Attraverso la mobilitazione di oltre 43 miliardi di euro di investimenti pubblici e privati, l’Europa intende rafforzare la sua leadership in ricerca e tecnologia verso chip più piccoli e veloci, aumentare la capacità produttiva del 20% entro il 2030, progettare e produrre chip più avanzati, sviluppare la fornitura globale dei semiconduttori, sostenere una forza lavoro altamente qualificata
“Di fronte alle nuove realtà geopolitiche e alle sfide economiche e demografiche, noi, leader dell’Unione europea, siamo determinati a garantire la nostra prosperità economica, a rafforzare la nostra competitività, rendendo l’Ue il primo continente al mondo a impatto climatico zero e assicurando la sovranità, la sicurezza, la resilienza e l’influenza globale dell’Ue”. Inizia così la “Dichiarazione di Budapest” sul nuovo accordo sulla competitività sottoscritto dai capi di Stato e di governo lo scorso novembre nella capitale ungherese. Tenendo ben presente il Rapporto Draghi sul futuro della competitività europea, la dichiarazione propone alcune azioni strategiche urgenti per colmare il divario di innovazione e competitività con i concorrenti globali.
Intensificare, innanzitutto, gli sforzi per garantire un Mercato Unico pienamente funzionante e, di conseguenza, aprire la strada all’Unione dei Mercati dei Capitali; sviluppare una politica europea per accrescere le tecnologie e attuare una effettiva decarbonizzazione; semplificare la normativa per ridurre i carichi amministrativi e normativi; aumentare la capacità di difesa, rafforzandone la base tecnologica e industriale; costruire una vera Unione dell’Energia, con un mercato integrato e interconnesso; sviluppare un’economia più circolare ed efficiente, integrando il mercato dei materiali secondari, specialmente per le materie prime critiche; accelerare la trasformazione digitale delle industrie; adottare una politica commerciale ambiziosa, aperta e sostenibile; garantire un settore agricolo competitivo rafforzandone la posizione nella catena di approvvigionamento alimentare.
Sulla scia della Dichiarazione di Budapest, lo scorso 29 gennaio è stata pubblicata la “Bussola della competitività” per un piano che possa consentire all’Europa di ritrovare la sua crescita economica e la sua prosperità, attraverso l’innovazione, la decarbonizzazione e la sicurezza. “Misure volte ad assumere un ruolo guida nei settori tecnologici strategici, come l’intelligenza artificiale, le tecnologie dei semiconduttori e quantistiche, i materiali avanzati, la biotecnologia, le tecnologie dell’energia pulita, la robotica, lo spazio, la mobilità connessa e autonoma”.
Da ultimo, il 26 febbraio, ha visto la luce l’Accordo Industriale Pulito (Clean Industrial Deal) che delinea azioni concrete per trasformare la decarbonizzazione in un motore di crescita per le industrie europee. Un piano d’azione per l’energia accessibile; per una riduzione del costo della fornitura di energia elettrica; per il buon funzionamento dei mercati del gas; per una concreta efficienza energetica; per una vera Unione dell’energia; per la sicurezza nell’approvvigionamento e la stabilità dei prezzi.
Per mantenere il controllo sul proprio futuro, l’Europa cerca di ridurre le proprie dipendenze tecnologiche da Paesi terzi, in particolare diversificando i partenariati internazionali e sostenendo nuove alleanze industriali in settori strategici, come le materie prime critiche e l’industria dei semiconduttori (chip).
Le materie prime critiche (Critical Raw Materials) sono materie di grande importanza economica e un elevato rischio di interruzione di approvvigionamento. Per questo, già nel marzo 2024, l’Ue aveva adottato il regolamento europeo sulle materie prime critiche (Critical Row Materials Act). Venivano identificati due elenchi di materiali, 34 critici e 17 strategici, cruciali per le transizioni verdi e digitali, oltre che per l’industria della difesa e spaziale. Senza questi materiali molti settori della società non sarebbero in grado di funzionare, poiché sono presenti in molti elettrodomestici di uso comune e in prodotti essenziali per l’economia degli Stati. Il tungsteno nei telefonini; il litio, il cobalto e il nichel nei veicoli elettrici; il boro nelle turbine eoliche; il silicio nei semiconduttori; i borati nel vetro; il magnesio e lo scandio negli aeroplani. E così via.
Attualmente l’Unione europea dipende dalla Cina per il 100% di fornitura di terre rare; del 98% dalla Turchia per l’approvvigionamento del boro; del 79% dal Cile per la dotazione del litio; del 71% dal Sudafrica per il fabbisogno di platino; del 65% dal Kazakistan per il fosforo; del 60% dagli Stati Uniti per il berillio. Per ridurre questa dipendenza da Paesi terzi a non più del 65%, sono stati fissati alcuni obiettivi al 2030: estrarre almeno il 10% del consumo annuale e trasformarne il 40%, con un riciclo del 25%. Per raggiungere questi obiettivi l’Unione intensificherà alcuni azioni commerciali attraverso l’Organizzazione mondiale del commercio, ampliando gli accordi di facilitazione degli investimenti sostenibili e di libero scambio o contrastando le pratiche commerciali sleali.
Il 21 settembre 2023 è entrato in vigore un altro regolamento che si propone il rafforzamento della competitività dell’Europa nelle tecnologie e nelle applicazioni dei semiconduttori. Si tratta dell’ European Chips Act. I chips, noti anche come semiconduttori, svolgono un ruolo centrale nelle nostre economie e nella vita di tutti i giorni. Sostengono la trasformazione digitale e sono essenziali per tutti i settori, come l’industria automobilistica, le comunicazioni, l’elaborazione dati, lo spazio, la difesa, i dispositivi intelligenti, solo per citarne alcuni. Nel 2020 sono stati prodotti un trilione di microchip in tutto il mondo: la quota Ue nel mercato mondiale è del 10%. Uno studio della Commissione europea prevede che la domanda di chip raddoppierà entro il 2030.
Attraverso la mobilitazione di oltre 43 miliardi di euro di investimenti pubblici e privati, l’Europa intende rafforzare la sua leadership in ricerca e tecnologia verso chip più piccoli e veloci, aumentare la capacità produttiva del 20% entro il 2030, progettare e produrre chip più avanzati, sviluppare la fornitura globale dei semiconduttori, sostenere una forza lavoro altamente qualificata.
Ieri, a Bruxelles, il Consiglio Europeo Competitività, per l’Italia era presente il ministro delle Imprese Adolfo Urso, ha dato il via alla cosiddetta “Coalizione dei Volenterosi” sui semiconduttori. Un’alleanza strategica tra gli Stati membri con l’obiettivo di rafforzare l’industria europea del settore e promuovere un approccio comune per la sua competitività. “L’Italia sta assumendo un ruolo di leadership nella produzione di tecnologie digitali avanzate, ha detto Urso. Attraverso la collaborazione con gli altri Stati membri, vogliamo costruire un ecosistema europea solido e competitivo lungo l’intera filiera dei semiconduttori, riducendo le dipendenze esterne e rafforzando la nostra autonomia strategica”.
Sulla base della Bussola della competitività e del Clean Industria Deal, i ministri, è scritto nel comunicato finale, “hanno sostenuto molte delle misure proposte in questi documenti, tra cui la decarbonizzazione, l’aumento della competitività industriale, l’economia circolare (per recuperare materiali critici e ridurre gli sprechi), la diversificazione delle forniture energetiche, maggiori investimenti in reti e infrastrutture di stoccaggio, la creazione di mercati guida per prodotti verdi, la creazione di posti di lavoro di alta qualità e accordi internazionali per garantire l’accesso alla materie prime, alle catene di fornitura e al libero scambio”.
“Difendere le nostre filiere produttive, ha commentato il ministro Urso, significa rafforzare l’autonomia strategica europea, contemperando gli obiettivi climatici e le necessità dell’industria. La chimica verde e la siderurgia decarbonizzata sono i pilastri su cui costruire questa nuova competitività”.