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Dodici anni di papa Francesco, una voce che serve soprattutto oggi. La riflessione di Cristiano

La sua leadership morale globale, nella quale la pace non diventa mai una clava o una resa, né i migranti degli scarti o dei nemici, si incardina in una visione fondata sulla misericordia e su un pensiero mai rigido, ma capace di tenere in equilibrio la tensione tra i poli che creano energia. La riflessione di Riccardo Cristiano nel giorno dei 12 anni di pontificato di Bergoglio

Arrivati al compimento del dodicesimo anno di pontificato di Jorge Mario Bergoglio viene naturale pensare di partire da quella sera di dodici anni fa. “Cari fratelli e sorelle, buona sera”. Si è presentato così, ora sappiamo grazie alla sua autobiografia che poco prima, mentre si preparava ad affacciarsi dalla loggia delle benedizioni, aveva rifiutato i pantaloni bianchi, dicendo che non aveva pensato di fare il gelataio. Ha mantenuto sotto la tunica bianca i suoi calzoni neri e con quel “buona sera” ha messo in chiaro che il Concilio non era più il tempo di interpretarlo, era giunto il tempo di attuarlo. Con quel “buona sera” la Chiesa si è fatta dialogo, come aveva chiesto Paolo VI, si è fatta prossima, più Madre che Maestra. E quindi lui restava con i pantaloni neri; basta figure angelicate, basta iconografie imperiali (quella sera è uscito di scena anche il rosso, il papa aveva solo la sua veste bianca, niente paramenti imperiali). Divenuto infallibile 1870 anni dopo la nascita di Cristo, il papa tornava uomo tra di noi umani.
Le discussioni bizantine su cosa significhi realmente “l’opzione preferenziale per i poveri” sono andate nel ripostiglio delle anticaglie quando ha detto “quanto vorrei una Chiesa povera, e per i poveri”. Chiaro, no? Sono emerse così le periferie, geografiche ed esistenziali, quelle periferie dalle quali ci ha spiegato che si capisce molto meglio il mondo. E perché? Perché da queste periferie, geografiche ed esistenziali, emerge chiaramente che questo mondo globalizzato funzionerà (o funzionerebbe) se non lo concepissimo come una sfera nella quale tutti i punti sono uguali agli altri, ma come un poliedro, che è sempre uno ma con tutti i suoi lati diversi: un mondo, di diversi e in quanto tali uguali.

Davanti a queste diversità che hanno il compito, il desiderio di unirsi e non di chiudersi, e quindi di combattersi, è emersa la sua Chiesa “ospedale da campo”. Per chi? Per tutti i feriti. Non c’è una tessera che deve avere i bollini in regola per consentire l’accesso a questo ospedale, che è aperto a tutti, anche agli altri.

Gli altri diventano così un soggetto decisivo nel pontificato di Bergoglio: vanno definiti. Il primo altro è qui, con la Chiesa che lui guida come vescovo di Roma, ed è l’altro che noi di solito chiamiamo “laico”, o secolarizzato. Un avversario? Parlando ad Ajaccio questa divisione Bergoglio l’ha fatta saltare, finalmente, così: “Al contrario, è importante riconoscere una reciproca apertura tra questi due orizzonti: i credenti si aprono con sempre maggiore serenità alla possibilità di vivere la propria fede senza imporla, viverla come lievito nella pasta del mondo e degli ambienti in cui si trovano; e i non credenti o quanti si sono allontanati dalla pratica religiosa non sono estranei alla ricerca della verità, della giustizia e della solidarietà, e spesso, pur non appartenendo ad alcuna religione, portano nel cuore una sete più grande, una domanda di senso che li conduce a interrogare il mistero della vita e a cercare valori fondamentali per il bene comune”.

Il pensiero del papa che ha intitolato un’enciclica “Fratelli tutti” non può essere divisivo, e come vede questo possibile incontro “fraterno” tra credenti e non, ovviamente non divide i credenti, non vede false credenze e quindi non vede negli altri credenti una falsa umanità, come ha detto nei termini più chiari incontrando i giovani a Singapore: “ Una delle cose che più mi ha colpito di voi giovani, di voi qui, è la capacità del dialogo interreligioso. E questo è molto importante, perché se voi incominciate a litigare: “La mia religione è più importante della tua…”. “La mia è quella vera, la tua non è vera…”. Dove porta tutto questo? Dove? Qualcuno risponda, dove? [qualcuno risponde: “La distruzione”]. È così. Tutte le religioni sono un cammino per arrivare a Dio. Sono – faccio un paragone – come diverse lingue, diversi idiomi, per arrivare lì. Ma Dio è Dio per tutti. E poiché Dio è Dio per tutti, noi siamo tutti figli di Dio. “Ma il mio Dio è più importante del tuo!”. È vero questo? C’è un solo Dio, e noi, le nostre religioni sono lingue, cammini per arrivare a Dio. Qualcuno sikh, qualcuno musulmano, qualcuno indù, qualcuno cristiano, ma sono diversi cammini. Understood? Ma per il dialogo interreligioso fra i giovani ci vuole coraggio. Perché l’età giovanile è l’età del coraggio, ma tu puoi avere questo coraggio per fare cose che non ti aiuteranno. Invece puoi avere coraggio per andare avanti e per il dialogo”.

Il messaggio “ad extra” è chiaro, come quello “ad intra”: la parola chiave per la Chiesa è “misericordia”. La misericordia cambia il nostro ordine mentale: basta con l’idea di un Dio vendicativo, severo, e quindi basta con l’idea di una Chiesa che sta al di sopra e al di là della storia. La sua Chiesa sta nella Storia, con noi, con le nostre sofferenze e i nostri guai; e in questa storia vive e porta la misericordia del padre di tutti, buoni e cattivi. Ecco allora la grande svolta dei “divorziati risposati”: si potrà discernere o sono tutti uguali? Lo sconfitto, ferito, che riesce a ripartire, non ha diritto alla misericordia del padre?

Ma se il suo pontificato non si capisce senza la misericordia e senza il metodo del discernimento, quello che ci guida quando dobbiamo prendere una decisione, cominciando dalla decisione di quale camicia mettere la mattina a che strada prendere quando ci viene chiesto che studi vogliamo fare e così via, in tutti i momenti della vita, è “Evangelii Gaudium” il testo che ci spiega la sua leadership morale globale. Per via della “tensione polare”. È la tensione polare la bussola bergogliana.

I poli sono due, senza due poli non c’è energia, non c’è vita. I poli sono opposti e questa opposizione – se non contraddittoria – è sana. La globalizzazione, di cui abbiamo parlato, è sana, come è sano il localismo, non c’è contraddizione. La globalizzazione va bene se rispetta le differenze con il poliedro, il localismo se non ci chiude, non ci oppone gli uni agli altri, non scava trincee, ma tutela le specificità di ognuno nella grande unione di tutti, “Fratelli tutti”. Questo conflitto tra globalizzazione e localismo dunque non va risolto una volta per tutte, va portato a compiere un salto di qualità, per poi tornare a confrontarsi e salire ancora.

Questo metodo, che non è tutto qui ovviamente, ci apre alla grande qualità: l’incompletezza. Parliamo del suo pontificato come incompleto non solo perché non è finito, ma perché Francesco ha chiesto a noi tutti di scegliere l’incompletezza del pensiero. Chiunque creda nel pensiero completo crederà nel pensiero rigido, ma la carne umana, ha detto, è rigida solo dopo la morte. Ricevendo gli scrittori de La Civiltà Cattolica nel 2017, il papa gli ha raccomandato così un pensiero incompleto: “Dovete essere scrittori e giornalisti dal pensiero incompleto, cioè aperto e non chiuso e rigido. La vostra fede apra il vostro pensiero. Fatevi guidare dallo spirito profetico del Vangelo per avere una visione originale, vitale, dinamica, non ovvia. E questo specialmente oggi in un mondo così complesso e pieno di sfide in cui sembra trionfare la ‘cultura del naufragio’ – nutrita di messianismo profano, di mediocrità relativista, di sospetto e di rigidità – e la ‘cultura del cassonetto’, dove ogni cosa che non funziona come si vorrebbe o che si considera ormai inutile si butta via. La crisi è globale, e quindi è necessario rivolgere il nostro sguardo alle convinzioni culturali dominanti e ai criteri tramite i quali le persone ritengono che qualcosa sia buono o cattivo, desiderabile o no. Solo un pensiero davvero aperto può affrontare la crisi e la comprensione di dove sta andando il mondo, di come si affrontano le crisi più complesse e urgenti, la geopolitica, le sfide dell’economia e la grave crisi umanitaria legata al dramma delle migrazioni, che è il vero nodo politico globale dei nostri giorni. Vi do dunque come figura di riferimento il servo di Dio padre Matteo Ricci (1522-1610). Egli compose un grande Mappamondo cinese raffigurando i continenti e le isole fino ad allora conosciuti. Così l’amato popolo cinese poteva vedere raffigurate in forma nuova molte terre lontane che venivano nominate e descritte brevemente. Tra queste pure l’Europa e il luogo dove viveva il Papa. Il Mappamondo servì anche a introdurre ancora meglio il popolo cinese alle altre civiltà. Ecco, con i vostri articoli anche voi siete chiamati a comporre un ‘mappamondo’: mostrate le scoperte recenti, date un nome ai luoghi, fate conoscere qual è il significato della “civiltà” cattolica, ma pure fate conoscere ai cattolici che Dio è al lavoro anche fuori dai confini della Chiesa, in ogni vera ‘civiltà’, col soffio dello Spirito”.

Tutto questo rende evidente la sua leadership morale globale, nella quale la pace non diventa mai una clava o una resa, né i migranti degli scarti o dei nemici. Questi cardini del suo discorso sono la conseguenza di una visione che parte chiaramente da quel “buona sera”, fondati sulla misericordia e assunti nell’incompletezza del pensiero, mai rigido, ma capace di tenere in equilibrio la tensione tra i poli che creano energia.

Allora si capisce che la sua voce serve ancora, serve oggi, che ci dimeniamo tra pensieri sempre più completi, totali, rigidi, contraddittori; pacifisti (mai pacificatori) o guerrafondai (mai difensori), sovranisti (mai repubblicani) o globalisti (mai federativi). Questi pensieri che sanno tutto, chiudono ogni finestra, ogni spiraglio, ci soffocano. Senza dialogo il mondo soffoca: è qui la grandezza della sua connaturata incompletezza.


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