La proposta di estendere lo scudo nucleare da parte del presidente francese è politicamente efficace ma poco realizzabile all’atto pratico. Il ReArm Europe autorizza ad aumentare il debito degli Stati nazionali, ma per l’Italia l’agibilità fiscale potrebbe essere ridotta. La saldatura tra Merz e Macron è molto forte. Colloquio con l’analista senior di Ispi, Matteo Villa
Politicamente è un successo. All’atto pratico, lo “scudo nucleare per gli alleati europei” annunciato dal presidente francese Emmanuel Macron è “quanto di più aleatorio e poco realizzabile esista”. Mentre è in corso il vertice straordinario Ue sulla Difesa e dopo l’annuncio di ReArm Europe da parte della presidente Ursula von der Leyen, è Matteo Villa analista senior di Ispi a commentare su Formiche.net la presa di posizione dell’inquilino dell’Eliseo.
Dal Cremlino hanno già fatto sapere che le posizioni di Macron rappresentano una minaccia per la Russia. Quella indicata del presidente francese è una traiettoria verosimile?
Storicamente la Francia ha sempre tenuto per sé la sua forza nucleare agli altri Paesi perché se l’avesse fatto la sua forza deterrente sarebbe venuta in qualche modo a calare. Sul piano comunicativo, l’idea di Macron è estremamente efficace anche se molto aleatoria all’atto pratico. È una risposta retorica alle minacce nucleari di Putin.
Qual è il ruolo che Macron intende consolidare per la Francia anche all’indomani dell’annuncio del piano di riarmo da parte di von der Leyen?
Dal punto di vista simbolico è sempre stato l’alfiere dell’autonomia strategica europea. In termini di rapporti, sta rafforzando l’asse con i francesi e in particolare con il leader della Cdu. Da ultimo, avendo la Francia grossi problemi in termini di debito comune, probabilmente ha individuato spazi di manovra per aumentare gli investimenti. In ogni caso, il suo obiettivo è quello di rafforzare la difesa francese non quella europea. Se non in modo marginale.
Su quali basi poggia la rinnovata sintonia franco-tedesca?
Macron e Merz nella sostanza stanno assumendo le stesse posizioni. Sia nel caso francese che in quello tedesco, i due leader stanno spingendo non tanto per la costruzione di una difesa europea quanto più per un irrobustimento della spesa per aumentare gli investimenti interni (e non comunitari) sul comparto della difesa. Cogliendo peraltro appieno la traiettoria indicata da von der Leyen.
Il ReArm Europe getta le basi per una difesa comunitaria, però.
Sì, ma degli 800 miliardi annunciati solamente 150 saranno di spesa comunitaria, i restanti saranno in capo ai bilanci nazionali. E questo, politicamente, genera un grosso problema perché di fatto non si incentiva la coesione che servirebbe all’Europa per muoversi a una voce su un comparto strategico, in questo momento storico a maggior ragione. Sullo sfondo, si staglia un altra problematica altrettanto seria.
Quale?
Di carattere più strettamente economico, oltre che politico. Se ci fosse davvero una difesa comune europea avremmo pochi progetti – per l’appunto – comuni per la realizzazione di armi e mezzi. Alcune aziende degli stati membri, potrebbero però essere tagliate fuori dalla produzione. Questo comporterebbe grosse perdite per alcuni player europei. Ed ecco il problema economico: un altro elemento che sfavorisce l’integrazione. Fermo restando che, al momento, la spesa per la Difesa negli stati europei si fa per il 70% sul piano nazionale. Mercato interno.
Lo scorporo dal deficit per le spese legate alla Difesa è un cavallo di battaglia italiano. A questo punto con ReArm Europe che prospettive si aprono per noi?
Per la verità sarebbe stata una prospettiva decisamente migliore se la maggior parte delle risorse fossero state legate al debito comunitario. Invece, con il piano Ursula, la Commissione di fatto autorizza i singoli Paesi a fare più debito nazionale. Per l’Italia, lo spazio fiscale è molto stretto. A maggior ragione perché il pressing dei mercati sul nostro Paese è molto forte. L’alternativa, è spostare risorse da altre poste di bilancio. In ogni caso, potrebbe essere problematico.