L’incontro nella capitale britannica, a cui parteciperà anche Zelensky, è cruciale. La premier ha davanti a sé l’occasione di tenere alto l’onore dell’Italia mantenendo la parola data e non guardando in faccia in nessuno. Il commento di Marco Mayer
Domani a Londra si terrà un incontro di rilevanza storica tra leader europei a cui parteciperà anche Volodymyr Zelensky. Il presidente ucraino, prima di partire dagli Stati Uniti dopo l’incontro con il presidente americano Donald Trump, ha intelligentemente sgombrato il campo alle polemiche ringraziando gli Stati Uniti per il supporto che sin qui hanno dato alla resistenza ucraina dopo l’invasione della Russia.
Nel summit di Londra, Giorgia Meloni, presidente del Consiglio, ha davanti a sé l’occasione di tenere alto l’onore dell’Italia mantenendo la parola data e non guardando in faccia in nessuno.
La prima mossa è ricordare al mondo che il popolo ucraino continua anche in queste ore politicamente drammatica a essere oggetto di una feroce aggressione. Nessuno ne parla, ma mentre andava in scena lo scontro televisivo alla Casa Bianca la Russia ha lanciato più di 150 droni kamikaze contro le città dell’Ucraina.
La seconda mossa, in coerenza con la sua immagine di leader non ricattabile, è quella di respingere al mittente gli inaccettabili ricatti lanciati da Matteo Salvini, vicepresidente del Consiglio, in Italia e Victor Orbán, primo ministro ungherese, in Europa. Non è il momento di tergiversare: il messaggio della presidente del Consiglio ai popoli europei deve essere chiaro: qui o si fa l’Europa o si muore”.
La terza carta da giocare è più complicata sul piano diplomatico, ma forse decisiva per una pace giusta e duratura. Domani a Londra, Meloni dovrebbe spendere la credibilità internazionale si è guadagnata sul campo per convincere i suoi colleghi europei a tentare un patto con la Turchia per le recenti aperture di Recep Tayyip Erdoğan e soprattutto il ruolo cruciale che essa svolge nella Nato
Una salda intesa tra Unione europea, Regno Unito e Turchia potrebbe controbilanciare con successo quegli impulsi dell’amministrazione Trump che favoriscono il leader russo Vladimir Putin.