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Quali implicazioni per l’Ue dopo il Consiglio straordinario sulla Difesa. L’analisi di Marrone (Iai)

Il Consiglio europeo informale dedicato a Ucraina e Difesa ha mostrato un’Europa che, volente o nolente, è chiamata ad agire in risposta al cambio di direzione inaugurato da Trump. Dall’isolazionismo ungherese al piano di riarmo, passando per le proposte di Giorgia Meloni, per l’Ue è giunto il momento di fare i conti con se stessa. Secondo Alessandro Marrone, responsabile del programma Difesa dell’Istituto affari internazionali, ora sta alla Commissione europea tradurre in misure concrete le linee approvate dai capi di Stato e di governo

Il Consiglio europeo straordinario si è riunito in un momento critico per il futuro della sicurezza europea e della guerra in Ucraina. Mentre oltreoceano l’amministrazione Usa di Donald Trump minaccia di revocare il suo ombrello difensivo agli Alleati europei, i 27 si sono riuniti per fare il punto sul futuro della difesa europea e del supporto all’Ucraina. Kyiv si è infatti vista ritirare gli aiuti militari, materiali e di intelligence, precedentemente forniti da Washington per resistere all’aggressione russa. Aiuti che ora dovranno essere sostenuti dall’Europa. Inoltre, i 27 si sono confrontati sul piano di riarmo da 800 miliardi di euro proposto dalla Commissione europea. Il summit, convocato informalmente, non aveva l’obiettivo di prendere decisioni definitive, ma di impostare le linee guida in vista del prossimo Consiglio europeo — non informale — che perfezionerà e delibererà quanto messo a terra in questo primo incontro. Come spiega Alessandro Marrone, responsabile del programma Difesa, sicurezza e spazio dello Iai, il cambio di traiettoria degli Stati Uniti impone oggi all’Europa di muoversi con tempestività e concretezza.

(Quasi) Tutta Europa al fianco dell’Ucraina

Alla presenza del presidente ucraino Volodymyr Zelensky, i leader dei Paesi europei hanno approvato una conclusione che chiarisce la posizione dell’Ue riguardo i possibili negoziati con la Russia. La guerra deve finire, ma non senza la partecipazione di Europa e Ucraina al processo negoziale. “La pace deve rispettare l’indipendenza, la sovranità e l’integrità territoriale dell’Ucraina”, si legge nelle conclusioni approvate dai 27, i quali specificano che “Qualsiasi tipo di accordo deve essere accompagnato da garanzie di sicurezza solide e credibili per l’Ucraina, che contribuiscano a scoraggiare future aggressioni russe”. Inoltre, il Consiglio ribadisce che un cessate il fuoco potrà essere contemplato solo come parte di un più ampio processo di pace, pena il congelamento sul campo di un conflitto latente e il conseguente rischio di una ripresa repentina delle ostilità. Tali conclusioni sono state approvate quasi unanimemente dagli Stati membri dell’Ue, meno l’Ungheria. Il premier magiaro, Viktor Orban, non ha voluto sottoscrivere la dichiarazione d’intenti del Consiglio e ha impedito che su questo punto fosse raggiunta l’unanimità, costringendo il funzionari di Bruxelles a far passare il documento come un allegato alle conclusioni vere e proprie. Di fronte a questo ennesimo veto da parte ungherese, l’Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza Kaja Kallas ha affermato che “è sempre più difficile superare il blocco di Budapest” e che, per evitare ulteriori impasse, le future proposte per supportare l’Ucraina contempleranno la possibilità di formare coalizioni svincolate dalla regola dell’unanimità. 

Secondo Marrone, la manovra ungherese è stata “favorita” anche dagli atteggiamenti del presidente Usa. Il cambio, da un lato della strategia, e dall’altro della narrazione, adottato da Trump, drasticamente diverso rispetto a quello di Joe Biden, avrebbe avuto l’effetto di spingere tutti coloro (Paesi, partiti, individui), che storicamente hanno avuto posizioni più vicine alla Russia, a farsi più audaci. “Vediamo lo stesso in tutti i Paesi europei. L’Ungheria è su queste posizioni da tempo e ora si sente nella posizione di mettersi di traverso rispetto all’opinione maggioritaria nel resto dell’Ue”.

L’ora del riarmo europeo?

Se la prosecuzione del supporto all’Ucraina ha visto “l’isolamento” dell’Ungheria (come lo ha definito il presidente del Consiglio europeo, il portoghese Antonio Costa), i 27 si sono invece trovati concordi sul tema della Difesa. “L’Europa”, recitano le conclusioni, “deve diventare più sovrana, più responsabile della propria difesa e meglio attrezzata per agire e affrontare autonomamente le sfide e le minacce immediate e future”. Benché in linea generale si siano approvate le misure proposte da Ursula von der Leyen nel suo piano ReArm Europe, gli Stati membri hanno sollevato l’esigenza di valutare ulteriori strumenti di finanziamento per i processi di riarmo nazionali, soprattutto per tutelare i Paesi più esposti sul fronte del debito. “La decisione politica è stata presa”, sottolinea Marrone, “il Consiglio ha accolto favorevolmente i propositi contenuti nella lettera che ha ricevuto da von der Leyen. Ora sta alla Commissione formulare una proposta concreta sulla base delle intenzioni espresse”. 

Oltre ai prestiti dal valore di 150 miliardi di euro, il piano ReArm Europe contempla finalmente la possibilità di scorporare le spese militari dai vincoli di bilancio imposti dal Patto di stabilità. “L’Italia”, spiega Marrone, “nella persona del ministro Guido Crosetto in particolare, chiede da anni questa misura. Ora, con il cambio di paradigma imposto da Trump, sono venute a configurarsi le condizioni per prendere questa decisione”. Secondo von der Leyen, questa apertura alle spese a debito permetterà di mobilitare fino a 650 miliardi di euro in quattro anni. “Si tratta di un volume finanziario importante da ripagare”, sottolinea Marrone, “e quindi ci vorrà del tempo per definire più chiaramente le esatte modalità di finanziamento. Tempo che può essere ben investito dagli Stati nel definire esattamente cosa fare una volta ottenuti i fondi. In questo, l’Italia può e dovrebbe dare il suo contributo”.

La proposta di Meloni 

Mentre Francia e Regno Unito continuano a valutare l’opzione di inviare contingenti di peacekeeper europei in Ucraina, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha ribadito la contrarietà dell’Italia a questa proposta. “Sulle truppe europee sono molto molto perplessa, non lo considero efficace”, ha dichiarato la premier, sostenendo la necessità di valutare altre alternative. “Estendere l’articolo 5 della Nato (all’Ucraina, ndr.) sarebbe una soluzione duratura”. La proposta di Meloni vorrebbe dunque l’estensione della clausola relativa alla difesa collettiva del Patto Atlantico a Kyiv senza però contemplare l’ingresso dell’Ucraina nell’Alleanza. Così facendo, secondo la premier, si potrebbero fornire solide garanzie di sicurezza all’Ucraina mantenendo al contempo l’unità del campo occidentale, tema su cui l’Italia si sta spendendo nel dialogo tra Washington e Bruxelles.

Tuttavia, secondo Marrone, è difficile che l’idea di Meloni trovi sponda oltreatlantico. “Vista la nuova traiettoria degli Usa, riassumibile nella decisione di abbandonare l’Ucraina e cercare la pace alle condizioni russe pur di chiudere in fretta il conflitto, difficilmente Trump accetterà di estendere le garanzie dell’articolo 5 all’Ucraina, membership o meno”.

L’importanza di un approccio sinergico e complementare

In un momento in cui è necessario fare molto e farlo in fretta, nessuna piattaforma di dialogo dovrebbe essere esclusa. Semmai, come suggerisce Marrone, gli sforzi dovrebbero focalizzarsi sul mantenimento di più sinergie possibili. “Ritengo importante la complementarità tra i formati minilaterali ad hoc e i coordinamenti più ampi come il Consiglio europeo. I formati minilaterali hanno infatti un grande valore: sono agili, permettono di avere al tavolo attori come il Regno Unito e permettono a chi vuole di fare di più in fretta, senza doversi preoccupare di eventuali veti. Dall’altro lato, formati tradizionali come il Consiglio europeo dispongono delle leve di bilancio e normative, necessarie per smuovere capitali ingenti”. In questo contesto, non deve essere tralasciata la Nato che, seppure inevitabilmente interessata dal cambio di traiettoria degli Usa, continua a rappresentare una piattaforma di dialogo cruciale. “È un bene che l’Italia continui a ribadire questo”, evidenzia il responsabile Iai, “questi tre livelli di coordinamento — atlantico, europeo e minilaterale ad hoc —  vanno mantenuti in costante sinergia”.


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