Domani la premier terrà le comunicazione al Senato in vista del Consiglio Ue. I temi sul piatto, sono dirimenti: dalla guerra in Ucraina, le spese per la Difesa e il ruolo dell’Italia nel rapporto con gli Usa. Le pressioni della Lega restano forti. Il Pd prepara un documento per blindare la segretaria dopo il voto al Parlamento europeo. E i 5 Stelle sulla Difesa si allineano al Carroccio. Tutte le contraddizioni della politica lette dal politologo Massimiliano Panarari
Una prova di resistenza e di unità. Domani la premier Giorgia Meloni terrà le comunicazione al Senato in vista del Consiglio Ue in programma per giovedì e venerdì. I temi sul piatto sono dirimenti: dalla guerra in Ucraina, le spese per la Difesa e il ruolo del nostro Paese nel rapporto con gli Usa. Non sono mancate, negli ultimi giorni, prese di posizione contrastanti nella maggioranza. Non ultime, le dichiarazioni del ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, che si è allineato alla posizione ufficiale della Lega guidata da Matteo Salvini. Dall’altra parte della barricata, i dem stanno ancora facendo i conti con la spaccatura che si è registrata durante il voto al Parlamento europeo sulla risoluzione legata al ReArm Europe. Proprio domattina si riuniranno i gruppi parlamentari per presentare una risoluzione da proporre in occasione delle comunicazioni di Meloni. L’orientamento prevalente sembra essere quello di un documento che “blindi” in qualche modo la leadership della segretaria Elly Schlein. “Uno scenario di contraddizioni, tanto a destra quanto a sinistra, e la dimostrazione di come, alla fine, sia sempre la politica estera a far emergere i nodi irrisolti anche sul piano interno”. A dirlo a Formich.net è il politologo e sociologo di UniMoRe, Massimiliano Panarari.
Dopo il voto al Parlamento europeo, cosa è cambiato anche sul piano interno?
Sono cadute un po’ di maschere e sono emerse contraddizioni evidenti anche sul piano interno. Contraddizioni trasversali a entrambi gli schieramenti che si consumano sui grandi temi legati alla politica estera e a quella europea.
Quanto è delicato in questo momento il ruolo di Giorgia Meloni come premier e come leader del principale partito della coalizione?
Lei ha fatto dell’ambivalenza la sua cifra peculiare. E, se per un periodo è stata una tattica pagante, adesso è complesso essere – ad esempio – il referente di Donald Trump e allinearsi alla politica europea di Ursula von der Leyen. Così come è complesso reggere le pressioni dei partner della coalizione. Lega in primis. Tanto più che, va riconosciuto, l’atteggiamento di Forza Italia è senz’altro quello più responsabile.
Quella della Lega però è una posizione abbastanza coerente con la storia del movimento, non trova?
Si, ma è chiaro che in questo contesto Salvini non ha nessuna intenzione di fermarsi giocando sempre ad alzare la posta. E quindi le fibrillazioni in maggioranza. Non potendo più giocare il ruolo di referente italiano di Trump, rilancia su altri fronti. Come quello della Difesa europea. Tant’è che anche le parole di Giorgetti nelle ultime ore, sono state piuttosto insolite per lo meno nel metodo. Un chiaro indice che, nel Carroccio, al momento non esiste l’ipotesi di una leadership alternativa.
Anche il Pd è alle prese con una spaccatura: riformisti da un lato, schleiniani dall’altro. Come vede l’ipotesi di un congresso?
Penso che per lo più rappresenti una provocazione, segnatamente lanciata da Zanda. Ma Schlein, anche con la partecipazione alla manifestazione di Roma, ha dimostrato di essere in linea con la maggioranza del Pd. Il suo pacifismo idealistico piace. E, fra l’altro, la convocazione di un congresso potrebbe essere un’arma a doppio taglio: un’occasione per gli schleiniani di ferro di fare un grande regolamento di conti interno a detrimento della parte riformista.
Il Movimento 5 Stelle in Europa ha votato come la Lega. Lei pensa che ci possa essere un ripensamento circa l’alleanza con i dem alla luce di questo ritrovato allineamento – per lo meno sulla Difesa – col Carroccio?
Il Movimento 5 Stelle si è dimostrato, ancora una volta, una forza non di sinistra bensì una formazione populista in grado di contemperare tutti gli estremi: da posizioni iper-conservatrici a linee di sinistra radicale. La sintonia con Salvini in particolare sulla politica estera è un fatto strutturale, reso evidente ai tempi del governo giallo-verde. Certo, è un tema sul quale il Pd dovrebbe riflettere nonostante Schlein si definisca testardamente unitaria. A meno che…
A meno che?
In queste condizioni non ci sono i presupposti per immaginare una coalizione di centrosinistra che possa presentarsi come realmente alternativa all’attuale compagine di governo. Pur con tutte le contraddizioni che abbiamo indicato. Per cui, è possibile che Pd e Movimento 5 Stelle, più che pensare a governare pensino a come “fare il pieno” all’opposizione.