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Mosca e Oslo di nuovo ai ferri corti nelle Svalbard. Cosa è successo

Le tensioni tra Russia e Norvegia sulle Svalbard si intensificano, con Mosca che accusa Oslo di violare il Trattato del 1920. Il Cremlino adotta una strategia a due facce: da un lato minaccia il confronto militare, dall’altro cerca un dialogo con Washington

Mentre cerca un riavvicinamento con la Casa Bianca, Mosca mantiene la sua postura offensiva nei confronti del resto dell’Occidente. E durante gli ultimi dieci giorni la maggiore assertività di Mosca si è manifestata principalmente nell’Atlantico settentrionale. Il 14 marzo, il ministero degli Esteri russo ha convocato l’ambasciatore norvegese Robert Kvile per esprimere la sua preoccupazione in merito agli sforzi di Oslo per rafforzare le difese nell’arcipelago delle Svalbard e di Spitzbergen, affermando di considerare tali sforzi come una violazione del Trattato delle Svalbard del 1920, che riconosce la sovranità norvegese su queste isole, vietandone al contempo l’uso militare.

Secondo la dichiarazione del Ministero degli Esteri di Mosca, riportata dall’agenzia di stampa russa Tass, la Norvegia starebbe portando avanti la presunta rimilitarizzazione con la partecipazione e il beneplacito di Stati Uniti e Nato. Il Ministero russo ha accusato Oslo di aver installato strutture dual-use, capaci di supportare operazioni militari, comprese missioni di combattimento in territori di paesi terzi. La Russia, in quanto firmataria del trattato, si considera difensore delle sue disposizioni e rivendica il diritto di agire per proteggerle.

Le autorità norvegesi hanno respinto fermamente le accuse di Mosca. Un portavoce del Ministero degli Esteri norvegese, Mathias Rongved, ha dichiarato all’agenzia Ntb che “le Svalbard fanno parte della Norvegia e della Nato” e che le autorità norvegesi operano nel pieno rispetto del Trattato delle Svalbard.

Negli stessi giorni, altri due esponenti di punta della nomenklatura russa si sono esposti sulla questione, con toni decisamente differenti. Nikolai Patrushev, stretto collaboratore del presidente Vladimir Putin e noto per le sue posizioni dure, nel corso di un’intervista alla rivista militare russa Natsional’naya Oborona, ha affermato che i paesi occidentali stanno portando avanti una campagna concertata per indebolire la Russia nei mari Baltico, Artico e nell’Atlantico settentrionale. Per contrastare questa strategia, ha invitato il Cremlino a rafforzare le proprie forze navali e a rispondere con fermezza a tutte le provocazioni occidentali.

Dall’altro lato si posiziona Kirill Dmitriyev, influente uomo d’affari russo vicino al Cremlino impegnato nelle trattative con gli Usa, il quale ha suggerito che la Russia dovrebbe cercare un accordo con Washington per definire sfere di influenza ben delineate nella regione per evitare una nuova “guerra fredda” nell’Artico, mirando a trovare un terreno comune per garantire stabilità, sviluppo delle risorse e protezione ambientale. Già durante la prima amministrazione Trump Dmitriyev si è fatto notare cercando di negoziare con l’allora Segretario di Stato Rex Tillerson un accordo sull’Artico per l’esplorazione e lo sviluppo congiunto di petrolio e gas.

Secondo gli analisti entrambe le posizioni godono del sostegno del Cremlino poiché, “nonostante le apparenze superficiali, esse sono complementari piuttosto che opposte, in quanto insieme permettono a Mosca di indebolire l’Europa, dividere ulteriormente gli Stati Uniti e l’Europa ed espandere l’influenza e la presenza russa al di là di quanto fatto finora”. Difficile dire ad oggi quale dei due approcci avrà la meglio sull’altro.


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