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Per la Germania è tempo di una svolta sul debito. Ecco perché

Il governatore della Banca centrale, Joachim Nagel, è in prima linea per la riscrittura dei vincoli finanziari in calce alla Costituzione federale. Perché tra pressione cinese, recessione e Difesa, Berlino non può più permettersi il rigore sui conti. Prossimo passo l’unione fiscale?

Ai tempi di Angela Merkel, cancelliera della Germania per quasi 20 anni e madre spirituale dell’austerity in Europa, forse i tedeschi non lo avrebbero potuto credere possibile. E invece adesso Berlino riscopre la necessità di spendere di più, di far cadere, o almeno ripensare, quel muro contro il debito messo in calce nella Costituzione federale. Troppo forte la pressione della Cina sull’industria dell’auto, troppo stringenti, ancora, i vincoli del Green new deal. E troppo acerbo lo sganciamento dalle forniture di gas russo, per un Paese a corto di rinnovabili e senza nucleare. Senza dimenticare la partecipazione al fondo comune europeo per la Difesa che sta prendendo corpo e anima, giorno dopo giorno. La somma è che in Germania è in atto una rivoluzione culturale, prima ancora che contabile.

Se ne è accorto per tempo il governatore della Bundesbank, Joachim Nagel, non certo una colomba quando si parla di tassi e debito altrui, soprattutto italiano. Ma i tempi sono cambiati, la Germania è in recessione e finanze che fino a ieri traballavano, non solo quelle dello Stivale, sono decisamente più sane di quelle tedesche. E così, ecco la prima vera missione del futuro cancelliere (formazione di un nuovo governo permettendo), Friedrich Merz: riscrivere parte dell’articolo 109 della Costituzione.

Nagel, che in questi giorni dovrebbe portare la riforma del freno al debito all’attenzione del Bundestag, è stato chiaro. Il prossimo governo tedesco ”deve pensare di riformare il prima possibile il freno al debito. La Germania ha certamente un margine di manovra, dato il suo rapporto di indebitamento relativamente basso. Non dovremmo chiudere gli occhi di fronte al fatto che abbiamo bisogno di più denaro per affrontare e risolvere i compiti del futuro. Sono anche favorevole a finanziare parte della spesa per la difesa a livello europeo e non direttamente attraverso i bilanci nazionali. Questo sarebbe appropriato alla luce della situazione di minaccia e andrebbe a vantaggio di tutti i Paesi”, ha osservato Nagel.

La svolta anti-rigorista della Germania è però partita anche da un dato. La Bundesbank ha registrato una perdita di 19,2 miliardi di euro per il 2024, la prima dal 1979. Nel 2023 la banca centrale tedesca aveva chiuso in pareggio solo grazie all’utilizzo pressoché totale delle riserve che avevano permesso di colmare il passivo di 21,6 miliardi. Nel 2024, si è toccato il fondo, con le spese per interessi netti risultate pari a 13,1 miliardi di euro, (13,9 miliardi nel 2023). Da queste cifre Nagel ha plasmato il suo appello per un ribaltamento dei paradigmi tedeschi. “Una significativa ripresa economica non è in vista per ora e la Germania ha bisogno di lottare per la sua competitività”.

A questo punto è lecito farsi una domanda. Se la Germania è pronta a mettere in discussione un caposaldo della sua finanza pubblica, potrebbe alla fine aprire anche all’unione fiscale europea, che poggia sulla condivisione dei debiti sovrani? Debito dei Paesi frugali, insieme a quello dei governi mediterranei e più indebitati, per farla breve. La solitamente rigorosissima Christine Lagarde, governatore della Bce, si è spinta in questi ultimi tempi a sperare che l’eurozona arrivi a dotarsi di un’unione fiscale, la vera bestia nera di falchi, rigoristi e conservatori in generale.

“Arrivare a un’unione fiscale sarebbe un miglioramento” ha detto  Lagarde, “il tema ha davvero a che fare con il completamento dell’unione monetaria. Ci sono diversi modi per arrivarci: gli eurobond sono un’opzione, altrimenti, una capacità fiscale più forte, un finanziamento congiunto di beni comuni”. Esattamente il programma di Mario Draghi, l’altra bestia nera dei falchi. Ma forse, come detto, i tempi sono cambiati.


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