È certamente presto per parlare di “passi avanti”: la situazione è difficilissima e gli attori sono tutti leader militari. Ma un passo è stato fatto, almeno oggi è così: il passo grande è rompere le gabbie comunitarie anche per il bene delle comunità, che devono tornare ad essere una ricchezza culturale e spirituale, non delle trincee
La notizia che può salvare la Siria dall’autodistruzione è arrivata a tarda ora il 10 marzo: accordo quadro tra il governo centrale di Damasco, dell’islamista al Sharaa, e i curdi, l’islamista al Sharaa riconosce i diritti dei curdi come anima costitutiva della nuova Siria. Il discorso recentemente pronunciato da Ocalan che ha chiesto ai suoi di porre termine alla lotta armata ha cambiato il quadro e consentito ai suoi di intravedere una cultura nuova, ma per capire cosa è successo di terribile con i massacri comunitari, a danno degli alauiti, dobbiamo guardare indietro e trovare così il modo per capire come questo accordo possa portare tutti avanti.
C’è un metodo di governo che il colonialismo, francese, ha elaborato nei territori siro-libanesi: questo metodo parte dallo slogan di Napoleone, “un soffio di mitragliatrice”, che sa di stragismo e si basa però su un’idea non certo nuova, ma dai francesi al loro tempo, a inizio Novecento, applicata minuziosamente e cinicamente e che si può riassumere con un detto famoso: divide et impera.
Il colonialismo in Medio Oriente, sulla carta, doveva aiutare delle nascenti nazioni a diventare tali istituzionalmente e politicamente. I francesi hanno fatto l’esatto contrario, hanno usato le difficoltà che si riscontravano sul terreno per rendere il loro dominio indiscutibile. Per imperare si doveva dividere e questa divisione non poteva che essere su linee tribali, etnicamente e religiosamente parlando. Dunque bisognava mettere le principali comunità esistenti, musulmani sunniti, musulmani “eretici” drusi e alauiti, cristiani e curdi, tutti in urto tra loro. Il potere arrivava dall’accentuazione degli attriti comunitari.
Poi Assad ha elevato questo metodo a sistema dispotico fino a uno stragismo di Stato che ha fatto impallidire ogni memoria e con questo metodo ha badato bene a porre persone della sua provenienza, cioè della piccola comunità alauita, nei posti cruciali. Assad non si considerava siriano, considerava la base del suo potere le parti della sua piccola comunità d’origine disponibile a seguirlo in tutto, per essere depositarie di potere. Alle altre minoranze ha offerto protezione perseguitando in modo sistematico i più pericolosi rivali, la maggioranza sunnita. Questi sunniti per lui erano pericolosi per il loro dato numerico, costituendo la larga maggioranza della popolazione. Questa persecuzione feroce, e durata oltre mezzo secolo, spiega come mai tra i sunniti siano nate forme così estreme di lotta “religiosamente ispirata”: un potere malato, terribile, che si basava solo su legami comunitari e contro la maggioranza della popolazione perché sunnita ha ammalato anche la religione. Ogni estremismo favorisce sempre il suo opposto, uguale e contrario.
Quando finalmente la spietata tirannide degli Assad è crollata, chi ha trionfato è stata ovviamente una coalizione di forze estremiste e di ispirazione sunnita. E la loro sete di vendetta nei confronti degli alauiti (non solo loro, ma prioritariamente loro) era scontata. Ciò che è accaduto in questi giorni risponde infatti a due evidenze: l’azione di bande di alauiti legati ad Assad contro il governo, la reazione di estremisti della coalizione vincente che hanno liberato la propria sete di vendetta non contro i seguaci di Assad, ma contro gli alauiti in quanto tali, in ogni loro manifestazione, anche donne e bambini. Ovviamente sono parte della partita dinamiche analoghe sul fronte curdo e su quello druso. Con pezzi di establishment curdo e druso avversi militarmente al regime e indisponibili al dialogo e pezzi della coalizione vincente assetati di vendetta sommaria.
Alcune potenze vicine, ognuna per i propri motivi e interessi, sono pronte a sostenere gli estremisti, nel campo governativo o antigovernativo. Per le anime estremiste della coalizione di al Sharaa si governa con il terrore, straziando e poi dividendo i nemici. I prezzolati di Assad dall’altra parte della barricata la pensano allo stesso modo. Ciò che emerge è chiaro: la politica non esiste. Ognuno è marchiato dalla sua appartenenza comunitaria.
Il dato dunque che emerge decisivo è che in questo schema affermatosi da un secolo viene cancellato l’individuo. L’individuo non c’è, c’è solo la comunità, una dimensione onnivora che cancella ogni distinzione. Le comunità rendono tutti i “gatti grigi”. Un alauita che ha osteggiato per tutta la sua vita Assad o che non ha mai a che fare con lui e il suo sistema è uguale a chi ha fatto l’aguzzino per conto di Assad: un bambino alauita è un nemico da uccidere. Dunque un sunnita che crede nella coesistenza è uguale a un jihadista dell’Isis. E così via. Ragionando così i processi si fanno in piazza, e sono processi sommari. Questo pensano gli estremisti sunniti che hanno compiuto le stragi, come questo pensavano gli assassini assadisti che hanno perpetrato le stragi e le persecuzioni indiscriminate nel loro cinquantennio di potere arbitrario e feroce. E altrettanto arbitrario e feroce deve essere il potere di chi li ha sconfitti.
Non se ne esce relativizzando le stragi, l’orrore, o dicendo che quelli a me più simpatici sono diversi dagli altri. No, se ne esce riconoscendo che esiste l’individuo! Al Sharaa sa benissimo chi andrebbe processato e condannato, si tratta del battaglione estremista e filo-turco guidato da Mohammed al-Jassem. Non penso che potrà processarlo, a lui e ai suoi, per il peso che questo avrebbe nella sua coalizione, dove altri estremisti la pensano così, cioè che i metodi di Assad sono i soli possibili; insomma, per loro vige un solo metodo: “pan per focaccia”. Lui, al Sharaa, parlando di inchiesta su chi ha compiuto la strage (molto ha detto anche contro gli alauiti in armi responsabili delle provocazioni armate che avrebbero innescato gli scontri) si è però fermato a una pace tra comunità. Questo è un piccolo passo avanti e nell’accordo subito dopo raggiunto con i curdi compare finalmente il riferimento all’individuo: ogni siriano deve essere considerato per ciò che è e per le idee che espone.
Non sarà facile avviare il processo indispensabile: superare la logica che fa delle comunità delle gabbie nelle quali ognuno è chiuso. Questa è la sfida e chi l’ha espressa meglio di tutti è stato Abdullah Ocalan: dopo ventisei anni di prigionia lui ha indicato ai curdi e quindi, tramite loro, a tutti i siriani una strada nuova. La strada indicata di Ocalan è questa: “Basta lotta armata, siamo tutti cittadini e dobbiamo confrontarci da tali”.
È certamente presto per parlare di “passi avanti”: la situazione è difficilissima e gli attori sono tutti leader militari, a partire da al Sharaa, un ex terrorista islamista, al leader dei curdi, il famoso comandante Kobane, dal nome della città curda che ha difeso contro i turchi. Ma un passo è stato fatto, almeno oggi è così: il passo grande è rompere le gabbie comunitarie anche per il bene delle comunità, che devono tornare ad essere una ricchezza culturale e spirituale, non delle trincee.