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Petrolio in cambio di Bitcoin. Il cripto-trucco di Mosca

Dopo la decisione della Casa Bianca di non rinnovare l’ultima licenza rimasta a Mosca e che le consentiva le transazioni per la vendita di idrocarburi, ora il Cremlino è costretto a un acrobatico schema di pagamenti per salvare la sua economia. Mentre gli imprenditori della Federazione vanno al loro quarto congresso di guerra

Nelle settimane della lunga rincorsa globale alle criptovalute (Stati Uniti apripista e poi una folta pattuglia di governi, Italia inclusa, al seguito), la Russia torna a utilizzare le monete virtuali come mezzo di scambio per la sua sopravvivenza. Come noto, l’economia della Federazione si sta lentamente sgretolando, con le prime, timide, ammissioni arrivate dal Cremlino, tra la fine del 2024 e il principio del 2025. E per non collassare definitivamente, a Mosca non è restato altro da fare che vendere il proprio petrolio e il proprio gas ai suoi dirimpettai, in special modo Cina e India. Questo, al fine di garantirsi quelle entrate negate invece dall’Occidente sul fronte opposto, complice l’embargo dell’Europa e il progressivo sganciamento del Vecchio continente dalle forniture di idrocarburi russi.

Problema. Se finora l’estromissione del sistema bancario russo dal circuito Swift ha di fatto paralizzato le transazioni verso Ovest, a Est ancora era possibile provare a incassare le fatture per la vendita di gas e greggio. Almeno fino a qualche giorno fa, quando l’amministrazione americana ha deciso di far scadere, senza rinnovo, la licenza che consente le transazioni energetiche con le istituzioni finanziarie russe. In pratica, si trattava dell’unico salvacondotto legale rimasto per Mosca. Una mossa con l’evidente scopo di spingere il Cremlino a formalizzare l’apertura di un negoziato con l’Ucraina, per il raggiungimento della pace. 

Non è chiaro se, da un punto vista politico, la nuova stretta degli Stati Uniti sortirà l’effetto sperato, ma di sicuro sul versante finanziario il colpo è stato accusato. La prova? Nel giro di poche ore Mosca ha deciso di farsi pagare in criptomonete gli idrocarburi e il gas veduto a Cina e India. Caduto l’ultimo ostacolo, quello della Bank of Russia, che ha sempre osteggiato un ricorso alle valute virtuali nei pagamenti, dopo aver ammorbidito la sua postura, dal Cremlino è partito l’ordine di accettare pagamenti in Bitcoin o altri cripto-asset. E così, nell’ennesimo, disperato, tentativo di aggirare le sanzioni, le compagnie petrolifere russe stanno utilizzando bitcoin, ether e stablecoin per “agevolare la conversione dello yuan cinese e delle rupie indiane in rubli russi”, ha affermato Reuters.

La stessa Bank of Russia ha presentato al governo della Federazione una serie di proposte per regolamentare gli investimenti in criptovalute, puntando su una sperimentazione che coinvolgerà solo una ristretta élite di investitori. Con questa mossa, la Russia sembra cercare una quadra tra la regolamentazione del settore delle criptovalute e il mantenimento di un forte controllo statale. Secondo il piano, solo i cittadini ricchi, secondo gli standard della Russia, potranno mettere le mani su Bitcoin. Il che significa che solo chi detiene un patrimonio superiore a 100 milioni di rubli (oltre 1 milione di euro) o con un reddito annuo superiore a 50 milioni di rubli (mezzo milione di euro) potrà partecipare al progetto. La fase sperimentale durerà tre anni e sarà riservata agli investitori particolarmente qualificati”, ovvero coloro che già detengono significativi asset finanziari.

Tornando alle forniture di idrocarburi, sebbene le transazioni supportate dalle criptovalute rappresentino ancora una piccola parte del commercio complessivo di petrolio russo, il ricorso a tale stratagemma sembra essere sempre più massiccio. Ma come funziona? Un acquirente cinese di petrolio russo paga una società commerciale che funge da intermediario in yuan su un conto offshore. E fin qui tutto bene. Poi però l’intermediario converte il denaro in criptovaluta e lo trasferisce su un altro conto e da lì, viene inviato a un terzo conto in Russia e riconvertito in rubli. Meccanismo, questo, peraltro già messo in atto dal Venezuela, uno principali produttori di petrolio al mondo.

Nell’attesa di capire se alla fine anche questo sistema non verrà neutralizzato, gli imprenditori russi si preparano alla loro quarta assemblea in tempo di guerra. E c’è da dire che l’umore non è dei migliori. Con un’inflazione a ridosso del 10% e i tassi al 21%, qualunque azienda con un finanziamento o un prestito in scadenza non può non trovarsi in difficoltà nel rimborsare le rate. Negli scorsi mesi non sono mancati gli allarmi di industriali e centri studi. Tutti concordi, come raccontato da questa stessa testata, nel prevedere un’ondata di insolvenze proprio a causa dell’insostenibilità del debito contratto con le banche. Se il denaro costa troppo, non lo si può restituire.


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