Scene da tragedie shakespeariane alla Casa Bianca con Trump furioso che caccia Zelensky. L’Europa si schiera con Kyiv, Mosca esulta, l’Italia media, ma è il contesto internazionale che si va delineando che allarma il Vecchio continente e l’Occidente. L’analisi di Gianfranco D’Anna
La pace muore in diretta tv, con un Donald Trump paonazzo che minaccia Volodymyr Zelensky. Uno scontro verbale, più cruento per le conseguenze internazionali dei duelli dei gladiatori nel Colosseo, perché i morituri questa volta sono potenzialmente gli spettatori, i popoli di un pianeta che sta scivolando verso la guerra. Uno spettacolo agghiacciante tra il presidente americano e quello ucraino che ha fatto letteralmente rattrappire le ossa.
Una livida ira trumpiana che, come da più parti ricordato, è apparsa il remake delle intemerate di Adolf Hitler che precedevano invasioni, guerre, genocidi. “Giochi con la terza guerra mondiale” ha infatti gridato freudianamente il tycoon al presidente ucraino che stoicamente in una Casa Bianca trasformata nella tana del lupo ha fatto presente che gli Stati Uniti potevano chiedere al suo Paese tutto e il contrario di tutto, tranne che di suicidarsi.
Un disastro mediatico, quello di Trump che si aggiunge a quello altrettanto scioccante del filmato su Gaza luxury, al licenziamento con un sms del capo degli stati maggiori congiunti delle forze armate, alla ghigliottina dei dazi e alle deportazioni in catene dei migranti, che lascia apparentemente indifferente l’amministrazione statunitense, ma che dietro le quinte acuisce il disagio crescente che sta sconvolgendo gli stessi repubblicani. E che soprattutto allarma non poco gli ambienti dell’intelligence community che rappresentano l’anima del Deep State, lo stato profondo sottoposto ai contraccolpi strategici e militari del Big Bang pressoché quotidiano di un presidente che in sei settimane ha già letteralmente messo a soqquadro gli equilibri economici e geopolitici dei rapporti internazionali degli Stati Uniti.
Basta dare un’occhiata ai titoli dei principali quotidiani d’oltreoceano per percepire quanto sia profondo lo sconcerto dell’America liberal e in parte anche di quella profonda, che ha votato in massa per il tycoon. “Donald Trump è sembrato più Don Corleone che un presidente americano, mentre cercava pubblicamente di intimidire il presidente ucraino Volodymyr Zelensky affinché accettasse un accordo di cessate il fuoco con la Russia”, scrive il Washington Post, che spiega come una sospensione dei combattimenti senza aver elaborato una pace duratura offrirebbe a Putin il tempo di rimettere in sesto la sua molto traballante armata russa, ricostruire l’economia e invadere nuovamente questa volta senza ostacoli l’Ucraina. Ecco perché Zelensky chiede, per un insopprimibile istinto di sopravvivenza, garanzie effettive a cominciare dai peacekeeper europei.
Ancora più netto il titolo dell’editoriale del New York Times: “Putin è pronto a dividere il mondo. Trump gli ha appena passato il coltello”. Un Putin che si accinge a superare il trentennio di durata della spietata dittatura di Stalin e punta a emulare Ivan il terribile, lo zar che per primo trasformò la Russia in una grande potenza intercontinentale.
Qualunque sia il destino di Zelensky, bisogna dargli atto d’aver eroicamente difeso fino all’ultimo il popolo ucraino, replicando coraggiosamente alle minacce e agli insulti di Trump e del vicepresidente provocatore JD Vance e dimostrando al mondo che gli autocrati sono nudi. E lo ha fatto dallo studio Ovale della Casa Bianca, cuore pulsante di un’America molto migliore di quella che dal 20 gennaio sta subendo una sconvolgente metamorfosi.
Chance e prospettive dell’Ucraina sono ora direttamente connesse a quelle dell’Europa. Un vecchio continente smarrito e atterrito, che ritrova a Londra, sotto la leadership morale e politica del premier britannico Sir Keir Starmer, una concreta unità strategico militare che paradossalmente applica il principio costituente col quale i Padri pellegrini salpati dall’Europa fondarono il 4 luglio del 1776 gli Stati Uniti d’America: “E pluribus unum”, dai molti uno.
Il che tradotto in cifre significa che da punto di vista strategico, all’impatto militare convenzionale delle forze armate complessive dei paesi dell’Unione, bisogna aggiungere gli armamenti nucleari di Inghilterra e Francia che dispongono di missili intercontinentali e soprattutto di sottomarini a propulsione atomica in grado di rispondere a un malaugurato surprise attack nucleare russo.
A parte la Nato, sempre meno a trazione americana, Europa e Inghilterra hanno comunque una capacità militare e una deterrenza in grado di garantire la resistenza e la difesa dell’Ucraina dagli attacchi russi.
Ma il vero valore aggiunto della capacità di saldatura dell’Europa è quello di poter realizzare il sogno di una pace in grado di sradicare l’inconscio primordiale della guerra. “Serve un nuovo sogno”, scrive The Economist. “Perché – ribadisce – tutte le guerre finiscono, ma il modo in cui finiscono determina la forma della pace che segue, e se durerà”.
Una constatazione che è la fotografica di come, dalla fine della Seconda guerra mondiale, mai come in questi bui giorni di “Apocalypse Trump”, come è stato ribattezzato il presidente americano, l’Europa si sia ritrovata in bilico su un precipizio antidemocratico che le si è spalancato dinnanzi a causa di quella vera e propria mutazione di colpo di stato mondiale in progress che gli autocrati stanno tentando di portare a termine.