La Marina Militare guarda alla propulsione nucleare per estendere la sua presenza globale. Un passo avanti che potrebbe segnare il ritorno dell’Italia tra le potenze navali di primo livello. L’analisi dell’ammiraglio Fabio Caffio
Il Capo di S.M. della Marina, nell’indicare le linee di sviluppo delle Forze navali nei prossimi anni ha preannunciato che tra i progetti in cantiere ci potrebbe essere quella di “propulsori nucleari, grazie alla tecnologia dei nuovi reattori, sia per i caccia che per i sottomarini”. Coll’allargarsi del teatro operativo della Marina all’Indo-Pacifico al di là degli scenari del Mediterraneo allargato è evidente che la F.A. immagina di dotarsi di capacità che permettano missioni di prolungata autonomia. La nostra politica internazionale basata sull’adesione al G7 potrebbe così disporre di uno strumento navale adeguato alle sue ambizioni di ruolo.
Per l’Italia si tratterebbe per il vero di un ritorno al passato. Pochi ricordano che il nostro Paese, oltre che applicare il nucleare alla produzione di energia elettrica, cercò di costruire per la Marina un sommergibile a propulsione nucleare. A fine anni Cinquanta fu progettato un battello di 3.400 tonn. di dislocamento in immersione che si sarebbe dovuto chiamare “Guglielmo Marconi”, con propulsione derivante da un impianto nucleare da 30 Mw già realizzato dalla Westinghouse. Lo studio , realizzato dalla Marina con l’ausilio dell’industria nazionale e del neocostituito Centro per le Applicazioni Militari dell’Energia Nucleare (Camen) della Difesa, non fu mai realizzato per l’indisponibilità degli Stati Uniti a cedere tecnologia militare.
Negli anni successivi si cercò di aggirare l’ostacolo, immaginando di applicare la propulsione nucleare ad un’Unità logistica multiruolo (l’”Enrico Fermi”) da 18.000 tonn. concepita in collaborazione con la Fiat. L’impresa si arenò tuttavia per motivi analoghi a quelli del “Marconi”, come può leggersi nella documentata analisi di Carlo De Risio, Navi di ferro teste di legno, 1976.
A distanza di decenni, resta il rammarico di non aver potuto realizzare quello che l’industria nazionale era pronta a fare: d’altronde non va dimenticato che a metà anni Sessanta l’Italia era tra i pochi Paesi ad avere già centrali nucleari per la produzione di energia elettrica.
Peraltro, nel 1966 la Germania aveva potuto costruire un mercantile a propulsione nucleare (denominato “Otto Hahn” ), a riprova che i progetti italiani non andarono a buon fine per logiche di politica internazionale.
Ma ora i tempi sono cambiati , ora che l’Italia ha acquisito consapevolezza del proprio ruolo di presenza navale in teatri lontani dal Mediterraneo, ora che Stati Uniti e Nato hanno bisogno di forze per contrastare Russia e Cina ed ora che la Ue cerca di rafforzare la difesa comune. Non è quindi impossibile che in futuro i piani della Marina si concretizzino anche perché il Paese sta rapidamente riacquisendo la perduta capacità in campo nucleare. Fincantieri e Rina hanno d’altronde siglato un accordo con un’azienda britannica impegnata nello sviluppo di reattori innovativi di nuova generazione che utilizzano scorie nucleari esistenti come combustibile, da adibire a propulsione navale.