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La relazione degli 007 ci ricorda l’urgenza di fare cultura dell’intelligence. Il commento di Mayer

Il documento annuale non solo traccia le principali minacce per la sicurezza nazionale, ma suggerisce indirettamente la necessità di una strategia più ampia, fondata sulla diffusione della cultura dell’intelligence. Non basta il fact-checking: per contrastare la disinformazione serve educare le nuove generazioni a interpretare criticamente la realtà. Il commento di Marco Mayer

Quest’anno la relazione dell’intelligence al Parlamento ha avuto il merito di delineare l’agenda dei principali temi che i partiti di maggioranza e di opposizione dovranno affrontare nel prossimo futuro. Un primo importante passo verso la redazione di una strategia di sicurezza nazionale suggerita da Lorenzo Guerini, presidente del Copasir.

Nel documento di parla di “crescenti e sempre più insidiosi attacchi ai valori ed al funzionamento delle democrazie liberali”, con particolare riferimento alle manipolazioni informative e alle azioni di influenza compiute da una vasta gamma di attori in vari modi riconducibili a Russia, Cina e Iran. Si sottolinea giustamente come l’eccesso di misure di controllo e/o moderazione dei social media online possano non solo ledere i valori della libertà di espressione, ma trasformarsi in un boomerang, finendo per favorire involontariamente gli obiettivi degli attori ostili.

Monitorare le fonti aperte e segnalare le fake news appartiene alle attività di routine dei servizi. Tuttavia, in pochi sono consapevoli che anche il più pignolo fact-checking non cambia le cornici cognitive delle persone e tantomeno la loro permeabilità alle false narrative che caratterizzano la guerra ibrida lanciata da Mosca e Pechino. Per contrastare la   disinformazione, la strada maestra da percorrere è viceversa promuovere a ogni livello (come del resto prevede la legge) la cultura dell’intelligence, purché’ la si intenda nel significato più ampio del termine, ovvero quello adottato nei paesi anglosassoni.

La mia esperienza didattica nel settore mi dice che alcune testimonianze di operativi in pensione può essere utile per raccontare aneddoti avvincenti (e talora divertenti), ma in genere non serve soffermarsi sulle “tecniche” di spionaggio e controspionaggio che caratterizzano le attività dei servizi. Nelle democrazie la diffusione della cultura di intelligence assume, infatti, un ruolo strategico: significa stimolare il desiderio di esplorare il mondo nella incessante ricerca di quella che Nicolò Machiavelli definisce realtà effettuale.

Promuovere la cultura di intelligence significa, innanzitutto, appassionare le nuove generazioni a guardare con curiosità e spirito critico ai fenomeni storici così come agli eventi contemporanei. Esplorare il mondo è, per fortuna, un’innata passione umana che la cultura dell’intelligence può coltivare e incoraggiare con efficacia.

Ho scritto queste righe dopo una passeggiata di tre ore lungo il cosiddetto Freedom trail (il sentiero della libertà) che attraversa la città di Boston. Le varie tappe dell’itinerario illustrano con una straordinaria efficacia ed evidenza empirica le vicende e le personalità che 250 anni fa hanno costruito la prima democrazia moderna del mondo, fondata su elezioni libere e segrete e su procedure proprie dello stato di diritto. Quest’ anno, per ricordare il 250° anniversario della liberazione dall’ occupazione dalle truppe britanniche, ci saranno a Boston grandi celebrazioni e nuove scoperte storiche da raccontare.

L’ Italia potrebbe approfittare dell’occasione per raccontare un pezzo di storia così importante quanto ignota (o quasi) al pubblico italiano.

Durante il mio soggiorno negli Stati Uniti ho potuto constatare che esistono forti anticorpi che suggeriscono di non trarre conclusioni troppo affrettate sul futuro dell’America dopo la presidenza Trump. Occorre, per esempio, tener conto che alcuni esponenti repubblicani sono sinceramente prudenti sul piano militare perché’ hanno vissuto direttamente sul campo di battaglia le disastrose avventure del loro presidente George Walker Bush in Iraq e in Afghanistan.

Il guaio, però, è che in Italia in tanti guardano ancora agli Stati Uniti con pregiudizio, soprattutto a sinistra.

Da 24 febbraio 2022 l’Ucraina è aggredita e bombardata dalla Russia di Vladimir Putin, ma durante questi tre anni sono scese in piazza   soltanto le comunità ucraine supportate da Più Europa e da poche altre forze libdem. Le manifestazioni della sinistra non sono state indette contro Putin, ma soltanto in questi giorni dopo che Trump ha umiliato il presidente ucraino Volodymyr Zelensky alla Casa Bianca. Non è un buon segno.

Il discorso ci porterebbe lontano, ma divulgare la gloriosa storia di Boston per smantellare la falsa immagine costruita dal Cremlino sugli Stati Uniti è un buon esempio di come si può contrastare o almeno controbilanciare la narrativa.

Un discorso analogo vale per l’attualità. L’ involuzione autoritaria voluta da Putin è stata devastante.  Dodici anni fa Alexei Navalny ha preso il 27% dei voti nelle elezioni municipali per il sindaco di Mosca e l’anno scorso è morto in un carcere di massima sicurezza sopra il circolo polare artico. Raccontare l’impegno politico e civile di Navalny e focalizzare l’attenzione sulle battaglie di libertà che sua mamma e sua moglie cercano di continuare è certamente molto più efficace che rincorrere le singole fake news prodotte in quantità industriali dalla macchina di disinformazione del Cremlino.


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