In audizione al Senato, il capo di Stato maggiore della Difesa ha illustrato il quadro strategico delle missioni militari internazionali italiane per il 2025. Confermato il tetto d’organico a 12mila unità e una disponibilità finanziaria che sfiora il miliardo e mezzo di euro. Mediterraneo allargato, Africa e fianco Est della Nato restano i perni geostrategici di una proiezione che punta su credibilità, continuità e capacità per garantire la sicurezza nazionale dentro e fuori i confini
Una visione organica, che tiene insieme deterrenza e diplomazia, proiezione internazionale e consolidamento interno. È lungo questa direttrice che si è sviluppato l’intervento del capo di Stato maggiore della Difesa, il generale Luciano Portolano, in audizione al Senato sulla delibera relativa alle missioni militari internazionali italiane per il 2025. In questo contesto – ha spiegato Portolano – lo strumento militare italiano dovrà mantenersi agile, coerente e integrato, ma soprattutto in grado di leggere le transizioni in atto, che non sono solo geopolitiche, ma anche tecnologiche e cognitive.
Al centro del ragionamento, ancora una volta, c’è il Mediterraneo allargato, espressione che non è più una semplice cornice geografica, ma una lente attraverso cui leggere le priorità della proiezione esterna italiana. Dal Nordafrica al mar Rosso, dal Sahel al Levante, lo spazio in cui si trova l’Italia rimane segnato da tensioni strutturali, rivalità interstatali e interessi concorrenti di potenze globali – su tutte Russia e Cina – sempre più presenti anche nei dossier africani. La posizione dell’Italia, “immersa” in questo spazio, implica – per usare le parole dello stesso capo di Stato maggiore – una responsabilità diretta. Non solo verso gli alleati, ma verso i propri interessi nazionali, che passano anche per la gestione delle rotte energetiche, il contrasto ai traffici illeciti e la stabilizzazione di aree in cui le fragilità sociali e istituzionali rappresentano un moltiplicatore di instabilità geostrategica.
Africa, dossier aperto
Un’attenzione particolare è andata all’Africa, dove Portolano ha riconosciuto un processo in atto di riconfigurazione degli allineamenti geopolitici e strategici. L’Italia, in questo contesto, mantiene un presidio in Niger, scelta non scontata dopo il golpe del 2023 e il progressivo disimpegno di altri attori occidentali (uno su tutti, la Francia). Il mantenimento della missione Misin (Missione bilaterale di supporto nella Repubblica del Niger) risulta, in questa fase, una scelta strategica, utile a conservare un canale aperto con un Paese di crocevia per i flussi migratori e le dinamiche di sicurezza saheliane.
È questo uno dei passaggi in cui la componente politico-diplomatica della proiezione militare emerge con maggiore chiarezza: restare, anche quando gli equilibri locali cambiano, per evitare che altri – meno inclini al rispetto dei valori occidentali – occupino gli spazi lasciati vuoti.
Nato, fianco Est e la leva della deterrenza
Guardando a est, la postura dell’Italia si mantiene coerente con il quadro strategico dell’Alleanza Atlantica. La partecipazione ai battlegroup in Lettonia e Ungheria, la leadership del contingente in Bulgaria e l’impegno crescente nell’air policing sono elementi che si inseriscono nel nuovo modello di forze della Nato.
Anche il supporto all’Ucraina si articola lungo assi multipli – addestramento, logistica, assistenza – dentro una logica che non è più emergenziale ma strutturale. In parallelo, l’istituzione di una nuova scheda sulle forze ad altissima prontezza testimonia l’adeguamento dello strumento militare italiano alle richieste di una risposta rapida e scalabile in caso di crisi.
Snodi marittimi e posture flessibili
Le missioni nel mar Rosso, nell’oceano Indiano e nel Corno d’Africa rispondono a una crescente attenzione verso la sicurezza marittima e la libertà di navigazione, in un momento in cui la pressione sulle rotte commerciali globali – tra pirateria, instabilità e attacchi agli asset mercantili da parte delle milizie Houthi – è tornata a livelli di allerta. Qui l’Italia si muove non solo con assetti navali, ma assumendo responsabilità di comando (come nel caso dell’operazione europea Aspides), in una logica di burden sharing e posizionamento.
Organico e finanziamenti
La delibera presentata riduce il numero delle missioni formalmente schedate da 36 a 17, razionalizzando l’impianto in chiave di efficienza e flessibilità. Con una media di 7.750 unità impiegate (su un massimo autorizzato di 12.100) e un budget complessivo di 1,48 miliardi su due anni, la proiezione militare italiana all’estero si conferma ampia, ma selettiva.
Un’Italia che costruisce la sua credibilità nel tempo
Al di là dei numeri e delle geografie, ciò che emerge con maggiore forza dall’audizione è il tentativo di tenere insieme visione strategica e disciplina operativa. Nessuna deriva interventista, nessun accento muscolare, ma la consapevolezza che la sicurezza italiana – e la sua proiezione esterna – passa per una presenza credibile e continua nelle aree più instabili del globo. Per il futuro prossimo, Portolano non propone un’agenda di espansione, ma una mappa di vigilanza attiva. Vale a dire, presidiare ciò che conta, restare dove si è seminato e intervenire solo dove esistono obiettivi chiari e sostenibili. La sicurezza nazionale, suggerisce in filigrana, non si costruisce con gesti episodici, ma attraverso una rete fitta di relazioni, impegni e presenze che, nel tempo, accrescono il ruolo di media potenza stabilizzatrice dell’Italia e ne fanno un attore credibile e riconosciuto sul piano internazionale.