Le instabilità geopolitiche fanno crescere ancora il mercato globale della difesa, ma i cambiamenti dell’ultimo periodo stanno ridisegnando in molti settori le mappe dell’import-export militare. Per il proprio riarmo, spinto anche dalla nuova linea dura di Trump, l’Europa si affida ancora al settore Usa, ma crescono le preoccupazioni sui possibili risvolti delle decisioni Usa di tagliare gli aiuti al Kiev. Intanto, la Russia vede crollare le proprie vendite di armamenti mentre l’Italia si posiziona al sesto posto tra gli esportatori mondiali, puntando soprattutto sul Medio Oriente
Le importazioni di armi in Europa sono cresciute del 155% negli ultimi quattro anni, in risposta alla crescente minaccia russa, esacerbata dall’invasione dell’Ucraina nel 2022. È una delle considerazioni che emergono dai dati pubblicati nello studio sulle importazioni militari a livello globale del Stockholm international peace research institute (Sipri), l’autorevole think tank svedese che monitora lo stato delle spese militari a livello mondiale. Tra le considerazioni che emergono dalla ricerca, alcune non sono novità, come il fatto che Kiev è risultata il più grande importatore di armi al mondo, con un volume cento volte più grande rispetto al periodo pre-invasione (e pre-annessione della Crimea).
“I nuovi dati sui trasferimenti di armi riflettono chiaramente il riarmo in atto tra gli Stati europei in risposta alla minaccia della Russia”, ha dichiarato Mathew George, direttore del programma Sipri sui trasferimenti di armi. Tuttavia, alcuni grandi importatori di armi, tra cui l’Arabia Saudita, l’India e la Cina, hanno registrato un forte calo dei volumi di importazione per una serie di motivi, nonostante la percezione della minaccia nelle loro regioni”.
Tra i dati dello studio, però, si registra anche la caduta della Russia quale esportatore mondiale di piattaforme di difesa, al terzo posto dopo Stati Uniti e Francia (in crescita del 9,6%). Altro dato interessante è invece la posizione dell’Italia, che dal decimo posto è assestata oggi al sesto, con una crescita del 4,8%. Le esportazioni italiane sono dirette principalmente verso il Medio Oriente, dove l’Italia è al terzo posto tra i fornitori, occupando una quota del 13%. Più della metà di piattaforme vendute nella regione sono statunitensi, e al terzo e quarto posto troviamo Parigi (9,7%) e Berlino (7,6%). In generale, registra il Sipri, pur crescendo significativamente le importazioni, i Paesi europei rimangono principalmente esportatori, e dei primi dieci importatori al mondo, solo l’Ucraina si trova geograficamente in Europa. Gli aerei da combattimento sono la principale arma d’attacco a lungo raggio importata dagli Stati, ma l’interesse per i missili da attacco terrestre a lungo raggio è in aumento.
L’Europa, però, ha più che raddoppiato i suoi acquisti di armamenti, rivolgendosi principalmente agli Stati Uniti. Washington ha fornito più del 64% di tutte le piattaforme acquistate dal Vecchio continente, con la restante parte proveniente principalmente da Francia, Corea del sud (6,5% ciascuna), Germania (4,7%) e Israele (3,9%). Al netto di questa dipendenza d’oltreoceano, la ricerca evidenzia come “Gli Stati membri della Nato hanno preso provvedimenti per ridurre la loro dipendenza dalle importazioni di armi e per rafforzare l’industria europea degli armamenti”, ha dichiarato Pieter Wezeman, ricercatore senior del Programma trasferimenti di armi del Sipri. Ma il rapporto transatlantico di fornitura di armi ha radici profonde. Le importazioni dagli Stati Uniti sono aumentate e gli Stati europei della Nato hanno quasi cinquecento aerei da combattimento e molte altre armi ancora in attesa di essere consegnate dagli Stati Uniti”.
Gli Stati Uniti mantengono il primato di esportazione con una crescita della quota controllata fino a quasi la metà dell’export globale (43%). Tuttavia, anche per loro ci sono novità. Per la prima volta da un ventennio i propri prodotti sono andati principalmente in Europa, invece che nel Medio Oriente (sebbene il primo compratore di armi Made in Usa resti l’Arabia Saudita). Sicuramente l’industria della Difesa Usa ha beneficiato dell’impulso dato dall’Europa alle proprie spese per la Difesa, dovuto in parte anche alla nuova “linea dura” adottata nei confronti degli europei dal presidente Donald Trump. Se da un lato la policy del Tycoon sembra, quindi, aver aiutato il comparto a stelle e strisce, le decisioni prese sempre dalla Casa Bianca di tagliare le forniture di armi, pezzi di ricambio e intelligence statunitensi all’Ucraina ha suscitato in alcuni Paesi europei la preoccupazione che Washington possa un giorno fare lo stesso con loro. Questo potrebbe ora influenzare l’appetito dell’Europa per le armi statunitensi. Nelle ultime settimane i titoli della difesa europea hanno registrato un’impennata grazie alle notizie sull’aumento della spesa. Le azioni dei maggiori appaltatori di difesa della regione sono tutte in crescita. Per contro, i titoli della difesa statunitensi sono rimasti fermi o in calo quest’anno.
La Russia è invece in caduta libera, con una contrazione del 64%, una contrazione dovuta sia alle sanzioni, sia alla necessità di impiegare al fronte le armi prodotte. Due terzi delle esportazioni di armi russe sono stati destinati a tre Stati: India (38%), Cina (17%) e Kazakistan (11%). Cresce invece la Cina, sebbene di poco, con le esportazioni limitate dalla decisione di molti Paesi di non rivolgersi a Pechino per ragioni politiche. Interessante è invece registrare la riduzione di importazioni da parte della Cina, ridotte del 64%. Una spiegazione potrebbe essere la necessità di trovare sostituti prodotti localmente delle piattaforme precedentemente comprate da Mosca.