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Così Trump prova a sganciare la Russia dalla Cina. Parola di Rubio

Il segretario di Stato spiega che l’obiettivo dell’amministrazione Trump è dividere la Russia dalla Cina, come fatto da Nixon, in senso opposto ai tempi dell’Urss. In quest’ottica, Kyiv diventa un danno collaterale e marginale

L’amministrazione di Donald Trump sta cercando di inserire lo scontro con Volodymyr Zelensky in una narrazione più ampia di grand strategy, riducendolo a un inciampo tattico – o un danno collaterale accettabile – all’interno della competizione tra grandi potenze. La vera partita, infatti, è tra Stati Uniti e Cina, e in questo contesto il rapporto tra Mosca e Pechino diventa un elemento chiave della strategia di Washington.

Lo aveva già anticipato il segretario di Stato Marco Rubio, secondo cui l’obiettivo di Trump è evitare che la Mosca diventi un “junior partner” di Pechino, ovvero uno Stato subordinato agli interessi cinesi. In un’intervista Breitbart News, sito simbolo dell’alt-right proto-trumpiana, Rubio ha tracciato un parallelismo con la strategia di Richard Nixon negli anni ’70: se allora gli Stati Uniti riuscirono a staccare la Cina dall’Urss, oggi l’amministrazione Trump vorrebbe fare lo stesso con la Russia, sottraendola all’influenza cinese.

Rubio riconosce che il successo non è scontato: “Non so se avremo mai successo nel separarli completamente dalla loro relazione con i cinesi”, ha ammesso. Tuttavia, la Casa Bianca ritiene che una Russia troppo dipendente da Pechino sia uno scenario troppo negativo sia per gli Stati Uniti sia per la stessa Russia. Attenzione: in qualsiasi altro momento qui si sarebbe aggiunto anche a un richiamo all’Occidente e ai valori condivisi che formano l’alleanza atlantica, ma in questo caso la lettura è più America First.

Il punto centrale, per il segretario, è evitare che Mosca e Pechino formino un blocco compatto e ostile a Washington. Se la Russia diventasse economicamente e politicamente vincolata alla Cina, perderebbe la sua autonomia strategica e non potrebbe più migliorare i rapporti con l’Occidente nemmeno volendolo.

In questo schema, lo scontro diplomatico tra Trump e Zelensky di tre giorni fa – in mondovisione dallo Studio Ovale – può essere declassato a una questione secondaria rispetto alla più ampia competizione con la Cina. Secondo questa logica, se il deterioramento delle relazioni con Kyiv contribuisce a ribilanciare il rapporto Washington-Mosca nell’ottica di incrinare l’asse Mosca-Pechino, allora può essere considerato un costo accettabile. E l’eccessiva esposizione con l’Ucraina viene spiegata come un ostacolo nella strategia.

Parallelamente, l’amministrazione Trump sta lavorando su altre direttrici per contrastare l’influenza cinese, ha spiegato Rubio. Un esempio è la pressione esercitata su Panama affinché uscisse dalla Belt and Road Initiative, la grande strategia infrastrutturale di Pechino per consolidare il suo dominio economico globale. Il segretario, come paradigma dell’impegno dell’amministrazione, ha rivendicato questo successo, sottolineando come gli Stati Uniti abbiano convinto il governo panamense ad abbandonare l’accordo con la Cina e ad avviare un audit sulle società cinesi che gestiscono i principali porti del canale di Panama.

Rubio a ha anche spiegato che a livello globale, Trump sta puntando anche sull’India-Middle East-Europe Economic Corridor (Imec), un progetto alternativo alla Belt and Road che mira a collegare India, Medio Oriente ed Europa attraverso una rete di infrastrutture e rotte commerciali che potrebbe avere tra gli hub il porto di Trieste. Il successo di questa iniziativa dipenderà dall’evoluzione delle relazioni in Medio e lo sviluppo dell’interconnessione Europa-India.

Sul piano della strategia generale, Rubio ha ribadito chiaramente che l’approccio di Trump è basato su una politica di forza: “Trump vuole che l’America sia rispettata nel mondo e che i suoi interessi vengano difesi”. L’obiettivo dichiarato è smantellare l’influenza cinese in regioni strategiche e impedire che gli Stati Uniti si trovino accerchiati da governi dipendenti economicamente e politicamente da Pechino.

In questo scenario, la questione ucraina passa in secondo piano rispetto alla più ampia sfida sistemica contro la Cina. L’amministrazione Trump sta cercando di ridefinire il conflitto con Kiev non come un problema isolato, ma come parte di un gioco strategico più grande. Lo scontro con Zelensky, dunque, potrebbe non essere un incidente di percorso, ma un tassello di una strategia più ambiziosa.


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