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Innovazione e prevenzione. Così si investe sulla salute del domani

Prevenzione, innovazione, ricerca: questi i temi al centro del confronto tra esperti e istituzioni sul palco del Centro studi americani. Al centro, le sfide per un Servizio sanitario più sostenibile, efficace e uniforme. Dal contrasto alle infezioni correlate all’assistenza alla prevenzione vaccinale, passando per i nodi della medicina territoriale e degli investimenti in ricerca. Ecco chi c’era e cosa si è detto

Dai vaccini all’antimicrobico-resistenza, dalla riorganizzazione dei servizi sanitari alla necessità di investire nella ricerca: il confronto nell’ambito dell’incontro “Innovazione e prevenzione. Investire nel futuro” promosso da Healthcare Policy e Formiche con il contributo non condizionante di Pfizer, ha messo a fuoco le sfide più urgenti per il Servizio sanitario nazionale e per la salute nel nostro Paese. È Maria Rosaria Campitiello, capo dipartimento della Prevenzione, della ricerca e delle emergenze sanitarie del ministero della Salute, ad aprire i lavori dell’incontro presso il Centro studi americani, ricordando nel suo intervento come oggi più che mai “la prevenzione rappresenta una priorità centrale per il ministero”. Un impegno che si concretizza, tra le altre cose, nella creazione del National health prevention hub, la cui operatività è prevista entro il 2026, con un finanziamento di 26 milioni dal Pnrr. L’obiettivo? Ridefinire l’idea stessa di prevenzione, “integrando in modo interattivo i tre livelli di assistenza: prevenzione, assistenza primaria e ospedaliera”. La prevenzione, ha poi ricordato Campitiello, “non è una responsabilità che possiamo lasciare a pochi, ma un impegno collettivo che richiede l’apporto di tutti”.

CAPPELLACCI: INNOVAZIONE E PREVENZIONE ASSET STRATEGICI

Ugo Cappellacci, presidente della commissione Affari sociali della Camera dei deputati, ha richiamato la necessità di una “grammatica diversa”, non più legata all’emergenza ma alla strutturazione ordinaria e stabile della prevenzione. Il nuovo piano pandemico, ora all’attenzione della Conferenza Stato-Regioni, rappresenta già un primo passo in questa direzione, con un importante impegno finanziario che crescerà fino a 300 milioni nel 2027. “Innovazione e prevenzione – ha poi aggiunto Cappellacci – devono diventare degli asset strategici per la sostenibilità del sistema e per far si che non si raggiunga solo l’obiettivo di allungare la vita ma di migliorare anche la qualità della stessa”. Una visione condivisa anche da Carlo Torti, direttore Uoc Malattie infettive del Policlinico Gemelli, che ha acceso i riflettori su una delle distorsioni culturali ancora diffuse: “Tendiamo ad associare le vaccinazioni esclusivamente all’età pediatrica, ma la fragilità si è spostata sulla popolazione anziana. Occorre cambiare paradigma e migliorare l’informazione, anche destagionalizzando le campagne vaccinali, troppo spesso legate solo al periodo influenzale”. Un cambio di passo che permetterebbe di incrementare la copertura e sfruttare anche gli effetti indiretti delle immunizzazioni, come la prevenzione delle infezioni batteriche e delle resistenze antimicrobiche.

QUANDO LA LONGEVITÀ DA SOLA NON BASTA

È proprio agli anziani che guarda Michele Conversano, presidente di HappyAgeing, ricordando che “ci vantiamo di essere tra i Paesi più longevi, ma se andiamo a vedere l’aspettativa di vita in salute, scendiamo al settimo o ottavo posto”. Un paradosso che trova una delle sue spiegazioni nelle malattie infettive, che colpiscono duramente chi ha un sistema immunitario già indebolito e aggravano la gestione delle cronicità. “Proteggere gli anziani – ha detto – è possibile, ma servono dati puntuali sulle coperture vaccinali e una reale attenzione al calendario vaccinale per questa fascia di popolazione”. Una prospettiva che trova piena sintonia con l’intervento di Elena Bonetti, membro commissione Bilancio, tesoro e programmazione e presidente della commissione d’inchiesta sugli effetti economici e sociali derivanti dalla transizione demografica in atto della Camera dei deputati. La neonata commissione, mira proprio a indagare le conseguenze della rivoluzione demografica in atto e, ha sottolineato Bonetti, “nell’atto costitutivo e ampiamente citato e specificato il ruolo della sanità nella gestione di questa transizione”. Per la deputata è necessario un vero cambio di paradigma, attraverso un approccio sistemico alla prevenzione. “Non si può più procedere a silos, come avviene troppo spesso nell’amministrazione pubblica. La medicina personalizzata richiede una revisione organizzativa delle politiche pubbliche”, ha aggiunto.

SUPERARE LA FRAMMENTAZIONE TERRITORIALE

Ma le risorse da sole non bastano. Se Cappellacci ha affermato la necessità di “far sì che ci sia un’uniformità nei territori, perché quando manca uniformità viene meno la fiducia”, per Gian Antonio Girelli, membro commissione Affari sociali della Camera dei deputati, è tempo di superare le “21 velocità” dei modelli territoriali, che spesso “non rispettano nemmeno la soglia del 5% di spesa in prevenzione concordata”. “Servono indicazioni più prescrittive – ha detto – che garantiscano equità tra città, aree interne e montane”, sottolineando inoltre la necessità di un “cambio di passo”.

I COSTI DELLA MANCATA IMMUNIZZAZIONE

Come ha ricordato Eugenio Di Brino, researcher and consultant in Health economics & Health technology assessment di Altems, quando si ferma un Paese a causa di malattie infettive, “si ferma anche la sua capacità produttiva”. I numeri sono chiari, si parla di dieci miliardi in termini di perdita di Pil, un danno “che potremmo recuperare aumentando le attuali coperture vaccinali” ha chiosato. A rafforzare questo legame tra prevenzione e sostenibilità economica, il presidente di I-Com, Stefano Da Empoli, ha presentato i dati di uno studio condotto nel 2023, in cui si calcolano 1,6 miliardi di euro di costi – diretti e indiretti – associati alla fase endemica del Covid-19. “Non una cifra trascurabile – ha osservato – se consideriamo che la fase emergenziale era già conclusa”.

INFEZIONI RESISTENTI, UNA CORSA CONTRO IL TEMPO

Se i vaccini rappresentano, nelle parole di Stefano Vella, professore di Salute globale presso l’Università Cattolica di Roma, “la più grande scoperta della medicina”, è anche perché costituiscono una delle armi più efficaci contro l’antimicrobico-resistenza, oggi considerata una delle emergenze sanitarie più gravi a livello globale. Ma da soli non bastano. “Gli antibiotici li abbiamo usati male – ha ammesso Vella – e oggi ne paghiamo le conseguenze. Non usciremo da questa crisi senza un vero partenariato pubblico-privato. L’industria da sola non ce la fa perché l’investimento è enorme rispetto al ritorno”, ricordando come servano nuovi antibiotici e, per svilupparli, incentivi concreti. Un messaggio chiaro, condiviso anche da Luciano Ciocchetti, vicepresidente della commissione Affari sociali della Camera dei deputati e co-presidente dell’intergruppo parlamentare One health, che ha ricordato come l’Italia abbia inserito il tema dell’Amr tra le priorità del G7 e sia ora parte attiva nei meccanismi internazionali di push and pull per stimolare la ricerca, attraverso la partnership con Carb-X, dando segnali di azione importanti. “L’Amr fa meno notizia del Covid”, lo ha detto a chiare lettere. Ma, ha aggiunto il deputato, “abbiamo destinato cento milioni di euro a nuovi antibiotici innovativi fuori dal payback farmaceutico”. Tuttavia non basta aspettare le molecole, “bisogna lavorare anche sulle altre cause delle infezioni correlate all’assistenza (Ica)” ha aggiunto. Fra le iniziative in atto, ha ricordato: “Abbiamo approvato un ordine del giorno a un decreto sul Pnrr e stiamo lavorando con l’Iss per permettere l’utilizzo di alcuni materiali che possono essere utilizzati al posto delle divise di cotone che abbattono la carica batterica del 99%”.

ASCOLTARE LA SCIENZA E POTENZIARE LA RICERCA

Perché il problema non riguarda solo la scienza, ma anche l’organizzazione del sistema. Lo ha sottolineato Elisa Pirro, membro commissione Bilancio del Senato: “Le Ica sono un ambito in cui dobbiamo ascoltare di più la clinica e la ricerca. La pandemia ci ha mostrato che è possibile intervenire in prevenzione, ma la ricerca spesso resta la piega nell’angolo della pagina che nessuno apre mai. Ogni euro speso in prevenzione ha un ritorno moltiplicatore concreto, anche in pochi mesi”. Un appello, quello agli investimenti, rilanciato con forza anche da Massimo Ciccozzi, professore di Epidemiologia e statistica sanitaria presso l’Università Campus Bio-medico di Roma: “Senza soldi non si fa ricerca e senza ricerca non si fanno terapie. L’Amr è una pandemia silenziosa che entro il 2050 causerà milioni di morti. Non possiamo più aspettare, le Ica si possono prevenire con protocolli chiari, con un uso corretto degli antibiotici e soprattutto con un’azione immediata”. A rendere tutto più urgente è anche l’evoluzione accelerata della resistenza: “Negli anni ’40 – ha aggiunto – ci volevano più anni perché un batterio diventasse resistente, oggi bastano quattro”. Il tema “va affrontato subito, anche sul territorio, dove ancora troppo spesso si prescrivono antibiotici per infezioni virali”, ha concluso, richiamando la necessità di una stewardship antimicrobica.

DATI E IA

Un’emergenza che ha già un costo enorme, come ha ricordato Vincenzo Atella, professore di Applied health economics presso l’Università di Roma Tor Vergata, riportando i dati Ocse: “79 mila morti l’anno, 32,5 milioni di giorni di degenza, quasi 29 miliardi di dollari legati alle complicazioni e 37 miliardi di costi indiretti. L’Italia è tra i Paesi peggiori, e il divario peggiora nel sud. Il rischio, se non si interviene, è dover dipendere sempre più dagli antibiotici di ultima istanza”. La necessità di un rinnovamento sistemico che espressione nelle parole di Ylenja Lucaselli, membro commissione Bilancio, tesoro e programmazione della Camera dei deputati e co-presidente dell’intergruppo One health: “Dobbiamo parlare davvero di One health, non solo come principio astratto ma come modello strutturale. Bisogna considerare la salute umana, animale e ambientale come un unicum. Abbiamo portato avanti un lavoro serio nell’intergruppo parlamentare, e oggi abbiamo anche nuove tecnologie, come l’intelligenza artificiale, che possono aiutarci nella prevenzione e programmazione, che camminano insieme”. Anche secondo Atella, la risposta non può che essere sistemica, con un uso intelligente dei tool diagnostici per distinguere infezioni virali da batteriche e un uso trasversale dei dati sanitari già esistenti: “In Italia abbiamo miliardi di dati, ma senza accesso e condivisione restano inutili. Per usare davvero l’intelligenza artificiale serve partire da qui”.

LA NECESSITÀ DI MAGGIORE CONSAPEVOLEZZA

Il tema dei dati è stato ripreso anche da Valeria Fava, responsabile del coordinamento delle politiche della salute di Cittadinanzattiva, che ha sottolineato l’assenza di un’anagrafe vaccinale nazionale e il bisogno di una maggiore consapevolezza pubblica: “Oggi l’urgenza dell’Amr è sconosciuta ai cittadini. Serve un nuovo monitoraggio sulle Ica, serve misurare e migliorare con strumenti concreti, come la Carta della qualità e i piani condivisi con le aziende sanitarie”. È proprio questa intersezione tra scienza, tecnologia e decisione politica il nodo più urgente da sciogliere. “La scienza sa già tutto – ha detto Atella – bisogna convincere i decisori che prevenzione e ricerca sono investimenti, non spese”.

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