fisica che forniscono informazioni univoche sulla fisiologia o sulla salute di detta persona fisica, e che risultano in particolare dall’analisi di un campione biologico della persona fisica in questione”. Questi dati sono infatti “unici” in quanto rivelano i caratteri che rendono distinguibile un individuo da un altro.

Può dirci di più?

Il Gdpr non fa alcun riferimento esplicito alla protezione dei diritti alla privacy genetica o ad alcun diritto specifico rispetto alla conoscenza da parte dell’interessato delle nuove informazioni prodotte attraverso l’analisi genetica. Le stesse Biobanche, cresciute di importanza come infrastrutture di supporto alla ricerca medica, e la mole dei Big data genomici di individui trattati nell’ambito della ricerca, suscitano molte riflessioni sulle conseguenze relative al diritto alla privacy dei soggetti coinvolti. Persino il consenso informato appare una garanzia difficoltosa da mantenere se consideriamo il fatto che, al momento della raccolta del materiale genetico, non sono conosciute le finalità future di utilizzo legate allo sviluppo tecnologico scientifico, che potrebbero rendere il consenso informato concesso, inattuale o anacronistico.

Come possiamo evitare che l’uso dell’intelligenza artificiale nella ricerca genomica superi i limiti etici senza frenare il progresso scientifico?

Viviamo in un periodo storico in cui sono in discussione le fondamenta concettuali dell’approccio alle tecnologie che influenzano direttamente le scienze umane e la medicina. Le tecnologie offrono tali e tante potenzialità da sfuggire anche a forme di autorità e quindi sarebbe opportuno migliorare e aggiornare la regolamentazione rendendola più efficace e aderente allo sviluppo scientifico per la sicurezza di tutti i cittadini. Anche il consenso informato non garantisce di per sé dall’uso dei dati genetici custoditi nelle biobanche. Infatti, lo scenario attuale è quello in cui le scoperte scientifiche scaturiscono dalla “creatività umana” che si avvale però di algoritmi dell’AI che tendenzialmente alterano il rapporto tra scienza ed etica con potenziali rischi di abusi.

Lo sviluppo della genomica richiede ingenti investimenti e spesso il coinvolgimento di attori privati. Quali modelli di collaborazione tra pubblico e privato possono risultare più efficaci per garantire innovazione, sostenibilità e accesso equo alle nuove tecnologie?

Non esiste purtroppo una combinazione perfetta nei modelli di collaborazione pubblico/privato. Certamente il ruolo del pubblico è finalizzato a raggiungere obiettivi comuni per la società che comportino benefici, in questo caso la salute dei cittadini, tramite la ricerca e l’applicazione nella pratica clinica della genomica. Gli investimenti pubblici “devono” rispondere a precisi requisiti di obiettivi, finanza e benefici partendo dal presupposto che in sanità pubblica ogni spesa rappresenta un investimento per il bene pubblico.

E per quanto riguarda il privato?

Ovviamente risponde alle logiche di mercato, dunque, le imprese profit hanno certamente interesse ad investire in partenariato con il pubblico, condividendo il know how e l’esperienza manageriale. Per quanto riguarda invece le imprese non profit, essendo quest’ultime di varia natura, potendo spaziare dalle fondazioni a società di volontariato, è chiaro che proprio in virtù della loro genesi, possono offrire un contributo scientifico e di know how maggiormente orientato a forme di collaborazione molto efficaci, soprattutto nel settore del welfare society. Esistono molti progetti in corso di genomica tra pubblico e Fondazioni private che sono oramai punti di riferimento per i cittadini rivolti per lo più allo studio, alla prevenzione ed alle terapie, soprattutto, delle malattie rare e in ambito oncologico.

Come possiamo valorizzare e potenziare ulteriormente il ruolo della ricerca?

È troppo semplice affermare che la ricerca dovrebbe essere oggetto di maggiori investimenti ma vorrei segnalare un aspetto che supporta molto in termini economici e di solidarietà la ricerca, e indirettamente il partenariato pubblico-privato, che corrisponde all’infinita generosità della donazione di cui il nostro Paese è particolarmente virtuoso e che ha permesso di portare avanti ricerche e progetti che hanno consentito il raggiungimento di risultati straordinari, talvolta difficili da cogliere senza queste forme di finanziamento. È questo lo spirito comune con cui dovrebbero essere affrontate e vinte le battaglie contro le malattie: nessun pregiudizio, ma un impegno comune e solidale delle istituzioni e di tutti gli attori, direttamente e indirettamente interessati e coinvolti.


×

Iscriviti alla newsletter