L’iniziativa di piazza sulla pace in Ucraina e su quella fiscale rappresenta un tentativo di Salvini di accreditarsi all’elettorato stanco del conflitto. Ma così si legittima l’aggressione di Putin e si prendono in giro i contribuenti onesti. Meloni? Positivo il tentativo fino all’ultimo di ricucire con gli Usa, ma deve fare presto. Colloquio con il politologo di Unipg, Roberto Segatori
Pace in Ucraina e pace fiscale. Il leader della Lega, Matteo Salvini ha lanciato l’iniziativa che nei suoi intendimenti dovrebbe riguardare un migliaio di piazze italiane. Questo fine settimana i militanti del Carroccio sono chiamati a rispondere all’appello del leader. Una mossa che, da subito, ha destato qualche malumore in seno alla maggioranza e che rappresenta “un maldestro tentativo di accreditarsi come l’unico amico italiano di Trump, nascondendo però due imbrogli”. Lo dice a Formiche.net Roberto Segatori, politologo e professore ordinario di Sociologia dei processi politici a Unipg.
Quali sarebbero gli imbrogli?
La pace in Ucraina, nello scenario attuale, significherebbe giustificare la mossa del dittatore Putin e di fatto legittimare un potenziale altro attacco ad esempio verso i paesi Baltici. D’altra parte, quando Salvini parla di pace fiscale introduce un concetto molto pericoloso: le regole fiscali devono essere fissate ex ante per il contribuente. Se si va avanti a sanatorie, il rischio è quello di dar l’idea di voler fregare chi – correttamente e onestamente – paga le tasse.
C’è un calcolo elettorale alla base di queste iniziative?
Mi sembra una mossa disperata. I sondaggi stanno premiando Fratelli d’Italia e Forza Italia a detrimento della Lega. Per cui Salvini, per legittimare la sua posizione, organizza queste iniziative di piazza provando a intercettare una parte del malumore. Ma sta muovendosi in direzione opposta rispetto all’elettorato che tradizionalmente sostiene il Carroccio.
A quale tipo di bacino fa riferimento?
In questo momento Salvini sta ingaggiando questa battaglia per accreditarsi come interlocutore privilegiato di Trump, dimostrando di conoscere fra l’altro ben poco le dinamiche che da sempre legano il nostro Paese agli Usa. Tuttavia, i più penalizzati dalle decisioni del tycoon sul piano economico – mi riferisco all’introduzione dei dazi – saranno proprio gli imprenditori del Nord Est che da sempre riconoscono nella Lega il proprio punto di riferimento politico.
A questo punto il ruolo della premier Meloni diventa più complesso?
Salvini è senz’altro una spina nel fianco, tant’è che sono molto più simili le posizioni di Fratelli d’Italia e Forza Italia piuttosto che quelle della Lega. Ma il punto vero è che Meloni adesso deve cercare di ottenere, sul piano dei rapporti con Trump ma in ottica multilaterale, dei risultati concreti. Sennò rischia di perdere di credibilità politica.
Nel frattempo Ursula von der Leyen annuncia il piano del riarmo Ue con un investimento da ottocento miliardi.
Sì, la direzione indicata da Ursula è giusta e peraltro segue il solco tracciato dall’ex premier Mario Draghi nel suo rapporto sulla competitività. Detto questo, però, va riconosciuta a Meloni la bontà della sua azione nel tentare fino all’ultimo di ricucire i rapporti con gli Usa. Però, deve farlo in fretta. Al massimo entro un mese dovrà avere da parte di Trump un riscontro sul rapporto con l’Ue. A Meloni spetta dunque il compito – in virtù delle relazioni consolidate con gli Usa – di farsi portavoce dell’intera Europa.
Cosa c’è alla base della volontà italiana di tentare in tutti i modi di rafforzare l’alleanza atlantica?
La posizione del premier è giusta e rispecchia una tradizione di rapporti che abbiamo sempre avuto. Teniamo presente che in Italia abbiamo 150 basi nato per cui il rapporto con gli Stati Uniti non può essere – anche in virtù di questa ragione, oltre al ritardo oggettivo sul tema della Difesa comune – abbandonato con tanta leggerezza.