Trump cerca un rilancio della cantieristica navale americana, sia militare che civile. È un’iniziativa America First, che però ha anche un valore strategico: recuperare il gap creatosi con la Cina
Secondo John Phelan, candidato alla carica di Navy Secretary, il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, invia messaggi sulle condizioni dei cantieri navali fino a tarda notte. Phelan, che dovrebbe sostituire la italo-americana Lisa Franchetti che Trump ha licenziato, svela dettagli su quella che Axios chiama “un’ossessione per le navi”. L’attenzione quasi maniacale che porta il presidente a voler istituire uno “White House shipbuilding office” si lega a un problema strategico enorme: la Cina ha oggi una capacità cantieristica 232 volte superiore a quella degli Stati Uniti, un dato che mette a rischio la supremazia americana nei mari.
Il dominio cinese nella costruzione navale non è solo un vantaggio industriale, ma una questione di sicurezza nazionale. Il settore cantieristico americano ha sofferto per decenni di declino: cantieri chiusi, carenza di manodopera, costi fuori controllo e ritardi nei programmi militari. La pandemia ha solo accelerato questi problemi, mentre la Cina ha continuato a espandere la sua flotta. Questo squilibrio è particolarmente pericoloso nell’Indo-Pacifico, dove Pechino sta rafforzando la sua posizione in un ambiente geostrategico dominato dalla geopolitica marittima. Per esempio, uno dei grandi dossier, Taiwan, ha come confine parossistico uno scontro militare dove la compente navale sarà fondamentale — basta pensare che Taiwan è un’isola.
Quello sul “resusciteremo l’industria navale americana” è stato uno dei passaggi più interessanti del Discorso sullo stato dell’Unione di Trump, in cui ha annunciato il suo piano per rilanciare la costruzione navale americana, dichiarando: “Eravamo leader nella costruzione di navi. Oggi non lo siamo più, ma presto torneremo a costruire in fretta e in grande quantità”.
Il presidente sta considerando la creazione di quell’ufficio che coordinerebbe la rinascita della cantieristica statunitense, sia per la U.S. Navy che per il settore commerciale. Tuttavia, i dettagli su come funzionerà questo nuovo apparato sono ancora vaghi, anche se Trump ha menzionato possibili incentivi fiscali per il settore.
Secondo il Congressional Budget Office, la marina statunitense dovrebbe investire decine di miliardi di dollari all’anno per i prossimi trent’anni per raggiungere i suoi obiettivi di espansione. Attualmente, la flotta americana conta 296 navi da combattimento, tra cui portaerei, sottomarini e navi da guerra di superficie. L’obiettivo è arrivare a 381 unità, un traguardo che appare lontano senza una forte spinta industriale.
A questo si aggiunge la necessità di aumentare la produzione di sottomarini d’attacco: attualmente gli Stati Uniti ne costruiscono solo 1,2 all’anno, mentre il fabbisogno stimato è di quasi tre per anno.
Un rapporto del Congresso del 2023 evidenzia il crollo della costruzione navale americana. Negli anni ’70, i cantieri Usa producevano il 5% della stazza mondiale, costruendo 15-25 nuove navi all’anno. Negli anni ’80, la produzione è scesa a circa 5 navi all’anno, livello che persiste ancora oggi.
In confronto, la Cina ha oggi una capacità produttiva 232 volte maggiore. Questo significa che per ogni nave costruita dagli Stati Uniti, la Cina ne realizza centinaia.
L’idea di Trump è stata accolta positivamente dal mondo politico e industriale. Matthew Paxton, presidente del Shipbuilders Council of America, ha dichiarato che le aziende sono “pronte a progettare e costruire le flotte commerciali e militari americane”. Fincantieri, che ha una forte presenza negli Stati Uniti, ha espresso il proprio sostegno all’iniziativa, sottolineando che permetterebbe di ampliare la base industriale americana e creare centinaia di nuovi posti di lavoro.
Tra le vie per accelerare la risposta c’è anche la possibilità di costruire navi attraverso i partner internazionali, esternalizzando parte della nuova produzione. È vero che questo si scontra con la politica tradizionale americana di mantenere la costruzione navale all’interno dei confini nazionali per motivi di sicurezza, e ancora di più si scontra con le visioni “America First”, ma accelererebbe le produzioni.
Anche perché il rilancio della cantieristica americana è una sfida titanica, forse la più grande tra le azioni di governo che Trump ipotizza. Costruire più navi richiederà miliardi di dollari, nuove politiche industriali e un enorme investimento nella forza lavoro. Anche perché la Cina, nel frattempo, continua a rafforzare la sua flotta a ritmi impressionanti. Il confronto fa parte della competizione globale tra Washington e Pechino, e dunque riguarda interamente le relazioni internazionali.