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Riflettori Onu sull’Indo-Med. Le radicalizzazioni sono ancora un problema regionale

Con un’attenzione particolare ai conflitti meno visibili ma non meno gravi, il panel ha voluto rilanciare l’urgenza di una risposta globale ai fenomeni di radicalizzazione e repressione, in difesa dei diritti umani fondamentali. Ecco come all’Onu si parla di Indo-Mediterraneo

Mentre l’attenzione internazionale è concentrata sulla guerra in Ucraina e sul conflitto tra Israele e Hamas, altre crisi umanitarie e dinamiche politiche destabilizzanti stanno esplodendo nell’area dell’Indo-Mediterraneo. È questo il contesto in cui si è tenuto il panel “Rights of Vulnerable Persons in the Middle East and Asia – Indo-mediterranean political changes”, un evento collaterale organizzato al Palais des Nations di Ginevra, durante la 58ª sessione del Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite.

Il dibattito ha affrontato il tema della radicalizzazione islamista, della soppressione delle libertà civili, delle persecuzioni etniche e religiose, con particolare attenzione alle donne e ai bambini, che spesso restano le vittime più esposte. L’incontro è stato aperto dal presidente di United Villages, Kossi Atsou. Moderato da Vas Shenoy, presidente di Glocal Cities, Chief representative dell’India Chamber of Commerce in Italia e analista di politica internazionale, l’evento ha raccolto voci autorevoli da vari Paesi. Shenoy ha sottolineato come “il vuoto di potere lasciato da alcune leadership venga riempito da gruppi islamisti radicali, dal Bangladesh alla Siria. Non possiamo restare inerti davanti alla violazione dei diritti umani. È nostro dovere proteggere tutte le minoranze etniche e religiose, ovunque si trovino”.

Sul palco, anche Marco Dreosto, della Repubblica Italiana, che ha ribadito il ruolo fondamentale della politica: “La politica ha il dovere di proteggere i più vulnerabili, dai cristiani perseguitati nel mondo alle donne, che devono essere libere da imposizioni che annullano la loro identità, come la copertura integrale del volto. Difendere la libertà e la dignità di ogni individuo non è solo un principio, è una responsabilità”.

Un’altra parlamentare italiana, la deputata Naike Gruppioni, ha parlato anche della repressione in Iran e delle guerre in Siria e Yemen, aggiungendo poi un focus sull’Afghanistan, dove “stiamo assistendo al ritorno di un regime che ha cancellato decenni di conquiste civili femminili in pochi mesi. In Iran le libertà personali vengono schiacciate con ferocia. Ma in mezzo a tanto dolore, vediamo anche coraggio, dignità e resistenza: nelle donne che lottano per il diritto a studiare, nei giovani che protestano per la libertà, nei leader religiosi che chiedono dialogo”.

Rahul Kumar, parlamentare della città di Francoforte, ha lanciato un appello all’azione collettiva contro la radicalizzazione: “Dobbiamo agire ora, rafforzando l’educazione, la democrazia e proteggendo chi è più a rischio. Il futuro e i sogni di milioni di persone dipendono dalle scelte che faremo oggi”. Dal punto di vista europeo, anche Erik Selle, leader del partito cristiano conservatore norvegese, chiedendo alle istituzioni internazionali di essere vigili contro la violenza contro gli indù e altre minoranze in Bangladesh, ha voluto sottolineare che: “La libertà è data da Dio, ma tolta dagli uomini. La libertà è un diritto di nascita, ma non uno stato naturale. Non possiamo essere complici nella sottomissione dei diritti umani, né da parte degli Stati né delle ideologie”. Anwar Mehmood Rehman, politico Ahmadiyya svizzero, a parlato della sua esperienza personale di discriminazione e violenza in Pakistan.

Oltre agli interventi politici, nell’evento i temi sono stati approfonditi attraverso le analisi di Thierry Valle (Cap Liberté de Conscience), Shoresh Darwish (Kurdish Center for Studies) e Fabio Cestelli (Italia Che Cambia). Il rispetto delle minoranze e la lotta alla radicalizzazione non possono essere confinati alle sole categorie dell’emergenza umanitaria o della prevenzione securitaria. Si tratta di questioni strutturali che definiscono la qualità stessa dell’ordine politico e la tenuta dei sistemi regionali. Dove i diritti delle minoranze vengono tutelati e dove l’estremismo viene contrastato attraverso istituzioni inclusive, partecipazione democratica ed equità sociale, si costruiscono le fondamenta della stabilità. Al contrario, laddove l’omogeneizzazione forzata, l’esclusione identitaria e la repressione ideologica si impongono come strumenti di governo, si aprono inevitabilmente spazi per conflitti, frammentazioni e ingerenze esterne.

Nel contesto indo-mediterraneo, culla di civiltà, crocevia di fedi e interessi globali, la protezione delle comunità vulnerabili e la prevenzione della radicalizzazione rappresentano dunque non solo imperativi morali, ma veri e propri asset strategici. Solo riconoscendo questa connessione profonda tra diritti e sicurezza, tra dignità umana e pace internazionale, sarà possibile delineare un futuro sostenibile e condiviso per l’intera regione.


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