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Nel Mar Rosso la Cina incassa l’indecisione europea e il coinvolgimento Usa

Mentre Washington accresce il proprio impegno militare contro gli Houthi e l’Europa fatica a tenere il passo, la Cina osserva e sfrutta: si smarca dal confronto diretto, trae vantaggio economico e strategico dal caos, e lascia che siano gli altri a consumare risorse e consenso. Un comportamento criticabile, ma perfettamente razionale

Tra le molte letture generate dal cosiddetto “Signal-gate” — la pubblicazione su The Atlantic di conversazioni riservate tra funzionari dell’amministrazione americana — una delle più significative riguarda la percezione di un crescente divario tra Stati Uniti ed Europa sulle risposte da adottare nel Mar Rosso. In particolare, la frustrazione americana per il contributo ritenuto insufficiente degli europei nella difesa delle rotte marittime internazionali è emersa in modo diretto e brutale. Tuttavia, l’elemento più interessante non è tanto la divergenza transatlantica, quanto l’atteggiamento della Cina: apparentemente neutrale, sostanzialmente opportunista, potenzialmente destabilizzante.

Pechino osserva con attenzione — e con un certo compiacimento strategico — il coinvolgimento crescente degli Stati Uniti in una campagna militare contro gli Houthi che, per costi e durata, rischia di ricordare le “endless wars” tanto criticate dallo stesso Donald Trump. La Cina, al contrario, ha evitato qualsiasi confronto diretto con gli Houthi, adottando una postura dialogante che le ha consentito, secondo fonti concordanti, di ottenere una sorta di “non aggressione” verso le proprie navi commerciali. Questo approccio ha due effetti immediati: salvaguardare una parte dei propri interessi logistici nel breve termine e delegittimare l’efficacia dell’intervento occidentale nel lungo periodo.

La questione riguarda direttamente la stabilità della rotta indo-mediterranea, attraverso cui transita circa l’80% del commercio marittimo tra Europa e Cina. Dal momento che il canale di Suez è oggi parzialmente compromesso, molte navi sono costrette a circumnavigare l’Africa, con conseguente aumento dei costi e dei tempi di spedizione. Questa è una distorsione geoeconomica che, in teoria, dovrebbe preoccupare anche Pechino. Ma proprio in questa apparente passività risiede l’intelligenza strategica della Cina: ogni giorno in più in cui gli Stati Uniti consumano risorse militari nel Mar Rosso è un giorno in meno di proiezione nell’Indo-Pacifico. Ogni difficoltà logistica europea è un potenziale punto di leva nei rapporti bilaterali.

Non è solo un tema di inerzia. Segnalazioni e sanzioni statunitensi suggeriscono che la Cina abbia fornito, direttamente o indirettamente, componenti tecnologici che hanno rafforzato le capacità dronistiche degli Houthi. Alcuni di questi materiali — bombole di idrogeno, dispositivi di guida — sarebbero riconducibili all’industria cinese, secondo indagini condotte da centri di ricerca indipendenti come il Conflict Armament Research. Non si tratta dunque solo di una Cina attendista, ma anche proattiva nel mantenere instabile uno snodo vitale per i commerci globali guidati dall’Occidente.

A livello sistemico, l’instabilità nel Mar Rosso può rafforzare le narrazioni che puntano a promuovere rotte alternative: l’Artico, dove Cina e Russia sono attori sempre più presenti, oppure la rete infrastrutturale terrestre delle Nuove Vie della Seta. Più si riduce l’affidabilità di Suez, più aumentano le chance che si affermino modelli logistici alternativi che Pechino controlla o influenza.

Questa strategia non è priva di rischi: gli Houthi non sono partner affidabili, il rischio di errori è alto e gli effetti sul medio periodo potrebbero sfuggire di mano. Ma nel breve termine, l’approccio cinese consente di massimizzare vantaggi a basso costo, mentre le potenze occidentali si logorano tra divergenze tattiche e oneri operativi.

Il comportamento di Pechino nel Mar Rosso è quindi criticabile da un punto di vista della responsabilità internazionale, ma coerente con la sua visione del mondo: non contribuire alla sicurezza collettiva se non quando coincide con l’interesse nazionale, sfruttare le falle altrui per estendere la propria influenza, trasformare ogni crisi in un’opportunità. La sfida per l’Occidente non è solo militare, ma eminentemente strategica: riconoscere che l’attuale crisi marittima è anche un test di resilienza geopolitica di fronte a un rivale che avanza senza sparare un colpo.

Questo tema è al centro della nuova edizione di Indo-Pacific Salad, dove analizziamo le vere implicazioni geopolitiche della crisi nel Mar Rosso (per iscriversi basta seguire questo link)


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